Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 04 Sabato calendario

ECCO A VOI GLI IMPRESENTABILI 4 GIANFRANCO MICCICHÉ

Un sito di informazione titola: “Abominevole ritorno”. I commenti dei blog siciliani si scatenano tra accuse seriose e sfottò brucianti. Su twitter l’hashtag #Micciché schizza ai primi posti dei trending topic con commenti molto poco lusinghieri e persino il Corriere della Sera accoglie “con sorpresa” il ritorno al governo di Gianfranco Micciché, il sacerdote del 61 a 0 di Forza Italia in Sicilia, il “colpo grosso” che nel 2001 consacrò l’idillio tra Berlusconi e i siciliani, spezzato pochi anni dopo dallo striscione apparso allo stadio della Favorita di Palermo: “Berlusconi dimentica la Sicilia”, in cui l’ambiguità del verbo (indicativo o esortativo) riassumeva la medesima ambiguità del rapporto dell’elettorato con Forza Italia, che Ingroia (e un’accusa giudiziaria ancora sub judice) considera inquinato dal voto mafioso. Di quel partito Gianfranco Micciché fu il fondatore e il profeta, e colpisce oggi l’ambiguità cui fa ricorso Storace per commentare la sua nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Pubblica amministrazione e alla Semplificazione: “Sette mesi dopo averci fatto perdere in Sicilia Micciché guadagna la promozione a sottosegretario. Scelto da Alfano o Letta (Enrico)?”, è il paradosso provocatorio del leader de La Destra, affidato a un tweet. Reduce dai numeri da prefisso telefonico delle ultime politiche con il suo Grande Sud (raggiunse lo 0,4 per cento) e abbandonato in Sicilia dai suoi fedelissimi, Micciché risorge grazie al suo inossidabile rapporto con Silvio Berlusconi, cui ha sempre manifestato, anche nei momenti di distacco, fervente devozione con qualche puntura di spillo, quando disse che lui ad escort non ci sarebbe mai andato, con evidente allusione al Cavaliere. Che non lo ha mai abbandonato, neanche quando il suo viceré scivolò per ben due volte, nel 2007 e nel 2012, nella sua gaffe più nota: “Cambiamo il nome dell’aeroporto Falcone Borsellino, ci ricorda la mafia e diamo un’immagine negativa per i turisti”.
O QUANDO alle passate Regionali la sua lista raggiunse un en plein di impresentabili. Tra loro Giuseppe Drago, ex governatore siciliano condannato a 4 anni per essersi impadronito appropriato dei fondi riservati della Presidenza, da poco uscito dal limbo dell’interdizione dai pubblici uffici, e Franco Mineo, rinviato a giudizio per usura, intestazione fittizia di beni e peculato, con l’accusa di essere stato un prestanome dei boss dell’Acquasanta Galatolo. Nessun problema per lui, per sua ammissione in radio alla Zanzara, consumatore di droghe pesanti in gioventù. Neanche quando inciampò nell’inchiesta nei confronti del suo collaboratore Alessandro Martello, accusato di portargli la cocaina la sera fin dentro il ministero dell’Economia. Micciché ha negato tutto: “È un semplice conoscente, qui è venuto solo in orario d’ufficio”. Ma ha dovuto ammettere che quell’sms di risposta un po’ volgare (“suca”), il 23 maggio 2002, al collaboratore che lo tempestava di richieste di comunicazione, era suo. E Martello, di rimando: “Aspettavo un tuo cenno carino, ed è arrivato”.
- - -
ANTONIO CATRICALA’ -
Tutti i salmi finiscono in frequenze televisive. E adesso il premier Enrico Letta deve sbrogliare la solita matassa: a chi darà la delega per le comunicazioni il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato? Respinto il tentativo berlusconiano di portare il settore sotto il rinato ministero delle Infrastrutture del fedelissimo Maurizio Lupi, adesso in pole position c’è il solito noto: il 61enne viceministro Antonio Catricalà, che vanta uno strepitoso curriculum di difensore degli interessi televisivi di Silvio Berlusconi. L’estremo tentativo di quel che resta del Pd di strappare la delega per il sottosegretario Claudio De Vincenti deve superare un ostacolo difficilmente sormontabile: Catricalà sembra geneticamente programmato per vigilare sul mercato delle comunicazioni.
IL PRIMO EXPLOIT è datato 1997. Da capo di gabinetto di Antonio Maccanico, ministro delle Poste del governo Prodi, fu il geniale salvatore di Rete4, quando la nuova legge sulle tv doveva mandarla sul satellite. Il capo di gabinetto riuscì a scrivere nella legge che Rete4 sarebbe andata sul satellite ma solo quando si fosse verificato un “effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo”. Anni dopo, intervistati da Report, Maccanico e il suo sottosegretario Vincenzo Vita ammisero di non essersi resi conto della magia.
BERLUSCONI invece apprezzò, tanto da volerlo nel 2001 a Palazzo Chigi come segretario generale della Presidenza del Consiglio, di fatto braccio destro di Gianni Letta. Si coronava così una brillante carriera da superburocrate: avvocato dello Stato a soli 27 anni, poi consigliere di Stato e per molti anni capo di gabinetto, prezioso braccio destro per ministri di ogni colore della prima e della seconda Repubblica.
Quattro anni dopo lo stesso B. lo nominò alla presidenza dell’Antitrust, dove il presidente uscente, Giuseppe Tesauro, aveva appena scritto le pesantissime conclusioni di un’indagine conoscitiva sul mercato televisivo. Catricalà dimenticò prontamente la relazione in un cassetto per ricordarsene solo cinque anni dopo, quando scoprì che l’indagine condotta da Tesauro era invecchiata e ne varò una nuova. All’approssimarsi della fine del suo settennato all’Antitrust, Catricalà ha cominciato a cercarsi un nuovo incarico che ne valorizzasse le indubbie capacità, candidandosi alla presidenza della Consob, dell’autorità per i Lavori pubblici e dell’Authority energia. Ma la ciambella di salvataggio è arrivata a novembre 2011 con la caduta del governo Berlusconi e l’avvento dei tecnici. Per lui si è liberata la poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, occupata fino al giorno prima dal suo punto di riferimento di sempre: Gianni Letta. Finito il governo dei tecnici è arrivato il governo di Enrico Letta. E per Catricalà un’altra poltronissima, nel segno di Letta e di Letta.
- - -
VINCENZO DE LUCA -
La nomina di governo arriva mentre l’inchiesta sul Crescent è a una svolta, con nuove accuse e l’iscrizione di altri indagati, tra i quali un funzionario dell’Agenzia del Demanio. Quel Demanio marittimo che ricade tra le competenze del ministero delle Infrastrutture, il cui nuovo vice ministro è Vincenzo De Luca. Il principale indagato del fascicolo sulla progettazione del maxi caseggiato di piazza della Libertà. Nei giorni scorsi il pm voleva interrogare il sindaco, lui ha preferito depositare una memoria. “Sequestrate subito gli atti al Demanio, c’è il rischio di inquinamento probatorio” sostengono gli ambientalisti del Comitato No Crescent e di Italia Nostra, autori di 17 denunce penali e dei ricorsi alla giustizia amministrativa sui quali il Consiglio di Stato, tra uno slittamento e l’altro, sentenzierà dopo il 15 ottobre (tra le ipotesi c’è quella di annullare le licenze e stoppare per sempre i lavori). Lungo l’elenco di incompiute e di faraonici progetti appesi al filo di vicende giudiziarie che Salerno ha scritto negli anni del deluchismo: la strada del Lungo Irno iniziata nel ’98; la Cittadella Giudiziaria avviata nel 2002, mancano 30 milioni di euro per completarla; il Palasport cantierato nei primi anni 2000 e poi abbandonato; la Stazione Marittima iniziata nel 2005, doveva finire in tre anni e invece è realizzata solo per 80%. Senza dimenticare i sogni rimasti tali senza la posa di un mattone: la Centrale Termoelettrica, il Sea Park, l’Inceneritore. Si spera che le infrastrutture nazionali cui metterà mano il vice ministro non seguano il corso di piazza della Libertà, che ha rischiato di sprofondare per un errore progettuale. Sulla piazza pende un’ulteriore incognita: l’interdittiva antimafia che il 19 aprile ha colpito l’Esa, una delle ditte impegnate nell’opera. In una lettera del 2011 il sindacalista Fausto Morrone illustrò tutti i tentativi di infiltrazione camorristica negli appalti di Salerno: quattro interdittive e cinque casi sospetti.
- - -
FILIPPO BUBBICO -
Sa aspettare, Filippo Bubbico il “generale”, il governatore, l’allevatore d’improbabili bachi da seta, il “saggio” e – da poche ore – il viceministro dell’Interno. Studente universitario a Roma, nel 1975, occupa il giardino abbandonato di via Meda per impedirne la cementificazione. Cinque anni dopo è il sindaco comunista del suo paese. E nel 2005 torna in quella strada da vincitore. Già governatore lucano con il Pd, sottosegretario del governo Prodi, inaugura con Veltroni quel vecchio giardino abbandonato che, l’ex sindaco di Roma, ha trasformato in un parco. Nato a Montescaglioso (Matera) 59 anni fa, di battaglie ne ha combattute tante. Ha perso quella con i bachi da seta: ebbe l’idea di produrre - con l’utilizzo dei fondi europei – un allevamento in Lucania. Fu un flop. Nell’inchiesta Toghe Lucane, l’ex pm Luigi de Magistris, lo definì “il collante tra quella parte della politica, della magistratura e degli imprenditori che fanno affari in violazione di legge”. Ma l’ex pm fu trasferito prima di concludere l’indagine. E chi l’ereditò decise di archiviare. Nessuna condanna ma è ancora indagato per la nomina, nel 2005, di un consulente in Regione: per l’accusa fu una nomina illegittima: il fascicolo, sembra destinato alla prescrizione. Nel novembre 2003 vinse la battaglia con il governo Berlusconi, che voleva costruire a Scanzano Jonico il deposito unico per le scorie nucleari. Fu soprannominato il “generale Bubbico”: guidò per la strade della Basilicata – 650mila abitanti – un corteo di 100mila persone. Ma dimenticò di rivelare un dettaglio: lui, di quel deposito, dal Governo aveva saputo in anticipo. E non avvertì i concittadini. Dieci anni dopo, a marzo di quest’anno, il presidente Napolitano lo convoca tra i dieci “saggi” che devono dirimere lo stallo istituzionale del post-elezioni. Poi deve aspettare solo qualche settimana: adesso Bubbico è tornato al governo. Da viceministro dell’Interno.