Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 05 Domenica calendario

LA METAMORFOSI DI RENZI COSTRETTO A FARE L’ESTREMISTA

Provateci voi essere fioren­tino e avere il Pisano in casa, non più sull’uscio. Pisano, premier e, somma iattu­ra, pure democristiano. «An­ch’io lo sono», sta al gioco Mat­teo Renzi con la coscienza che tutti gli schemi sono saltati e la tattica va rivista. «L’amico» Enri­co Letta - lo chiama così, come un tempo tra capicorrente che si sarebbero scannati - siede a Palazzo Chigi, dirige il traffico, stabilisce buone correnti con Al­fano, gode dei sostegni adatti (chissà se basteranno). Il fatto è, visto da Palazzo Vec­chio, che tuttavia questo è il peg­gior governo che ci si potesse aspettare. Peggiore perché insi­ste sulle medesime corde suo­nate dal sindaco fiorentino, ri­schia di erodere dalle fonda­menta il consenso costruito fin qui. Ma non lo si può nemmeno dire, guai ad attaccarlo diretta­mente. E se togliete al fiorenti­no anche il gusto della lingua, ecco che gli avete strappato l’anima. Così si trova il giovin Renzi, costretto dalla guerra fra­tricida a trovare strade alternati­ve, a congiure non da Pazzi, a in­ventarsi giusto fraseggio. Anda­re all’attacco con l’aria di uno che difende. Lo vede chiaro il sindaco di Bari, Michele Emilia­no, che ieri addossava al gover­no la colpa di «trascinare Renzi nel limbo del grande inciucio».
L’alleanza con il Pdl avvelena l’acqua in riva all’Arno. Renzi è costretto un giorno a colpire il Cav, l’altro a maramaldeggiare su Bersani, il terzo a giocare con ironia sul destino cinico e baro che gli ha portato «l’amico Let­ta, col quale si deve esser leale». Da democristiano defraudato, riscopre le incompatibilità ber­lusconiane, vede il Cav pensio­nato e non Papà della riforma. Nel frattempo (gufando in cuor suo sul solito Pisano) si tiene al­la larga dal Nazareno, ovvero il covo di vipere dal quale si ri­schia di non uscir vivi. Insensibi­le ai richiami di chi lo considera­va fino a ier l’altro «appestato», riceve con soddisfazione l’inve­stitura di Carlo De Benedetti co­me «evidente unico leader spendibile per il Pd, perché rap­presenta una persona nuova, pragmatica, perché ha fatto il presidente di provincia, perché ora è sindaco, ed è giovane». Se vogliamo, logica da fan più che da king-maker. Nulla gli sareb­be precluso, se volesse prender­si la briga della guida di un car­retto del genere. Anche chi, co­me Emiliano e Civati, flirta con i Cinquestelle, lo considera una «risorsa». «Solo lui può essere il capo del partito - dice Emiliano -, è una delle poche persone che ha legittimazione popolare e lu­cidità politica, nessun altro può vantarle». Dei vecchi sia D’Ale­ma che Veltroni (tempi e moda­lità diverse) l’hanno, più che perdonato, agguantato come ciambella di salvezza. Lui ri­cambia a modino, guardando «oltre la rottamazione» (titolo dell’ultima, si fa per dire, sua fa­tica letteraria). Perché «non c’è più nulla da rottamare», dice, e perché «ci sono rimasti Bindi e Fioroni invece di D’Alema e Vel­troni... Non proprio un grande affare».
Renzi ora deve tenere assie­me il partito, resuscitarne l’or­goglio, interpretarne lo scon­tento dell’ala sinistra. E mante­nere pure profilo basso verso Letta il Pisano, arrivato al pote­re «con una scorciatoia», lamen­ta. La metamorfosi renziana è già in atto, lenta ma costante. «Sa di essere obbligato a un at­teggiamento garbato nei con­fronti del governo in carica, ma dovrà meditare bene le mosse successive», consiglia Emilia­no. Dopo la débacle bersania­na, il sindaco s’era trovato a gio­care con triplice possibilità di vittoria, per un politico, la mos­sa perfetta. Spingere Bersani a governare con il Pdl, costringen­dolo al suicidio, e attendere che il fiume della storia gli conse­gnasse nuove elezioni. Alterna­tiva, ricevere egli stesso l’incarico e arrivare in carrozza a Palaz­zo Chigi. Questa possibilità, fi­no alla notte prima dell’incari­co a Letta, era in più che in pie­di. Anzi, quasi fatta: i suoi gasatissimi, mentre lui marpioneg­giava con le parole. Era caduta persino la pregiudiziale del pas­sag­gio elettorale per sedere a Pa­lazzo Chigi. Poi, racconta lui stesso, la telefonata che ti stron­ca la vita, quella di Alfano, che rendeva noto: «Il Cav preferisce Amato. O Letta». Maledizione, il Pisano si prendeva la rivincita della Cascina, Firenze pagava dazio. Ferma un giro, magari per sempre.