Alessandra Arachi, Corriere della Sera 07/05/2013, 7 maggio 2013
LO «IUS SOLI» NEI PAESI EUROPEI NON BASTA PER DIVENTARE CITTADINI —
Sono più di vent’anni che in Italia si parla di ius soli. Da quando, cioè, venne varata la legge sulla cittadinanza, tutta basata sullo ius sanguinis. Ovvero: non importa se sei nato in Italia, si diventa cittadini italiani soltanto se si hanno genitori italiani. Oppure se si aspetta di compiere diciotto anni, come è successo a Mario Balotelli, l’italiano nero più famoso d’Italia.
L’italiano al quale Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione, ha chiesto aiuto per diventare testimonial del suo progetto, il primo del suo dicastero: un decreto per far diventare legge lo ius soli. Super Mario ha accettato immediatamente. Nel Paese si è aperta la polemica, nonostante la benedizione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova: «La cittadinanza è uno dei diritti umani che deve essere riconosciuto certamente alle persone che approdano nel nostro Paese», anche se «spetta alla politica decidere la formula».
Diritto di terra o diritto di sangue? In Europa non c’è nessun Paese che adotta lo ius soli nel senso puro del termine, così cioè come viene adottato negli Stati Uniti: se nasci in America diventi americano. Punto. In Europa bisogna andare nella cattolica Irlanda o nella liberal Germania per trovare un diritto di cittadinanza che leghi il minore straniero alla terra in maniera un po’ più decisa.
Per capire: in Irlanda si diventa irlandesi se si nasce da genitori irlandesi. Ma se i genitori sono stranieri basta che uno dei due risieda nel Paese da almeno tre anni prima della nascita del figlio che il bimbo può ottenere la cittadinanza. In Germania la procedura non è molto diversa: uno dei due genitori deve vivere nel Paese da almeno otto anni e avere un permesso permanente da almeno tre. Molto diverso che da noi.
Da noi Mario Balotelli è potuto diventare italiano perché era nato in Italia, ma sarebbero bastati forse pochi mesi di ritardo perché anche super Mario entrasse in quella trafila di richiesta di cittadinanza che sembra non finire mai.
Se lo ius soli diventasse legge, ogni anno avremmo circa 80 mila nuovi bambini italiani. Poi ci sarebbero altri quasi 600 mila minori che sono nati in Italia e potrebbero sognare una cittadinanza «retroattiva», grazie al nuovo decreto. Ma nel frattempo sono altre migliaia e migliaia gli stranieri che, arrivati in Italia bambini, hanno aspettato dieci anni per chiedere la cittadinanza e adesso attendono inutilmente di ottenerla, nonostante tutti i requisiti corrispondenti.
I nostri cugini oltremanica sono decisamente più morbidi. In Gran Bretagna per acquisire la cittadinanza si deve nascere in territorio britannico anche da un solo genitore che sia legalmente residente nel Paese in modo stabile. In Francia vale il doppio ius soli: ovvero se sei straniero nato da genitori stranieri già nati in Francia la cittadinanza è molto più facile.
Forse solamente gli svizzeri in Europa sono più severi di noi: qui la naturalizzazione è possibile solo dopo dodici anni di residenza stabile. E se ieri i deputati di Scelta civica Mario Marazziti e Milena Santerini hanno presentato una proposta di legge per uno «ius soli temperato» (sul modello tedesco e irlandese) e uno «ius culturae» (legato cioè alla formazione del minore), il governatore del Veneto il leghista Luca Zaia si è fatto alfiere di una visione moderata del suo partito che ha criticato lo ius soli da quando il ministro Kyenge lo ha proposto.
Zaia sostiene lo ius sanguinis, tuttavia non è contrario a dare la cittadinanza italiana a un immigrato «ma la deve avere sulla base di presupposti oggettivi», mentre l’ex ministro del Pdl alla Famiglia, il senatore Carlo Giovanardi apre inaspettatamente allo ius soli. Dice Giovanardi: «Una proposta che avanzo contenuta in un disegno di legge che sto presentando al Senato, è quella di concedere la cittadinanza al bambino, nato in Italia da genitori extracomunitari, uno dei quali già dimorante in Italia da almeno un anno, se dopo la nascita risiede legalmente in Italia, al momento dell’iscrizione alla scuola dell’obbligo».
Ha scatenato molte polemiche un post su Facebook del consigliere comunale della Lega per la Toscana a Prato, Emilio Paradiso, il quale ha definito il ministro per l’integrazione Kyenge «nero di Seppia». «Voleva solo essere una battuta satirica», ha tentato poi di spiegare il leghista.
Alessandra Arachi