varie, 7 maggio 2013
Appunti sulla morte di Giulio Andreotti dai giornali di martedì 7 maggio 2013 ##Muore a Roma Giulio Andreotti • Giulio Andreotti si è spento ieri alle 12 e 25 nella sua abitazione romana di Corso Vittorio Emanuele
Appunti sulla morte di Giulio Andreotti dai giornali di martedì 7 maggio 2013 ##Muore a Roma Giulio Andreotti • Giulio Andreotti si è spento ieri alle 12 e 25 nella sua abitazione romana di Corso Vittorio Emanuele. Aveva 94 anni, le sue condizioni fisiche non erano buone e da tempo conduceva una vita estremamente riservata. L’annuncio della scomparsa è stato dato dai suoi familiari più stretti. La camera ardente del senatore a vita ieri è stata aperta nella sua residenza privata e non a Palazzo Madama. Nessun funerale di Stato, secondo le sue precise volontà. Le esequie si terranno in forma privata martedì pomeriggio presso la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma. ##Le reazioni alla morte di Giulio Andreotti • «Sulla lunga esperienza di vita del Senatore Giulio Andreotti e sull’opera da lui prestata in molteplici forme nel più vasto ambito dell’attività politica, parlamentare e di governo, potranno esprimersi valutazioni approfondite e compiute solo in sede di giudizio storico» (Giorgio Napolitano); «Con lui se ne va un attore di primissimo piano di oltre sessant’anni di vita pubblica nazionale» (Enrico Letta); «Un valido servitore delle istituzioni, uomo di fede e figlio devoto della Chiesa» (Tarcisio Bertone); «Non si può negare che abbia mantenuto aperto il dialogo anche con forze politiche lontane dal suo pensiero e che abbia contribuito a consolidare il ruolo e la presenza internazionale del nostro Paese» (Massimo D’Alema); «Contro la sua persona, la sinistra ha sperimentato una forma di lotta indegna di un Paese civile, basata sulla demonizzazione dell’avversario e sulla persecuzione giudiziaria» (Silvio Berlusconi); «È morto Andreotti, il condannato prescritto per mafia» (la deputata del M5s Giulia Sarti su Twitter); «Andreotti: il più grande criminale di questo Paese, perché l’ha sempre fatta franca, o il più grande perseguitato» (Roberto Saviano su Twitter, citando Indro Montanelli). • Bagarre in aula al Senato durante il minuto di silenzio per Andreotti, con i senatori del M5S che per contestare alcune regole procedurali hanno rotto il silenzio. ##Nella casa di Andreotti, tra figli e nipoti • Massimo Franco del Cds è entrato in casa Andreotti subito dopo la morte del senatore a vita e racconta: «In questa stanza nella penombra al quarto piano di corso Vittorio Emanuele che si affaccia sul Tevere e sul Vaticano, sorvegliato e protetto da un grande crocifisso di porcellana appeso sopra al letto, è morto poco dopo mezzogiorno, l’uomo-simbolo della Prima Repubblica. In quel momento in casa c’erano soltanto Gloria, la badante filippina che lo assisteva con altri due connazionali, e Giancarlo Buttarelli, il capo della scorta con lui da oltre trentacinque anni. C’era anche la signora Livia, ma per fortuna non si è accorta di nulla. E anche adesso, alle cinque del pomeriggio, mentre un silenzioso viavai di amici e mondi tramontati viene accompagnato a salutarlo per l’ultima volta, la moglie è in cucina in compagnia della cognata Antonella Danese. Forse non capisce quanto è successo. I figli vogliono che non si accorga che suo marito Giulio se n’è andato a novantaquattro anni. Già, ci sono anche gli Andreotti: la tribù più discreta e invisibile del potere romano. Per il momento Stefano e Serena, due dei quattro figli. Gli altri, Lamberto, presidente della multinazionale Meyers Squibb, arriverà da New York in serata, e la figlia maggiore Marilena è partita da Torino, dove vive. In compenso ci sono alcuni dei nipoti, Giulio Andreotti e Giulia Ravaglioli, figlio il primo di Stefano e l’altra di Serena e del giornalista della Rai Marco Ravaglioli. Ci sono anche Marco e Luca Danese, i cugini». ##La carriera politica di Giulio Andreotti • Sette volte presidente del Consiglio, la prima nel 1972, lìultima nel 1992 quando stava per eclissarsi la Prima Repubblica; otto volte ministro della Difesa; tre volte ministro delle Partecipazioni statali; due volte ministro delle Finanze; ministro del Bilancio; ministro dell’Industria; una volta ministro del Tesoro; ministro dell’Interno (il più giovane della storia repubblicana a soli 34 anni). Gentili (Messaggero): «Andreotti ha bruciato tutti i record della politica. Sempre presente, dall’Assemblea costituente in poi. Suo anche il primo “governo di solidarietà nazionale” sostenuto anche dal Pci, nato proprio il 16 marzo del 1978, giorno del rapimento di Moro. Sua l’invenzione, nel luglio del ’76 del governo della “non fiducia”: un monocolore Dc che si reggeva sull’astensione di tutti i partiti, Msi-Dn escluso. E sua la “politica dei due forni”, secondo la quale il partito di maggioranza relativa avrebbe dovuto allearsi alternativamente a Pci e a Psi, in ragione di chi dei due partiti “facesse il prezzo del pane più basso”. Invenzione che lo rese inviso a Bettino Craxi, ma con cui però coniò il Caf (acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani) per arginare Ciriaco De Mita». ##Andreotti, la mafia e i processi • «L’esito dei processi in cui il senatore a vita fu accusato di collusione con la mafia e di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli (il primo celebrato a Palermo e il secondo a Perugia, strettamente connessi al punto da essere la quasi-fotocopia uno dell’altro) è noto nello svolgimento fino alle alterne conclusioni: assoluzione in primo grado e prescrizione in appello per alcuni fatti, a Palermo, confermata dalla Cassazione; assoluzione, condanna e di nuovo assoluzione a Perugia. Dibattimenti che sono durati anni, racconti infiniti di pentiti (dai più famosi e affidabili come Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, ai più discussi o screditati, come Balduccio Di Maggio) e testimoni illustrissimi o sconosciuti, attraverso i quali è stata ripercorsa una parte importante della storia d’Italia per giudicare un uomo di governo e di potere che della storia d’Italia è stato indubbio protagonista. E lui sempre seduto sul banco degli imputati, a prendere appunti come fosse a un congresso della Democrazia cristiana, senza mai cedere a invettive o ricusazioni, al massimo qualche battuta salace. (…) Le sentenze, alla fine, hanno stabilito che con l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli, assassinato a Roma nel marzo 1979, il senatore non c’entrava, nonostante le richieste di ergastolo e la condanna d’appello a 24 anni di carcere poi annullata dalla Cassazione senza rinvio ad altri giudici. Quanto all’accusa di mafia, nell’ultimo verdetto è scritto che “il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss (Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, ndr); ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi”. Per la Corte d’appello tutto ciò costituisce un reato provato fino al 1980, che però nel 2003 era ormai prescritto. In ogni caso, sentenziarono i giudici, “di questi fatti il senatore Andreotti risponde di fronte alla Storia”, con la maiuscola, tanto per ribadire il nesso inscindibile tra le vicende dell’imputato e quelle del Paese. Su altri fatti successivi al 1980, a cominciare dal presunto “bacio” con Totò Riina, restò l’assoluzione piena. E gli stessi giudici aggiunsero: “La Storia gli dovrà anche riconoscere il successivo, progressivo e autentico impegno nella lotta contro la mafia, impegno che ha, in definitiva, compromesso, come poteva essere prevedibile, la incolumità di suoi amici e perfino messo a repentaglio quella sua e dei suoi familiari”». [Bianconi, Cds] • «All’appuntamento Totò Riina arrivò con un’utilitaria, mi disse che dovevamo andare da Ignazio Salvo. Abbiamo percorso un corridoio fino in fondo, sulla destra c’era una stanza e dentro c’erano Andreotti e l’onorevole Lima. Io strinsi la mano ad Andreotti e Lima e baciai Ignazio. Totò Riina invece salutò con un bacio tutti e tre gli uomini» (dalla deposizione del pentito Balduccio Di Maggio). [Bolzoni, Rep] • «È rimasta una favola il famigerato bacio con Totò Riina, raccontato dal pentito Balduccio Di Maggio e smentito, successivamente, dalla stessa “inaffidabilità intrinseca” del collaboratore. Anzi, non è esagerato affermare che proprio quel “bacio” ha rappresentato il virus-killer dell’intero impianto accusatorio. In effetti riesce difficile pensare ad Andreotti che si profonde in effusioni col capo della mafia, lui che – durante il processo – si è limitato a dare freddamente la mano ai procuratori che lo accusavano e ha mantenuto un profondo distacco istituzionale che gli è valso il plauso generale per come, a differenza di altri, ha affrontato le sue disavventure giudiziarie». [La Licata, Sta] • L’omicidio di Salvo Lima, «proconsole» di Andreotti in Sicilia, e poi la strage di Capaci, nel 1992 sbarrarono la strada di Andreotti verso il Quirinale, e di questo si dibatterà in un nuovo processo che comincerà a fine mese, quello sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. [Bianconi, Cds] ##Andreotti e il rapimento Moro • Giulio Andreotti era il presidente del Consiglio del governo di unità nazionale che nel 1978, nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro, dispiegò la cosiddetta «linea della fermezza» e andò allo scontro frontale con la Direzione strategica delle Br e al rifiuto proclamato di ogni trattativa. Sorgi sulla Sta: «Riuscì perfino ad influenzare il famoso appello di Paolo VI, un Papa assai vicino per generazione e formazione a Moro e allo stato maggiore del suo partito, che finì per rivolgere ai terroristi solo un invito, purtroppo rivelatosi inutile, a liberare il prigioniero senza condizioni. Per questo, o anche per questo, Andreotti e Zaccagnini, l’ascetico segretario della Dc in quei giorni, divennero, insieme al ministro dell’Interno Cossiga, i bersagli principali delle strazianti lettere di Moro dal carcere brigatista. Nelle quali, il prigioniero mostra di conoscere come nessun altro le sfumature di carattere dei suoi amici di partito, e mettendoli uno contro l’altro di fronte alle loro responsabilità, tenta il sottile gioco psicologico di aprire una breccia nel muro rigido della fermezza: scelta inevitabile, ma impensabile, per un partito molle come la Dc. Di Andreotti, come risulta chiaro dalle lettere che lo riguardano, Moro in particolare conosceva due aspetti che da soli ne definivano la personalità, individuale e politica: il carattere romano indifferente, profondamente conoscitore dei valori, e dei limiti di osservanza degli stessi, dei cattolici impegnati in politica. E la natura esterna del rapporto con il partito, che mai lo aveva portato, unico tra i grandi leader Dc, a correre per la segreteria, e sempre o quasi sempre per quarant’anni a entrare, con ruoli di rilievo, nei governi democristiani». ##Andreotti e il Vaticano • «Amicissimo di sacerdoti romani che sarebbero divenuti cardinali, come Angelo Felici, Vincenzo Fagiolo e Fiorenzo Angelini, il Divo Giulio è stato un attento testimone dei conclavi. Nell’ottobre 1958, durante la sede vacante, incontra patriarca di Venezia Angelo Roncalli, che gli parla senza giri di parole. Andreotti esce dall’udienza con la certezza che il porporato, fiero delle sue origini bergamasche e contadine, sarà il successore di Papa Pacelli. Così manda un’unica fotografia per la copertina della rivista “Concretezza”, chiusa in tipografia prima del conclave, ma pubblicata dopo l’elezione. E con Roncalli, c’azzecca. È sempre ad Andreotti, ricevuto in udienza con la famiglia, che il Papa buono confida l’intenzione di convocare il Concilio, tre giorni prima dell’annuncio ufficiale. Con l’avvento di Paolo VI, nel 1963, diventa Papa colui che aveva formato la generazione di democristiani che governano l’Italia nel dopoguerra. Andreotti cerca di interpretare dagli scranni del governo l’Ostpolitik montiniana verso i Paesi della Cortina di ferro. Riceve sofferti biglietti autografi del Pontefice bresciano che si lamenta per la legge sul divorzio. È sempre lui a tenere i contatti con il Vaticano durante i giorni drammatici del sequestro Moro, ricevendo assiduamente la visita di don Pasquale Macchi, il segretario particolare di Montini. Molti anni dopo Andreotti confiderà che il Papa era pronto a pagare dieci miliardi per salvare la vita del presidente della Dc: “Il tramite con cui cercavano di arrivare ai brigatisti era un cappellano delle carceri. Era Paolo VI che si muoveva, io non frapposi alcuna difficoltà”». [Tornielli, Sta] • «Da bambino, anzi più precisamente da chierichetto, si narra che partecipasse alle processioni tenendo in mano un cero e anche per questo certi ragazzi lo prendevano in giro. Taci un giorno, taci un altro, il piccolo Giulio mostrò una grande pazienza, poi al terzo si “scocciò” – suo tipico verbo – e spende il cero nell’occhio del discolo più a portata di mano». [Ceccarelli, Rep] • «Il suo più grande amico in Vaticano fu il cardinale Fiorenzo Angelini. Nacque a campo Marzio, nel cuore della vecchia Roma. Forse per questo Andreotti lo sentiva particolarmente amico» (Ersilio Tonini). [Rodari, Rep] • A dodici anni si trovò in un’udienza di Pio XI nell’aula concistoriale. Raccontò: «Quando lo vidi rimasi di stucco. Gridava e si mise pure a piangere. Ero atterrito tanto che svenni e finii dietro una tenda bianca. Piangeva perché tutti lo accusavano di aver sbagliato a fare il concordato con Mussolini tanto che, nonostante l’accordo, i circoli cattolici erano ancora perseguitati». [Rodari, Rep] • «Non si deve dimenticare che nel 2000 Andreotti scrisse un libricino fuori commercio regalato agli amici. Un racconto intitolato 1° gennaio 2015, nel quale indovinava il nome del futuro Papa – Benedetto XVI – e si sbilanciava su alcune caratteristiche del nuovo pontificato con cinque anni d’anticipo: “Il latino tornerà ad essere lingua veicolare della chiesa”». [Tornielli, Sta] ##L’archivio di Andreotti • L’archivio di Giulio Andreotti è stato affidato al caveau dell’Istituto Don Sturzo, dove molti altri esponenti della Democrazia cristiana hanno lasciato le loro carte. C’erano già 1.400 buste dello stesso don Sturzo, le 300 di Giovanni Gronchi, le 350 di Mario Scelba e l’intero archivio della Dc. L’archivio di Giulio Andreotti pare essere il più voluminoso, 3.500 faldoni fisicamente conservati in due grandi strutture a scomparti mobili. Già nel 2007 definito archivio di «interesse storico particolarmente importante», il fondo è in corso di catalogazione da parte di Luciana Devoti. [Cds] • Nell’archivio anche centinaia di menù di ristoranti in ogni lingua e in forme svariate, stampati su cartoncini raffinati, abbelliti da disegni e stemmi araldici o scritti a mano sulla semplice carta gialla di un monastero. [Bardazzi, Sta] • L’archivio Andreotti equivale a 600 metri lineari di documentazione. [Bardazzi, Sta] • A integrare l’archivio cartaceo sono centinaia di videocassette (anche queste catalogate con cura) e le migliaia di libri della biblioteca personale donata da Andreotti agli archivisti, anche in questo caso ordinati con annotazioni meticolose. [Bardazzi, Sta] ##Andreotti, il ricordo di Cirino Pomicino • «Lo conobbi nel ’74, ero un trentenne assessore al Comune di Napoli e lui il ministro del Bilancio. Con un altro giovane democristiano, Pino Amato, poi massacrato dalle bierre, avevamo deciso di entrare nella sua corrente. Gli detti subito del “lei”, e sempre, fino all’ultimo, ho continuato a dargli del “lei”. Ma con un privilegio: ho sempre avuto la possibilità di dirgli se, magari, pensavo stesse facendo una sciocchezza. Una volta, alla vigilia di un congresso, mi guardò serio: “Scusa, Paolo: stai per caso insinuando che sono uno stronzo?”. Era rarissimo sentirgli dire parolacce, la interpretai come una dimostrazione di grande complicità». [Roncone, Cds] ##Andreotti, il ricordo del capo ufficio stampa Mastrobuoni • Pio Mastrobuoni, 78 anni, a lungo capo ufficio stampa di Andreotti, ricorda: «In viaggio condividevamo alcuni vizietti, diciamo così. Ci piaceva giocare a carte. Se c’erano altri si giocava a tressette. Se eravamo solo noi, preferiva quel gioco stupido che è il burraco. Me lo insegnò e alla prima mano volle puntare cinquanta lire. Siccome perdeva aumentò la puntata e alla fine del viaggio mi doveva un paio di milioni (ride, ndr). Naturalmente glieli condonai. Quando sbarcavamo, se avevamo un paio d’ore libere, correvamo all’ippodromo più vicino a scommettere sui cavalli. Una volta riuscì a portare all’Arc de Triomphe pure Mitterrand, che odiava le corse. La cosa che di lui mi stupiva di più era la memoria. Ogni tanto capitava che fossimo in visita in una città e qualcuno gli si avvicinava chiedendo il permesso di salutarlo, e lui spesso sapeva come si chiamava, che faceva suo padre. Era strabiliante. (…) Certo aveva anche dei difetti. Il peggiore è che attorno a sé tollerava gente sgradevole, dei mediocri, degli intrallazzatori. Non sto parlando di chissà che. Non pensate subito a Mino Pecorelli o roba del genere. Proprio dei mediocri. Gli erano serviti per allargare la sua corrente e aveva imbarcato un po’ di tutto. L’altro difetto, più simpatico, era la gola. Specie se andavamo nei paesi di gran cucina come la Francia, si faceva delle scorpacciate e poi gli prendeva l’emicrania. Amava il foie gras, le ostriche, i crostacei in genere». [Feltri, Sta] • «Era contrario alle smentite perché pensava fosse corretto il detto “la smentita è una notizia data due volte”. E non amava querelare i giornalisti. Non l’ho mai visto vivere gli articoli contro di lui in maniera drammatica. Furono anni di attacchi violenti, tramontava un sistema di potere, c’era il Caf. Poi arrivò la stagione dei processi. Che io ricordi, mai querelato un giornale neanche in quel periodo lì. Politici, sì» (Stefano Andreani, addetto stampa della Presidenza del Consiglio dal 1989 al ’92). [De Marchis, Rep] ##Craxi, Andreotti e Belzebù • A chiamarlo Belzelù fu Bettino Craxi. «Erano i primissimi anni ’80 e c’entrava la P2, per cui Gelli sarebbe stato solo “Belfagor”, un demonio minore». [Ceccarelli, Rep] ##Le battute di Andreotti • «Andreotti sarà ricordato come quello della battuta sul “potere che logora chi non ce l’ha”: un monumento lessicale a un potere senza alternativa, cresciuto negli ultimi anni della Dc; e pagato a caro prezzo quando quella stagione si è chiusa. Peccato che pochi ne ricordino un’altra, di molti anni prima. Chiesero all’allora ministro di qualcosa che avrebbe fatto se avesse avuto il potere assoluto. Andreotti ci pensò un secondo. Poi rispose: “Sicuramente qualche sciocchezza”». [Franco, Cds] • «Io sono una specie di mania nazionale». [Merlo, Rep] • «Una volta, durante un viaggio in Egitto, mi feci fotografare in una gara di gibbosità con le dune e un dromedario. Vinse il dromedario». [Stella, Cds] • «Credo di non aver mai baciato i figli, nella mia vita. E raramente mia moglie. Certo, nei confronti di Totò Riina è stato diverso: per lui l’attrazione è stata più forte di tutto». [Stella, Cds] • «Sono Andreotti, non lo nego. Ma non sono andreottiano». [Stella, Cds] • «Che poi, quando uno si volta, quello che c’è a destra diventa di sinistra». [Ceccarelli, Rep] • «A parte le guerre puniche, mi viene attribuito di tutto». [Merlo, Rep] • «L’unica cosa di cui non sono stato mai sospettato è la complicità con Bruto nell’uccisione di Cesare». [Stella, Cds] • Alla deputata comunista che a Montecitorio gli urlò «presidente, qui fuori stanno picchiando i parlamentari!», rispose: «Mi pare una buona ragione per restare dentro». I diritti delle coppie non sposate? «Quando sento parlare di coppie mi vengono in mente i piccioni». Moro? «Se fosse successo a me, oggi a piangere sarebbe Livia», sua moglie. [Cazzullo, Cds] • «Se si sparge la voce che davvero non invecchio, rischio seriamente la polpetta avvelenata». [Merlo, Rep] • «Quando feci la visita di leva e fui scartato il maggiore che mi visitò disse: lei non durerà sei mesi. Quando diventai ministro della Difesa cercai quel maggiore, volevo invitarlo a colazione per dimostrargli che ero vivo. Non fu possibile: era morto lui». [Gentili, Messaggero] • «Tutti i miei amici che facevano sport sono morti da tempo». [Mei, Messaggero] • «Vorrei esserci alla mia riabilitazione». [Merlo, Rep] • «Vuol sapere cosa vorrei fosse scritto sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole delle epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno chiede: scusate, ma se son tutti buoni dov’è il cimitero dei cattivi?». [Stella, Cds] ##Le battute su Andreotti • «Giulio è un grande statista. Ma non dell’Italia. Del Vaticano» (Francesco Cossiga). [Cazzullo, Cds] • «La volpe che finirà in pellicceria» (Bettino Craxi). [Geremicca, Sta] • Pietro Nenni lo chiamava “il gobbo”. [Ceccarelli, Rep] ##Curiosità su Andreotti • Faceva collezione di campanelli. [Ceccarelli, Rep] • Scriveva con un pennarello a punta sottile, grafia ordinata ma incomprensibile. [Ceccarelli, Rep] • Nel suo ufficio di piazza Montecitorio, dietro una tendina, c’era una specie di dispensa con generi alimentari per i più poveri fra i suoi visitatori. [Ceccarelli, Rep] • Riceveva gli amici nella stanza da bagno mentre si faceva fare la barba dal barbiere pensionato della Camera. [Ceccarelli, Rep] • Si dichiarò alla futura moglie, dotta Livia, detta “la marescialla”, durante una visita al cimitero. [Ceccarelli, Rep] • L’unica scenata di gelosia della moglie, quando Oggi pubblicò una foto di Giulio Andreotti sottobraccio ad Anna Magnani alla mostra del cinema di Venezia. Andreotti spiegò che era ad almeno un ventina di centimetri di distanza dall’attrice. E poi lei non gli piaceva: «Secondo me era appariscente, ma brutta». [Laurenzi, Rep 8/5] • Romanista. Intervenne personalmente per trattenere in giallorosso Falcao. Mei (Messaggero): «Telefonò a mamma Azise e le disse che il Papa sarebbe stato felicissimo se Paulo Roberto fosse rimasto alla Roma. Sosteneva che in fondo non era una bugia ma solo una piccola forzatura, diceva d’aver sentito il Papa durante un’udienza alla Roma domandare se Falcao sarebbe rimasto». • Ha recitato con Alberto Sordi nel Tassista, girato diversi spot, uno con Valeria Marini e uno con un dito nel gorgonzola. [Ceccarelli, Rep] • La comparsata alla trasmissione tv Biberon (1988) a tu per tu con il suo imitatore Oreste Lionello del Bagaglino. [Mastrantonio, Cds] ##Andreotti autore di bestseller • Andreotti fu anche autore di diversi bestseller. Pubblicò solo da Rizzoli 39 titoli, per un totale di 96 edizioni e un milione e 600 mila copie vendute. L’esordio nel 1954 con Pranzo di magro per il cardinale (Longanesi), in cui Andreotti prendeva spunto da un episodio del 1904 per illustrare i complessi rapporti tra Stato e Chiesa nel periodo successivo alla presa di Porta Pia. Il maggiore successo furono i tre volumi della serie Visti da vicino, editi tra il 1982 e il 1985, cui si aggiunsero poi L’Urss vista da vicino (1988) e Gli Usa visti da vicino (1989). In tutto vendettero oltre mezzo milione di copie. Ma scalarono le classifiche anche i due volumi intitolati Onorevole, stia zitto, usciti l’uno nel 1987 e l’altro nel 1992, dove si parlava di battibecchi e incidenti della vita parlamentare: nel complesso oltre 250 mila copie. E Il potere logora... Ma è meglio non perderlo (1990) raggiunse quota 150 mila. [Carioti, Cds] ##A Roma i funerali di Giulio Andreotti • I funerali di Giulio Andreotti si sono svolti in forma privata martedì pomeriggio alla basilica di San Giovanni dei Fiorentini, a pochi passi dalla casa del senatore a vita, in corso Vittorio Emanuele. Chiesa stracolma, la folla applaude il feretro sia all’entrata che all’uscita. Il racconto di Geremicca sulla Sta (8/5): «Arriva Gianni De Michelis. Tra la ressa si fanno largo, Gianni Letta, Gasparri e Mario Monti. Ma arrivano soprattutto loro, i democristiani, divisi in mille partiti, va bene, un po’ al centro, un po’ a destra e un po’ a sinistra: ma accorsi tutti qui per seppellire un altro pezzo di sé. C’è l’amico-nemico di una vita, Ciriaco De Mita; c’è il sodale del più micidiale patto di potere che la Repubblica (la Prima ma anche la Seconda) ricordi: cioè Forlani, l’ultima iniziale vivente di quel Caf (con Craxi e Andreotti) che dall’89 al 1992 si spartì le scarne spoglie di quel che restava di un sistema al capolinea; c’è Emilio Colombo, l’unico sopravvissuto tra i costituenti; ci sono Casini ed Enzo Scotti, Mastella e Zamberletti, Fioroni e Riccardi, Sanza, D’Antoni e si potrebbe continuare. Ma ci sono prima di tutto loro, gli andreottiani: la corrente più “cattiva”, imperscrutabile e meglio organizzata della fu Dc. Ci sono quelli che ci sono ancora, naturalmente, e mancano dunque “pezzi da 90” come Vittorio Sbardella, Salvo Lima e Franco Evangelisti. Ma tutti gli altri, i «responsabili di settore» per conto del Divo Giulio, sono qui: Paolo Pomicino, longa manus in economia; Roberto Formigoni, delegato ai rapporti con Cl; Francesco D’Onofrio, addetto alle riforme... Sono commossi, ma come si sarebbe commosso il loro capo: gli occhi degli andreottiani restano asciutti, come quelli degli altri democristiani...». • La vedova Andreotti, la signora Livia, tenuta al riparo dal dolore, non è neanche venuta in chiesa, anche se sul sagrato c’erano le sue rose. [Messina, Rep 8/5] • «Nel corridoio di casa Andreotti, il giornalista Marco Ravaglioli, genero del Presidente, aspettava davanti alla vetrina con la collezione di ceramiche (magnifiche) i pochi visitatori ammessi alla visita per guidarli sottovoce verso la camera ardente, una stanza che dev’essere stato uno studio, una volta. Dietro la bara, una grande mappa di Roma antica del 1748, disegnata da Giambattista Nolli. Sul lato opposto, una libreria dominata da una vecchia edizione dell’enciclopedia Treccani, un po’ ingiallita dal tempo. A destra, un’altra libreria con una fila di volumi rilegati in nero, senza scritte, e tre statuette di bronzo: un uccello, un cavaliere, una dea orientale. E lui era lì, con il rosario avvolto attorno alle dita cui la morte aveva tolto la celebre sottigliezza, la cravatta di Hermes con il nodo spesso e un mazzo di fiori gialli poggiato sui piedi». [Messina, Rep 8/5] ##Olimpico, i fischi dei tifosi per Andreotti • All’Olimpico, la sera, quando si gioca Roma-Chievo, i fischi della curva Sud durante il minuto di silenzio per Andreotti.