Fosca Bincher, Libero 4/5/2013, 4 maggio 2013
PER IL FISCO LETTA È UN BAMBOCCIONE
Enrico Letta non dovrà fare aspettare mesi gli italiani per conoscere i redditi del premier in carica come accadde con Mario Monti. Pochi mesi prima di essere nominato presidente del Consiglio il vicesegretario del Pd aveva infatti messo on line sul sito della Camera la sua ultima dichiarazione dei redditi disponibile: quella del 2012, relativa ai guadagni dell’anno precedente. Così si scopre che a palazzo Chigi è arrivato il numero uno più povero della storia della seconda Repubblica. Il suo reddito imponibile è infatti di 141.697 euro, su cui viene pagata una imposta netta di 53.881 euro, con una pressione fiscale quindi del 38,02% inferiore a quella di gran parte degli italiani. Qualsiasi altro premier dal 1994 in poi aveva una dichiarazione dei redditi più alta: distanza stratosferica da quella di Silvio Berlusconi, notevole da quella di Lamberto Dini, larga da quella di Giuliano Amato, assai inferiore a quella di Romano Prodi. L’unico che si avvicinava a quel reddito era Massimo D’Alema, che nel 1998 aveva dichiarato 285 milioni di lire, pari a circa 147 mila euro. Ma si trattava appunto di tre lustri fa, e quella cifra valeva assai più che ora.
È talmente un premier «povero» Enrico Letta e si sente così giovane nonostante i suoi 46 anni da risultare per il fisco italiano il più classico dei bamboccioni. Lui vive a Roma ormai da una vita, è sposato con Gianna Fregonara, giornalista capo della cronaca di Roma del Corriere della Sera, e ha tre figli. Ma il suo domicilio fiscale è ancora quello da studente: con papà e mammà a San Giuliano Terme in provincia di Pisa. In tempi di tagli ai costi della politica questo stratagemma fiscale avrà anche i suoi vantaggi: l’ufficio di presidenza della Camera sta per tagliare infatti i 3.503,11 euro netti mensili di diaria per chi è residente a Roma (42.037 euro netti all’anno che non entrano nella dichiarazione dei redditi ufficiali, nemmeno per Letta jr). Quella somma infatti rimborsa le spese di vitto e alloggio a Roma per chi viene da fuori, e non aveva senso erogarla (come si fa da decenni) anche a chi già prima di essere eletto viveva a Roma e quindi non ha alcuna spesa extra. Il caso Letta- se non cambia subito la residenza fiscale, diventerà di scuola: basta tornare a domiciliarsi a casa di papà e mamma nel luogo d’origine per salvare quel tesoretto mensile. Nell’ultimo anno l’attuale presidente del Consiglio ha dovuto fare i conti con i primi tagli ai costi della politica: nel 2010 e nel 2009 il suo reddito imponibile risultava infatti superiore ai 160 mila euro. In dichiarazione dei redditi indicava tre diverse voci di stipendio. L’ultima volta sono scese a due, ma non è dichiarato il colpevole. In compenso sono rimaste costanti le detrazioni e deduzioni previste dalla normativa fiscale. Nell’ultima dichiarazione dei redditi Letta ha inserito la deduzione di 999 euro per i contributi alla colf-bambinaia che tiene pulita la casa romana e accudisce i pargoli quando entrambi i genitori sono al lavoro. In detrazione del 19% secondo legge anche 1.151 euro pagati da Letta per la sua assicurazione sulla vita. Non ci sono altre voci nella dichiarazione dei redditi, se non l’indicazione del nucleo familiare di moglie e tre figli a carico. Il nuovo premier non ha infatti case di proprietà, non ha investimenti finanziari dichiarati, non indica nemmeno la proprietà di mezzi di locomozione di qualsiasi natura (evidentemente l’auto privata con cui si è recato alle consultazioni non è intestata a lui). Vero che molti dati potrebbero essere mancanti per la decisione di non allegare alla sua la dichiarazione dei redditi della consorte, come fanno tanti suoi colleghi e ora sarebbe obbligatorio fare con la nuova normativa varata dall’esecutivo Monti. Il presidente del Consiglio attuale è certamente assai risparmioso. Fatto che ben si comprende con la prima sua dichiarazione dei redditi messa in rete: quella del 2009, che allega anche i conti della campagna elettorale dell’anno precedente. Letta jr è uno dei pochissimi politici italiani a non essere finito in mutande per le spese in campagna elettorale. Anzi, lui nella corsa al Parlamento ci ha pure guadagnato. Aveva infatti raccolto 97.300 euro di finanziamenti, e speso (personale compreso) per la propaganda 44.200 euro. Alla fine gli sono rimasti in tasca 53.100 euro, una bella sommetta. Chissà che ne ha fatto: così su due piedi ci sarebbe da immaginare una restituzione al Pd che lo ha sempre supportato. Ma un versamento di quella entità da parte di Letta non risulta alla tesoreria della Camera (dove vengono depositate tutte le dichiarazioni congiunte) né allora né negli anni successivi.