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 2013  maggio 06 Lunedì calendario

SUICIDI? UNO CHOC MA NON NEI NUMERI

Ieri ci siamo occupati di omicidi e abbiamo scoperto, non senza sorpresa, che noi italia­ni siamo scarsi anche come criminali, ben­ché la mafia, la ’ndrangheta e la camorra ci diano una mano per non «sfigurare» troppo nel­le statistiche: i delitti diminuiscono a vista d’oc­chio e negli ultimi lustri siamo scesi sotto quota 3.000 l’anno. Fra l’altro abbiamo appurato che tra i morti ammazzati sono più numerosi gli uo­mini delle donne, quindi parla a vanvera chi invo­ca pene particolarmente severe per coloro i quali commettono femminicidio. Certamente fa più notizia una ragazza sgozza­ta dopo uno stupro che non un pensionato fatto secco da un rapinatore: della prima si occupano le televisioni importanti; del secondo - che finendo all’altro mondo alleg­gerisce il deficit dell’Inps - si cura al massimo qualche gaz­zetta locale, un trafiletto in cronaca e pedalare. In ogni ca­so, chi dipinge - lo facciamo tutti - il nostro Paese come la culla della delinquenza, altro che del diritto, sbaglia sapen­do di sbagliare. Transeat.
Oggi, per completare l’ope­ra di controinformazione, ci dedichiamo ai suicidi, di cui abbiamo esaminato le cifre fi­nora trascurate dai giornali, impegnati come sono a dare spiegazioni sociologiche de­gli «insani gesti» compiuti da poveracci soccombenti nelle liti con il fisco. Anche in que­sto tragico campo c’è l’abitu­dine di raccontare frottole, ma senza l’aggravante della cattiva fede.
Secondo l’Istat, gli italiani che si sono tolti la vita nel 2012 sono stati 3.048 ovvero 5,6 ogni 100mila abitanti, me­dia nazionale. In assoluto, so­no troppi, ne conveniamo. Ma se compariamo i dati di ca­sa nostra con quelli della Fran­cia, dove i suicidi sono stati 11mila nello stesso periodo, dobbiamo ammettere di esse­re un popolo strafelice, nono­stante Equitalia, la disoccupazione crescente, l’economia che langue, lo spread altale­nante e la penuria di euro. Si dirà che i transalpini costitui­scono un’eccezione negati­va. Può darsi. Ma che dire allo­ra dell’invidiata e stimata Germania che, grazie ad Angela Merkel, domina i mercati e fa la voce grossa in Europa? I to­gnini che hanno optato di affi­dare l’anima al barcaiolo Ca­ronte sono stati 10mila, poco meno dei francesi e oltre tre volte i nostri compatrioti.
Nulla da obiettare? Le stati­stiche che riportiamo non pro­vengono dalla mutua, ma dal­l’Oms (Organizzazione mon­diale della sanità) e dal Cen­tro culturale Die Kulturinitia­tive. I tedeschi che si uccido­no volontariamente supera­no quelli che crepano per incidenti, violenze e droghe. Si vede che non stanno meglio di noi sotto il profilo della sereni­tà. Idem, a maggior ragione, i francesi.
Altra statistica illuminante. Rispetto agli anni Novanta, gli italiani suicidi sono calati in misura assai considerevo­le, passando da una media di 8,3 ogni centomila abitanti, a 5,6. Da notare che il tasso di suicidi nel mondo è salito ne­gli ultimi 45 anni del 60 per cento. Sapete perché? Uomi­ni e donne hanno cominciato a sopprimersi anche nei cosid­detti Paesi in via di sviluppo. Probabilmente è il benessere che danneggia la salute men­tale, non la miseria.
Nella speciale classifica in­ternazionale di chi si è dato la morte, noi siamo al 64˚ posto, la Francia al 24˚, la Germania al 47˚. Da qui si evince che nemmeno in questa lugubre materia eccelliamo; difatti, tra i Paesi della Ue, siamo piaz­zati in fondo alla graduatoria. Inutile addentrarsi in compli­cate analisi: noi preferiamo ti­ra­re a campare in qualche mo­do di qua, piuttosto che trasfe­rirci nell’aldilà con la speran­za di trovarci il Paradiso. O, forse, abbiamo adottato la fi­losofia partenopea: piangere e fottere. A morire c’è sempre tempo. Non lo dico così per di­re. In effetti, il più basso tasso di suicidi nella penisola si regi­stra in Campania: 2,6 ogni 100 mila abitanti. Mentre in Friuli Venezia Giulia si riscontra un’impennata: 9,8; idem in Valle d’Aosta (9) e in Trentino Alto Adige (8,7). Rammento che la media nazionale è di 5,6. Nel Mezzogiorno non ci sarà lavoro, i redditi saranno da fame, si pagherà il pizzo, però non manca il buonumo­re che aiuta a sopportare la fa­tica di vivere.
C’è solo un’osservazione da aggiungere. La nostra propens­ione a non cedere alla de­pressione non è solamente ca­ratteriale; è accertato: qui si mangia meglio che altrove, il clima è buono, non siamo an­cora riusciti a distruggere l’ambiente, le case (anche le più bruttine) sono ospitali. So­prattutto, abbiamo imparato nei secoli ad arrangiarci. È un’arte che, se esercitata bene, tiene lontano dalla tom­ba.