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 2013  maggio 05 Domenica calendario

CAPITE LA LIRA, CAMBIATE L’ITALIA

La decisione americana di aprire un credito in dollari al nostro Governo per l’equivalente speso in Italia dalle truppe di quel Paese e le notizie sulla fissazione del cambio del franco e del marco rispetto al dollaro e alla sterlina fatta dagli Alleati, hanno dato motivo al riaccendersi di una discussione circa la cosidetta bontà del cambio di 100 lire per dollaro e di 400 per sterlina, fissato dagli Alleati nei nostri confronti.
Scomparso l’incubo delle emissioni alleate in Italia per effetto delle quali mentre aumentava la carta in circolazione, diminuiva la disponibilità di beni, consumati o comunque tolti dal mercato a seguito degli acquisti delle truppe, è accaduto quello che spesso si verifica agli italiani: dall’estremo pessimismo si è passati ad un estremo ottimismo sulla sorte della nostra moneta, e di conseguenza sono riaffiorate le malinconiche considerazioni circa l’ingiustizia che sarebbe stata fatta nei nostri riguardi rispetto ad altre nazioni con la fissazione del nostro cambio a 100 lire per dollaro e a 400 lire per sterlina.
Da questo a scivolare su una questione di prestigio il passo è brevissimo ed esso ci condurrebbe immediatamente a rimettervi nella posizione, che fu già fatale all’Italia, nella quale si mise Mussolini col discorso di Pesaro pretendendo di misurare la fortuna, la dignità e il prestigio del Paese col metro del cambio della moneta. Bisogna dunque dire alto e forte che alla base di queste storture mentali esiste una sola cosa: l’ignoranza. Ignoranza del meccanismo attraverso il quale le monete si svalutano e si rivalutano. (...)
La fissazione d’imperio di un cambio alto o di un cambio basso non è però senza gravi conseguenze nell’interno della nazione. Quando il cambio è fissato artificiosamente alto, il governo che vende le monete estere agli importatori regala loro del denaro che essi intascano come un extraprofitto perchè vendono all’interno le loro merci sulla base dei prezzi correnti che sono più alti di quelli che risulterebbero se si tenesse conto del costo al quale essi hanno comprato il cambio; nello stesso tempo gli esportatori che sono tenuti a vendere allo Stato a poco prezzo le monete estere da essi ricavate, vedono ridursi o annullarsi i loro guadagni e devono ridurre o cessare le esportazioni. Il contrario avviene allorché il cambio è fissato artificiosamente basso; in tal caso si riducono le importazioni e, in un Paese come il nostro, cresce la disoccupazione e si arricchiscono ingiustamente gli esportatori.
Nell’uno e nell’altro caso l’intero corpo sociale riceve un danno perché si manife-stano perturbamenti artificiosi nella produzione e il volume degli scambi interni e di quelli internazionali si contrae, riducendosi quindi la produzione di reddito nazionale, la qual cosa è nociva a tutti.
In tali casi si deve ricorrere a concedere premi statali all’esportazione e si dovrebbe ricorrere a determinare tassazioni eccezionali di profitti, cioè a creare meccanismi farraginosi di interventi statali che sarebbero evitabili solo che i cambi fossero stabiliti al giusto livello. Vien lecita la domanda: come si fa ad accertare quale sia la misura di un cambio livellato? La risposta è ovvia. Non essendovi oggi libertà di commerco e libertà di contrattazioni in cambi, non vi è che un solo mezzo per commettere il minor numero di errori: provare e riprovare. Il nostro Governo dovrà adoperare i dollari che gli sono stati messi a disposizione per procedere ad acquisti sul mercato americano; trasportati i generi in Italia li venderà ai cittadini al più alto prezzo che potrà conseguire: queste operazioni potranno fornire un qualche indizio sulla equivalenza o meno del dollaro rispetto a 100 lire. Analogamente se il nostro Governo potrà avere degli osservatori economici negli Stati Uniti e rilevare a quali prezzi si vendono colà i nostri prodotti che pure stiamo esportando si avrà un altro elemento per giudicare della bontà o meno del cambio a 100.
Solo dopo ripetute e abbastanza vaste esperienze del genere ora indicato, si avranno elementi per fissare con gli alleati un cambio meno arbitrario di quello attuale.
Ma resti bene stabilito fin d’ora che ove tali elementi dovessero portare a concludere che il cambio reale del dollaro fosse diverso da quello fino ad oggi fissato, noi italiani non dovremmo vestirci a lutto se dovessimo domandare di spostare da 100 a 150 o a 200 l’attuale cambio di 100, come non dovremmo saltare dalla gioia se dovessimo chiedere che il cambio fosse fissato a 75 o a 50 lire.
Una volta stabilito un cambio più aderente alla realtà, noi dovremmo desiderare che esso non rimanesse fisso, bensì si muovesse secondo il valore futuro della lira e del dollaro o delle altre monete, ciascuna in sé stessa considerata.
Purtroppo, infatti, i nostri prezzi interni espressi in lire si muoveranno per infinite cagioni, così come si muoveranno per infinite cagioni i prezzi interni americani espressi in dollari, quelli inglesi espressi in sterline eccetera.
Poiché, per quanto si è detto, è desiderabile che il cambio esprima in ogni momento l’esatto rapporto fra i prezzi interni dei Paesi fra i quali esso si stabilisce, dato che una artificiosa immobilità del cambio produce danni perchè ostacola gli scambi fra le nazioni, è chiaro che sarebbe desiderabile di rivedere di tanto in tanto la misura del cambio per adeguarla il più possibile alle variazioni dei prezzi interni delle diverse nazioni.
Si comprende come in questi tempi di scambi limitatissimi gli Alleati non si preoccupino di mutare i tassi dei cambi di guerra originariamente fissati per i vari territori sui quali operano i loro soldati, e ciò sopratutto per non portare cambiamenti nelle consuetudini che i soldati stessi acquistano in ciascuna nazione dove mettono piede. Ma con l’allargamento degli scambi, e la normalizzazione dei rapporti internazionali, ciò non potrebbe durare a lungo senza gravi conseguenze. Gli Alleati sono troppo maestri di finanza per non ricordare che in tempi normali le contrattazioni in cambi si fanno per telefono e che in genere una misura di cambio dura per poche ore, talvolta soltanto per minuti, e pertanto essi sanno valutare quali immensi danni economici possano derivare dalla imperativa fissazione dei cambi quando essa debba valere per periodi di mesi o addirittura di anni.
L’Italia pagò con i moti sociali del 10-11 il passsaggio del cambio del dollaro da lire 6,50 fissato artificiosamente durante la guerra a 28 circa cui sbalzò quando caddero gli accordi internazionali di stabilizzazione. Sarà vera sapienza degli Alleati e dimostrazione della loro comprensione per questa Europa dissestata e per i loro stessi interessi, se essi al momento opportuno rinunzieranno, in materia di cambi, al criterio dell’immobilità, per adeguarsi alla mutevole realtà economica, non già ridando libertà al commercio dei cambi, che questo sarà impossibile per parecchi anni, sibbene variando a intervalli non troppo lunghi di tempo i tassi dei cambi a seconda del variare del rapporto fra i prezzi interni dei diversi Paesi.
Durerà eterna l’instabilità e con essa l’incertezza? È augurabile che non. Cesserà quando il mondo sarà guarito dei gravissimi mali attuali e non ne sorgeranno altri, quando cioè le economie interne dei singoli stati saranno assestate e gli scambi internazionali saranno ritornati copiosi.
Nel frattempo, accanto alla grande ma-lata che è l’economia mondiale, veglieranno i medici sapienti delle conferenze internazionali che elaboreranno e metteranno in esecuzione piani di interventi tendenti alla stabilizzazione.