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 2013  maggio 04 Sabato calendario

AL CORRIERE VOLANO GLI STRACCI

La sintesi più inte­ressante sulla pe­riodica guerra per il controllo del Corriere della Sera l’ha fatta uno dei banchieri che ancora contano in Italia: «Stia­mo tenendo su questo palco a caro prezzo. Ma non si capisce per chi. Rcs ha rotto...». Altro che «rot­to»: nel solo 2012 ha bru­ciato più di 250 milioni di ricavi, con una perdita netta di gruppo di 500 mi­lioni (322 milioni di rosso l’anno precedente). E se i suoi numerosi soci non dovessero, come alcuni azionisti chiedono, approvare l’aumento di ca­pitale da 400 milioni, gli amministratori dovreb­bero portare i libri in tri­bunale. Ieri Diego Della Valle (ha l’8,6 per cen­to della Rizzoli) ha scritto una terza, dura lettera ai vertici del­la società: la strada per un’azio­ne di responsabilità è traccia­ta. È un bel pasticcio. I soci so­no in fibrillazione. Ma anche quelli più ostili all’aumento di capitale rischiano di finire in un angolo. E temono che quel­l’angolo sia stato studiato pro­prio per metterli a tacere. Non è un caso che buona parte dei soci privati, chi più chi meno, sia molto irritata: Della Valle in primis, ma anche i Pesenti, Merloni, Rotelli, Benetton. In­somma, chi deve aprire il pro­prio portafoglio (e non quello dei suoi azionisti) non riesce a capire per quale motivo metà delle nuove risorse debba an­dare a ridurre il debito delle banche e non a rafforzare la so­cietà editoriale. Se il primo so­cio Giuseppe Rotelli (ma in re­altà la trattativa la sta conducendo l’avvocato Lombardi con qualche sfumatura diver­sa rispetto alle posizioni inizia­li tenute dal grande imprendi­tore della sanità) non aderisse all’aumento di capitale, la sua quota (oggi superiore al 16 per cento) si ridurrebbe a circa il 3 per cento della Rcs ricapitaliz­zata. Discorso simile per Diego Della Valle, il cui 9 per cento si diluirebbe a meno del 2 per cento. Questo aumento di capi­tale fortement­e diluitivo fa dav­vero male a chi non lo sottoscri­ve. È l’angolo da cui si deve scappare. Se i privati aderisco­no all’aumento mettono altri quattrini in una società in cui contano poco e a beneficio del­le banche finanziatrici. Se non li mettono vedono le proprie partecipazioni al capitale pol­verizzarsi e chiudere così la lo­ro storia a via Solferino.
Il braccio di ferro è in corso. Della Valle ha certamente rot­to il giochetto. Ma è difficile che riesca a condurre alle estre­me conseguenze il suo tentati­vo. La Rizzoli portò già i libri in tribunale e nessuno dei soci ha voglia di giocare alla roulette russa generata da una procedu­ra concorsuale. Ma d’altra par­te Mediobanca, il secondo so­cio dopo Rotelli, sta giocando un ruolo di mediazione. A Piaz­zetta Cuccia (che non ha pre­stato un soldo a Rcs e dunque non ha benefici diretti dall’ope­razione così come ora conge­niata) cercano di trovare una via d’uscita. Rendere l’aumen­to ­di capitale di Rcs meno pena­lizzante per i soci è davvero complicato: oggi il gruppo si trova nella stessa situazione di Fonsai prima del salvataggio. I 150 milioni di capitale residuo si bruciano in fretta. Le condi­zioni piuttosto onerose dei nuovi prestiti concessi dalle banche potranno essere leg­germente riviste. Ma la «cic­cia» per convincere i privati ad aderire dovrà essere ben altra: tutte le nuove risorse che arri­veranno dall’aumento di capi­tale dovranno essere trattenu­te effettivamente in azienda. Evidentemente un cambio ra­dicale negli assetti di potere del gruppo: meno banche, più privati. Di fatto una richiesta di questo tipo anticiperebbe uno dei piani già previsti nei salotti buoni della finanza milanese, e cioè lo scioglimento del patto di sindacato che governa il gruppo. E dunque anche un cambio dei consigli di ammini­strazione e dei vertici. Insom­ma, una rivoluzione. Materia incandescente per il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, che in questi giorni sta cercando di portare a casa la difficile mediazione. Un primo segnale in effetti lo ha dato rifiu­tando, nei mesi scorsi, il proget­to, molto ben visto dalla Fiat, di fondere il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli con la Stampa. Ma la seconda parte del progetto potrebbe resiste­re anche in questa nuova ipote­si di appeasement. E cioè il co­siddetto spezzatino: smembra­re il gruppo (le ipotesi sul tavo­lo sono diverse) in più parti, periodici, quotidiani, libri e bad company.
La partita non è ancora fini­ta. È difficile, ma sulla carta non impossibile, che Fiat e soci bancari vadano sotto in assem­blea per l’aumento di capitale. È possibile che i soci oggi dis­senzienti alla fine siano costret­ti a fare la loro parte, per non scomparire. È certo che il patto di sindacato che lega gli azioni­sti sia morto. È scontato che la battaglia per il controllo del Corrierone sia partita. Già da questa estate si ballerà.