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 2013  maggio 07 Martedì calendario

PER LA TERAPIA DELLA CRISI NON SBAGLIARE LA DIAGNOSI

Questa crisi da dove proviene? Non c’è italiano che non maledica quel giorno in cui si è deciso di introdurre una moneta unica a condizioni inaccettabili e insopportabili. Sono una gran bella cosa una unica moneta, come pure la libera circolazione delle persone e delle merci, però gli aspetti negativi sono lì eclatanti e inconfutabili. Non esiste un’Europa politica e la globalizzazione andava governata con le dovute gradualità: molte economie sono saltate e interi Stati sono ridotti alla miseria; il lavoro è merce rara e con uno o anche con due stipendi (operaio-impiegato, ovviamente) non si vive. L’artigianato, l’industria, il commercio e l’agricoltura sono in corso di rottamazione. Sopravvivono le attività di nicchia, ma nulla incidono nell’enorme contesto. Ci dicono che uscendo da questo vicolo cieco significherebbe scivolare indietro di due
secoli per cui dobbiamo stare forzosamente uniti. Gli autori di questa impostazione veramente non si sentono in colpa? Coloro che li hanno preceduti hanno saputo costruire e ricostruire; gli attuali hanno tentato di andare oltre, però il loro castello si è dimostrato di sabbia. Ritiene fondata, anche se parziale, questa mini analisi?
Franco Bellini
franco.bellini39@libero.it
Caro Bellini, nei giorni scorsi, commentando a caldo le prime parole di Enrico Letta dopo il conferimento dell’incarico, il ministro delle Finanze tedesco ha difeso ancora una volta la linea della fermezza. Credo che il tono piccato di Wolfgang Schaüble rifletta una certa irritazione per le molte critiche che stanno piovendo da qualche tempo sulla testa della Germania. Ma fra le sue dichiarazioni vi è una sacrosanta verità: «Si disconoscono le vere cause dei problemi. E chi non riconosce le cause, fa analisi sbagliate e non arriva alla giusta terapia». L’analisi della sua lettera mi sembra per l’appunto rientrare nella categoria di quelle che non ci metterebbero al riparo da altri errori, simili a quelli commessi in passato.
Quando l’Italia, nel 1992, firmò il Trattato di Maastricht per la creazione dell’Unione economica e monetaria, il ministro del Tesoro era Guido Carli, già governatore per molti anni della Banca d’Italia e più tardi presidente di Confindustria. A Roma, poche settimane dopo, nel corso di una riunione ristretta organizzata dall’Istituto Affari Internazionali, Carli disse che la moneta unica avrebbe creato al tempo stesso grandi occasioni e grandi problemi. Mi sembrò di capire che non si faceva troppe illusioni sul modo in cui la classe politica italiana avrebbe colto le prime e affrontato i secondi. Aveva ragione. Anche quando erano animati dalle migliori intenzioni (come Carlo Azeglio Ciampi e Tommaso Padoa -Schioppa), i suoi successori al ministero del Tesoro non riuscirono a promuovere le riforme che avrebbero consentito all’Italia di usare la moneta unica per meglio affrontare le sfide della concorrenza su scala europea e mondiale. Funzione pubblica, mercato del lavoro, sistema previdenziale, sanità, riorganizzazione degli ordini professionali: tutte le riforme annunciate rimasero in sala d’aspetto o furono oggetto di misure parziali e insufficienti. Non tutti i Paesi dell’Eurozona dettero prova di una tale imprevidenza. Germania e Francia sfondarono il tetto del deficit, ma il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder promise che il suo Paese si sarebbe sottoposto a una cura rigorosa e mantenne la promessa. Pagò un alto prezzo: la scissione del suo partito e la sconfitta nelle elezioni del 2005. Ma ha permesso alla Germania di sfruttare sino in fondo tutte le potenzialità della moneta unica e le straordinarie occasioni offerte dalla economia globalizzata. Altri Paesi hanno seguito l’esempio della Germania, ma in Italia, per ragioni ideologiche o di convenienza elettorale, i governi hanno preferito vivere alla giornata. Alcune riforme sono state fatte dal governo Monti, ma nel peggiore dei momenti possibili, quando avrebbero aggravato gli effetti della crisi. Ora, naturalmente, il cammino da percorrere per uscirne è ancora più lungo. Ma se non avessimo le idee chiare sulle vere cause delle nostre condizioni di salute, correremmo il rischio d’imboccare la strada sbagliata.
Sergio Romano