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 2013  maggio 05 Domenica calendario

L’ODORE DELLA SCRITTURA

«La memoria può richiamare in vita qualsiasi cosa tranne i profumi benché nulla faccia risorgere il passato come un profumo che gli sia stato associato.», constatava Nabokov. Proust, che lo aveva svelato ben prima di lui, era costretto dall’asma a mettere al bando quei messaggi odorosi. Quando gli amici si presentavano, Céleste, la celebre cameriera, li annusava, congedando inesorabilmente quelli impregnati di qualsiasi essenza. Una sera la donna aveva rifiutato di ricevere un gruppo di aristocratiche, dicendo: «Il signore teme il profumo delle principesse». «Vorrei qualcosa che non avesse bisogno di espressione e di forma, qualcosa di puro come un profumo», vagheggiava Flaubert. Ma per Philippe Claudel, i profumi sono la tastiera su cui suonare l’elegia dei ricordi.
Dal sentore della cannella a quello del sapone, per lui i profumi sono «barche che ci accompagnano in una dolce deriva».
Il profumo può essere indispensabile. Incarcerato alla Bastiglia, il giovane Voltaire chiese, oltre ai libri, un flacone di profumo. Prima di uscire, gli uomini eleganti come Dorian Gray versavano poche gocce di essenza sul fazzoletto, un’invisibile corazza contro i cattivi odori della strada. Se Dorian «si mise a studiare i profumi, i segreti della preparazione, distillando lui stesso oli intensamente profumati», Wilde optava più semplicemente per il Floris Malmaison. Alla sua prima esperienza con una prostituta, D’Annunzio, spezzò una fiala di profumo al gelsomino, per creare l’atmosfera adatta. «I profumi rischiarano l’orgia come in antico la rischiaravano le fiaccole». Munificamente omaggiato da Coty, lo scritttore se ne faceva preparare espressamente su sua indicazione. Ma l’Aqua Nuntia, frutto di ricette del Quattrocento, chiusa in flaconi medievaleggianti, sigillati con la ceralacca fu un fallimento commerciale. Più tardi, al Vittoriale, il Vate mostrava, estraendola un cofano scolpito, la sua collezione di essenze, dall’olio di rose di Lucrezia Borgia alla boccetta di profumo di Macchiavelli.
Loti, che faceva sognare le parigine con i suoi romanzi ambientati in Oriente, si aggirava in abiti orientali intrisi di uno strano profumo, una miscela di benzoino e Patchouli. Prima di uscire, Barbey d’Aurevilly, il teorico del dandysmo, si aspergeva la barba e il pizzo d’acqua di lavanda.
Cocteau usava solo un profumo inventato dall’imperatrice Eugenia, l’Eau-miracle, un mix di di citronella e d’oppio e, quando la boccetta si esauriva, tempestava la madre di telegrammi angosciati: «Ancora niente Eau-miracle! È terribile!». La ricetta, venduta a Coco Chanel, diventò con grande successo Eau de Chanel.
Non per tutti i profumi erano sinonimi di raffinatezza. Hemingway apprezzava «l’intenso e volgare profumo delle puttane, sostanzioso come un bel panettone natalizio».
Altri autori usavano il profumo per suggestionarsi. Lord Byron, sensibile a quello del tartufo, ne teneva sempre uno sulla scrivania. «La mia anima, confessava Baudelaire, volteggia sul profumo come quella degli altri uomini sulla musica».
Appassionato di profumi, Wagner, per concentrarsi meglio sulla stesura del «Parsifal», si inebriava delle fragranze degli oli essenziali della vasca da bagno attigua allo studio. Quando Maupassant visitò la stanza del musicista al Grand Hotel des Palmes di Palermo, gli spiegarono, davanti all’armadio di legno di rosa: «Voleva che tenessero la sua biancheria lì dentro dopo averla impregnata di essenza di rose».
Nel modesto appartamento di Poe aleggiava sempre un profumo. Baudelaire sognava «profumi forti per i quali qualsiasi materia / è porosa. Si direbbe che penetrino il vetro” e deprecava che Nerval si fosse suicidato con degli stracci sporchi invece di usare veleni profumati.
Gli aromi alimentano sogni. Addolorato per un’assenza della madre il piccolo Truman Capote bevve un flacone di profumo dell’assente, sperando di farla tornare. Malaparte sognava di portare a Grace Kelly l’Acqua di Capri, una sua versione del profumo dell’isola.
Quando Colette aprì un istituto di bellezza battezzò i suoi nuovi profumi. dall’Eau Couleur de Rose, all’Eau Couleur d’Abricot. Non sempre però i profumi alludono alla natura in fiore. Dorothy Parker ordinava a Londra un profumo alle tuberose, «quello usato dagli imbalsamatori per mascherare l’odore delle salme».
Ma resta irraggiungibile il gusto di T.E. Lawrence per l’odore del deserto: «È il profumo migliore; non sa di nulla».