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 2013  maggio 06 Lunedì calendario

TUTTE LE BUFALE SULL’AUSTERITY CHE OSTACOLANO LA RIPRESA

Povera Italia. Così piena di sensi di colpa, di miopie, di squilibri, di insufficien­ze. Finito lo sfogo, andiamo con ordine e razionalità, come sem­pre, a denunciare l’imbroglio di questa crisi e di come è stata af­frontata dall’Europa a trazione tedesca. Ora se ne può uscire, ma per uscirne dobbiamo fare chiarezza. E per questo è neces­sario iniziare a usare le parole e le definizioni in modo corretto.
1.Differenza tra austerity e consolidamento fiscale Il vero scontro è tra austerity e consolidamento fiscale (altrimenti det­to rigore fiscale), spesso consi­derati la stessa cosa. Ma la stes­sa cosa proprio non sono: consolidamento fiscale implica un progressivo conseguimento di stabilità di bilancio (conti in or­dine) e una stabilizzazione del­la dinamica economica, cioè della crescita. Mentre per auste­rity si intende la riduzione non sostenibile del deficit di bilan­cio, che, ad esempio in Italia si è accompagnata a un aumento del rapporto debito/Pil.
2.La diagnosi della crisi italiana L’Italia sta attraversando un periodo di recessione per effetto di una caduta dei consu­mi e degli investimenti, che si è sovrapposta a una riduzione progressiva di competitività. Il primo problema è tipicamente di breve periodo. Il secondo è tipicamente strutturale e quindi di medio-lungo periodo. La dif­ficoltà del governo è che, nelle condizioni date, deve affrontar­li entrambi con interventi im­mediati. La questione è che il se­condo problema non si affron­ta dal lato della domanda. L’espansione di bilancio o mo­netaria non ne è la cura. Ma è an­che vero che non lo è una con­trazione della domanda quale quella ingenerata dalla politica di austerity.
3.La dottrina dell’austerity L’idea che l’austerity produca effetti espansivi in un contesto recessivo non ha fondamento né teorico né empirico. Il fonda­mento teorico dovrebbe essere trovato nell’assunzione che riduzione di debito e deficit tran­quillizzerebbe famiglie e impre­se e questo «rasserenamento» dovrebbe indurre famiglie e im­prese a sp­endere di più per consumi e investimenti. In altri ter­mini, una stretta di bilancio do­vrebbe avere effetti positivi di breve periodo anche sulla do­manda aggregata. Questa tesi non ha fondamento.
4.Non ci sono le condizioni perché l’austerity funzioni La ri­cetta dell’austerità ha funzionato a volte, e parzialmente, solo in presenza della possibilità di essere accompagnata da una forte svalutazione, con margini per una riduzione consistente dei tas­si di interesse, per Stati non gran­di e in un contesto di espansione della domanda negli altri paesi, cioè con una compensazione tra domanda interna ed estera. Que­ste condizioni oggi non sono pre­senti. È evidente che anche la ri­duzione dei tassi guidata dalla Bce non ha effetti sostanziali per­ché la compressione di bilancio impedisce la trasmissione della politica monetaria in assenza di coerenza tra politica monetaria e politica di bilancio.
5.Le critiche della dottrina internazionale Quanto esposto fino ad ora è l’abc della teoria eco­nomica. Non desta stupore che quei sostenitori dell’austerity che avevano adottato come Bib­bia un recente paper di Rogoff e Reinhard, due economisti di Harvard si siano trovati in imba­razzo di fronte alla contestazio­ne di questa tesi da parte di ricer­catori che hanno scoperto errori banali commessi dai due autori nell’uso dei dati. D’altra parte, la vera contestazione empirica del­la politica dell’austerity viene dai fatti, cioè da quel che sta suc­cedendo in Europa.
6.Le argomentazioni della Germania Vi è anche un altro ti­po di argomentazione: si basa sull’idea che la compressione della domanda aggregata possa determinare la riduzione di co­sti e prezzi facendo recuperare competitività all’economia.Na­turalmente, anche questa posi­zione è inconsistente. Lo sareb­be anche dopo tutte le riforme strutturali dirette a rendere tutti i mercati ultra concorrenziali, ma lo è ancor di più in una situa­zione in cui i mercati non lo sono affatto.
7.La verità sull’austerity In re­altà, la politica dell’austerità può portare a riduzione di costi e prezzi solo attraverso un au­mento della disoccupazione e con la distruzione di parte del si­stema produttivo. La stessa di­scesa dell’inflazione attuale e at­tesa non è segno di un aggiusta­mento virtuoso in corso, ma so­lo di un avvio di spirale deflatti­va. L’implicazione inevitabile di questo scenario è il default finan­ziario che è, appunto, il contra­rio del consolidamento fiscale.
8.Shock di domanda e shock di offerta La conclusione è che non esiste un prima e un dopo, nel senso che prima si azzera il defi­cit e poi si pensa a rilanciare l’economia. Non si tratta solo di farsi carico del malessere sociale, ma di dare un segnale ai mercati altrettanto forte dell’annuncio di Mario Draghi, quando dichiarò che ogni azione sarebbe stata adottata, sul piano monetario, per difendere l’euro. Segnale che ha interrotto la speculazione sui titoli dei debiti sovrani. Ma è chia­ro che un’azione dirompente va anche adottata dal lato dell’offer­ta. E qui, di fronte al mutamento della politica di bilancio, si richie­de una risposta forte da parte di imprenditori e sindacati. Propor­re patti tra le due parti a spese di una terza parte, cioè dello Stato, non funziona. Neppure ci si può perdere dietro altre trattative sul­la modifica del mercato del lavo­ro. È necessario uno shock di produttività, non a spese dello Stato, per rendere fattibile il mutamento di strategia ­di bilancio e per aiutare l’Europa ad accettare, anche nel suo bene complessivo, il mu­tamento di rotta.
9.Il nuovo governo Il governo nasce dal dato di fatto che non c’è una maggioranza politica alternativa. Ci siamo chiesti spes­so se il governo Monti si potesse permettere o meno di contrastare o rifiutare la linea voluta dalla Germania. Sinceramente non si è mai capito quale fosse la verità. Ma l’esecutivo Monti ormai è archiviato. Se nel gover­no attuale prevale l’opinione che il rilancio della domanda è tanto essenziale quanto porsi il problema del differenziale di competitività, questa conver­genza è già una base politica for­te per costruire un programma d’azione condiviso e per dare forza alle trattative in Europa.
10.Che fare quindi? Poi viene il cosa fare in concreto. Primo, ri­durre le tasse. Già, ma quali e in che misura? È importante con­siderare gli effetti che le varie tasse su cui si può operare possano avere effetti rapidi su sin­goli settori cruciali per l’occupa­zione perché più rapidi a reagire e per gli estesi effetti indotti. Naturalmente parliamo delle tasse sugli immobili. La ragio­ne è semplice: gli investimenti in edilizia hanno il più alto coef­ficiente di attivazione sull’eco­nomia. In questo senso,l’elimi­nazione dell’Imu sulla prima casa dal 2013 e la restituzione di quella versata nel 2012 farà ri­partire la domanda, i consumi, e con essi il settore edilizio, il mercato immobiliare e tutto l’indotto. Quanto, invece, alla riduzione delle tasse sul lavoro, indicata come priorità da molti osservatori, tra cui l’Ocse, la Legge di Stabilità per il 2013 ha già previsto un fondo di 1,2 mi­liardi per la detassazione dei sa­lari di produttività e ha stanzia­to ­un miliardo all’anno per la riduzione dell’Irap.
L’economia può crescere solo in un quadro di aspettative posi­tive. È questo il punto su cui Enrico Letta, deve lavorare fin da subito: dal doppio shock sul­l’Imu, alla più complessiva riforma della tassazione sugli im­mobili, con particolare riferi­mento all’alleggerimento di quelli funzionali alle attività agricole e dei capannoni indu­striali; via libera alla riforma di Equitalia; via libera alla riforma complessiva del sistema fisca­le, con il passaggio della tassa­zione dalle persone alle cose; via libera alla riforma del sistema delle autorizzazioni per l’av­vio di nuove attività; via libera alla riforma del welfare pensio­nistico e del mercato del lavo­ro, con la correzione delle leggi Fornero; via libera alla riforma della giustizia; via libera alla più complessiva riforma delle istituzioni, dal presidenziali­smo al superamento del bica­meralismo perfetto, alla rifor­ma della Legge elettorale e del sistema dei contributi pubblici ai partiti.
Tutto entro l’estate, come se­gno di credibilità della coalizio­ne di governo. Non c’e più tem­po. Se sì, in un unico grande pac­chetto di provvedimenti di na­tura economica, da approvarsi in 3 mesi, ce l’avremo fatta. Se no, al voto!