Mario Ajello, Il Messaggero 7/5/2013, 7 maggio 2013
IL MITO DEL GRANDE VECCHIO E QUELL’ARCHIVIO DEI MISTERI
Non c’è dietrologia o teoria del complotto, più o meno fondata, che negli ultimi sessant’anni abbia evitato di coinvolgere Giulio Andreotti. «A parte le guerre puniche, perché ero troppo giovane - ha sempre risposto lui - mi viene attribuito veramente di tutto». Oppure: «Sono soltanto chiacchiere », è stata la replica standard, ogni volta che lo si descriveva come il Grande Vecchio capace adrittura - lui o Kissinger? - di guidare le Br che rapirono e uccisero Moro. Lo si è accostato a quasi tutti gli infiniti misteri italiani e alle trame che - dalla strategia della tensione all’ascesa e alla morte di Sindona, dal caso Pecorelli a quello Ambrosoli e Calvi, dalla P2 alla mafia e ad altre brutture - hanno portato larga parte dell’opinione pubblica a vedere in azione durante la Prima Repubblica un «doppio Stato». S’intitola infatti “La politica della doppiezza” un libro, tra i tantissimi, fortemente accusatorio scritto da Nando Dalla Chiesa per Einaudi nel ’96. Uno Stato legale e costituzionale e uno Stato occulto e tendenzialmente eversivo: chi tirava le fila di quest’ultimo? Ovviamente un diavolo, Belzebù: come (senza nominarlo) lo chiamò Bettino Craxi in un celebre fondo sull’Avanti! del 31 maggio 1981, intitolato “Belfagor e Belzebù”: «Belfagor è Licio Gelli ossia una specie di segretario generale di Belzebù». Andreotti si difese così: «Se Belzebù esiste, ha una giubba diversa dalla mia».
LE VIGNETTE
Fu più spiritosa, la risposta che egli diede a quelli del “Male”, Vauro, Vincino, Sparagna e gli altri animatori del celebre settimanale satirico. Nel ’79 titolarono: «Ugo Tognazzi è il Grande Vecchio». E Andreotti finse di tirare un sospiro di sollievo: «Ah, quindi il Grande Vecchio non sono io. Sono tornato giovane». Visto che Andreotti è stato la delizia dei dietrologi, ma anche dei cercatori di verità in un Paese che ne difetta, una volta Indro Montanelli gli si è rivolto con queste parole: «Delle due, l’una. O lei è il più grande scaltro criminale di questo Paese, perché l’ha sempre fatta franca. Oppure, è il più grande perseguitato della storia d’Italia. Allora le chiedo: tutte queste coincidenze sono frutto del caso o della volontà di Dio?». Lo statista democristiano non rispose direttamente, ma così lo fa parlare nel film “Il Divo” (che a Andreotti non piacque: «Non rispecchia affatto quel che sono») il regista Paolo Sorrentino: «Bisogna amare così tanto Dio, per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch’io».
I FALDONI
«Quando morirà, finalmente gli toglieranno la scatola nera dalla gobba e finalmente sapremo» scherzava anni fa Beppe Grillo nei suoi spettacoli. Seriamente invece, in tanti sostenevano che i suoi segreti erano custoditi nell’archivio personale di via Borgognona, un tesoro di documenti e dossier su cui si è favoleggiato per decenni. Ora quell’archivio è stato donato all’Istituto Don Sturzo, che lo conserva in un caveau blindato. Sono 3.500 faldoni che occupano due stanze, ritagli di giornale, appunti, fotografie, testi di discorsi pubblici, fascicoli vari sulla politica estera e sul Vaticano. Gli storici dovranno esplorare a lungo quella montagna di carta per scoprire se lì in mezzo si nasconde ancora qualche mistero italiano.
COSA NOSTRA
Andreotti capo di Cosa nostra? Capo della P2? Il solito Craxi, nel pieno dello scandalo sulla loggia massonica, tirò fuori una foto che lo ritrae mentre festeggia in Argentina, insieme a Gelli nel giorno dell’insediamento di Peron. Andreotti non si fa impressionare: «Ho avuto tante tentazioni nella mia vita, ma quella di diventare massone non mi è mai passata per la testa». Davanti a ogni sfottò non ha mai dato l’impressione di offendersi: «II potere, si sa, attira le malignità». Montanelli, forse quello che hacapito di più la sfuggente del personaggio, a certo punto ha lanciato un invito: «Sempre più si diffonde sulla nostra stampa il brutto vezzo di chiamare Andreotti col nome di Belzebù. Piantiamola. Belzebù potrebbe anche darci querela» Magari a doppia firma insieme al Grande Vecchio.
Mario Ajello