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 2013  maggio 07 Martedì calendario

VIAGGIO TRA LE MEMORIE: QUELL’INSOLITA PASSIONE PER I MENU’ DEL MONDO

La vita di Giulio Andreotti era fatta anche di menù. Centinaia di menù in ogni lingua e in forme svariate, stampati su cartoncini raffinati, abbelliti da disegni e stemmi araldici o scritti a mano sulla semplice carta gialla di un monastero.

Aprendo le cartelline ordinate e numerate dello smisurato e mitologico archivio storico andreottiano, ci si aspetta di trovare documenti riservati, segreti di Stato o risposte ai misteri d’Italia. Probabilmente c’è molto di inedito su cui lavorare per gli studiosi, negli anni a venire. Ma chi metterà le mani nei 3.500 faldoni che Andreotti ha lasciato ai posteri, vi troverà soprattutto un numero impressionante di menù. Sono i souvenir che conservava viaggiando per il mondo, testimonianze di pranzi di Stato e di altri momenti conviviali che hanno segnato decenni di carriera. Un vezzo che dice molto del personaggio, che conservava con la stessa cura il manoscritto di un discorso pronunciato negli anni ‘50 a pochi elettori di un paesino nel suo collegio elettorale e la lista degli ospiti e delle portate di una cena di gala in suo onore alla Casa Bianca.

L’archivio Andreotti equivale a 600 metri lineari di documentazione, conservati in armadi metallici nei sotterranei dell’Istituto Sturzo, che ha sede nel cuore di Roma a due passi da Palazzo Madama. È qui che nel 2007 il senatore a vita fece trasferire tutte le carte, dopo aver deciso che a custodirle sarebbe stato l’Istituto che ospita anche buona parte degli archivi storici della Democrazia Cristiana.

Andreotti cominciò a «schedare» la propria carriera politica nel secondo Dopoguerra, ma l’archivio conserva documentazione che va indietro nel tempo fino agli anni Venti. Luciana Devoti, la studiosa che lo conserva, da anni è impegnata nella catalogazione di una mole di materiale diviso in circa mille faldoni tematici e in 2.500 altre buste divise in pratiche numerate dall’1 al 10.560, ricche non solo di documenti ma anche di moltissime foto. Uno schedario con 22 mila schede ingiallite, in ordine alfabetico, serviva al senatore e alle sue segretarie per orientarsi nel labirinto di carte. Oggi gli archivisti dell’Istituto Sturzo sono al lavoro per digitalizzare l’archivio e organizzarlo in una banca dati realizzata con il software «Gea-Archivi del Novecento».

Un viaggio nell’archivio Andreotti è un tuffo nel tempo, un compendio di storia e geografia che attraversa epoche e correnti democristiane, ma anche paesi, governi e case regnanti oggi scomparse. I sotterranei dello Sturzo ospitano il tutto in un ambiente asettico, ma ogni armadio che viene aperto rilascia l’odore di carta «d’annata», come in una cantina di memorie. E ogni cartellina che si apre è una sorpresa e testimonia la curiosità di Andreotti per il mondo, la sua capacità di osservare.

Dai viaggi tornava custodendo in borsa non solo menù, ma mappe delle città visitate, programmi di sala dei teatri, cataloghi di musei. E tutto finiva poi in un faldone, metodicamente organizzato per temi. Una scelta che al senatore restava congeniale, ma che rende difficile la vita agli archivisti, più a loro agio con le catalogazioni cronologiche o alfabetiche. Tra i tantissimi faldoni che Andreotti dedicava al mondo del cinema, per esempio, è possibile imbattersi in cartelline dedicate al «Neorealismo», ma documenti e foto su Rossellini o De Sica spuntano fuori in molti altri contenitori. A orientarsi meglio aiuta il catalogatore a schede che Andreotti curava maniacalmente, dove per ogni tema o nome c’è il rimando a molteplici faldoni e fascicoli.

A integrare l’archivio cartaceo sono centinaia di videocassette (anche queste catalogate con cura) e le migliaia di libri della biblioteca personale donata da Andreotti agli archivisti, anche in questo caso ordinati con annotazioni meticolose.

Giulio Andreotti è stato ovviamente molto più di quello che il suo archivio può raccontare, ed è legittimo il sospetto che molte carte andreottiane non siano tra quelle ora a disposizione degli studiosi e degli storici. Navigare tra i 3.500 faldoni che ha lasciato in eredità, però, offre un’indicazione importante per chi dovrà studiarne la figura storica: l’archivio è quello di un uomo profondamente affascinato dalla realtà, in tutti i suoi dettagli. Perfino quelli più banali, come un menù.