Pierluigi Battista, la Lettura (Corriere della Sera) 05/05/2013, 5 maggio 2013
IL POPULISMO ANTIMEDICO - È
uscito in Italia un librone voluminoso, pieno di numeri e dati che si vorrebbero inoppugnabili. È scritto da un medico, Ben Goldacre, quindi da un autore ferrato nella materia trattata. Il titolo è Effetti collaterali (Mondadori). Ma il nucleo incandescente è depositato nel sottotitolo: «Come le case farmaceutiche ingannano medici e pazienti».
«L’intero edificio della medicina è compromesso», scrive con il piglio della denuncia traumatizzante Goldacre, «perché i dati di cui ci serviamo per prendere le decisioni sono irrimediabilmente e sistematicamente falsati». «Falsati» non è un termine neutro e incolore. Indica un imbroglio. Addita alla pubblica esecrazione una manipolazione criminale che inquina la ricerca e la medicina, ambedue prese in ostaggio da case farmaceutiche avide, corrotte, dedite al falso, traditrici della loro missione. E la vita media che si allunga? E le malattie che seminavano stragi nell’umanità e che per nostra fortuna sono state debellate grazie alla ricerca e alla scoperta di farmaci nuovi? Roba del passato. Oggi soffia un vento opposto, che mette sotto accusa la medicina ufficiale, i suoi «protocolli», il metodo che l’ha sostenuta, l’abito razionale che l’ha aiutata a migliorarsi e a diffondersi. Oggi si chiede il conto a una scienza medica che si credeva onnipotente. La medicina è messa sul banco degli imputati, bollata addirittura come incapace, inadeguata, e anche arrogante e intollerante.
Se il tema non fosse tanto serio e drammatico, si potrebbe ribattezzare questo clima forsennatamente ostile nei confronti della scienza che si vuole investita dei crismi dell’«ufficialità» come una forma di «populismo»: un sentimento tossico e diffuso che scarica ogni genere di frustrazione e di esacerbata ostilità nei confronti dell’establishment medico-scientifico che si ritiene depositario del Canone con cui curare le malattie. Lo scrivo con un certo pudore, perché il destino ha voluto che soffrissi la scomparsa della persona a me più cara, e sulla cui vita prematuramente troncata si è misurata l’impotenza della medicina che veste il camice bianco. Ma raccontando nella Fine del giorno i quindici mesi del tumore al polmone «inoperabile» che ha portato via da questo mondo la mia compagna Silvia, ho voluto descrivere quanto nel «mondo parallelo dell’oncologia», tra i malati e soprattutto tra le persone più vicine ai malati, facesse sentire i suoi effetti psicologicamente devastanti «una fornace ribollente di emotività surriscaldata, sovraccarica di sentimenti e risentimenti intensi», alimentati dalla frustrazione per una medicina inadeguata di fronte al compito di salvare la vita di tanti esseri umani.
Inoltre mi è capitato di notare quanto sia diffuso, anche tra persone miti, certo non inclini alle esasperazioni ipersemplificate delle teorie cospirazioniste, la credenza in un Grande Complotto Chemioterapico, l’idea avvelenata che esista un accordo segreto tra le case farmaceutiche e i medici per occultare i veri rimedi contro il cancro, che esisterebbero, ma la cui diffusione verrebbe nascosta per non prosciugare inesorabilmente immensi e immeritati guadagni strappati sulla pelle dei malati ignari.
Il libro di Ben Goldacre citato all’inizio sostiene per la verità che le case farmaceutiche ingannino «medici e pazienti». La denuncia contro il Grande Complotto Chemioterapico, che fa proseliti tra i parenti dei malati che la medicina ufficiale non è stata in grado di salvare, colloca invece i medici a fianco delle case farmaceutiche, e addirittura loro complici. La congiura del silenzio orchestrata dalle case farmaceutiche poggia, secondo questa visione stravolta e dai fortissimi connotati paranoici, su un altro complotto: quello dei «camici bianchi» che inoculerebbero gli ingredienti della chemio nel corpo straziato dei malati, ben conoscendo la loro inutilità, e anzi occultando i veri rimedi contro le tipologie di cancro finora considerate inguaribili.
È un delirio, vero. Ma è incredibile il numero di lettere e di mail di parenti di malati uccisi dal cancro che mi hanno raggiunto dopo la pubblicazione del libro La fine del giorno. Ed è incredibile che la maggior parte di queste lettere, cartacee o elettroniche, sembri far propria la tesi del Grande Complotto e trasmetta la sensazione di un rancore inestinguibile nei confronti della scienza «ufficiale». «Ufficiale», ma a tal punto prepotente da permettersi di bollare come «antiscientifiche» metodologie non approvate dai rigidi «protocolli» medici e che pure si narra, si dice, che non siano prive di efficacia.
Prove della loro efficacia? Nessuna. Ma l’odio per la scienza onnipotente, che svela sempre più frequentemente tutta la sua impotenza, non richiede conferme fattuali: è così, e basta. Ho già raccontato di quella volta che Silvia fu raggiunta da una lettera di una signora affetta da un tumore al seno che le rivelava il nome del sicuro rimedio che avrebbe guarito l’umanità dalla piaga del cancro: il bicarbonato. Ho saputo poi che la setta di quelli che credono nelle virtù taumaturgiche antitumore del bicarbonato conta molti adepti sparsi nel mondo. Così come, quale ultimo tentativo, molte persone anche scettiche, colte, solitamente protette dalla solida corazza della razionalità illuministica, cedono alla tentazione del pellegrinaggio all’Avana per recuperare dosi del veleno ottenuto dallo scuotimento dello «scorpione blu», che si dice contenga misteriose sostanze curative per ogni genere di neoplasia.
Ma ho imparato (meglio: ho dovuto imparare) che sarebbe sciocco, e anche irriguardoso per chi è prigioniero di un sentimento di dolore e di disperazione, liquidare questo ribollire di umori corrosivi e risentiti come una primitiva manifestazione di irrazionalismo, o peggio ancora di «superstizione». Non solo, come scriveva genialmente Ennio Flaiano, perché «in trincea nessuno è ateo». Ma perché per chi è malato e constata con crescente amarezza l’inutilità dei flaconi di cisplatino e degli altri ingredienti chemioterapici iniettati in tanti corpi inermi, il veleno dello «scorpione blu» può rappresentare l’ultima ancora di salvezza.
La scienza dovrebbe immergersi nelle acque dell’umiltà e comprendere che la grande delusione sull’efficacia dei «protocolli» medici genera vulnerabilità e debolezza e che in questo spazio dell’impotenza e della disperazione possono infilarsi, come infatti regolarmente accade, ciarlatani, guaritori improvvisati, cialtroni che vendono speranze lucrando sulla credulità e sull’ignoranza. E dovrebbe fare la fatica di spiegare pazientemente come stanno le cose, senza nascondersi dietro la gelida oggettività dei «protocolli».
Il «populismo» indirizzato contro l’establishment medico-scientifico ha le sue ragioni. Soffre di un divario troppo accentuato tra le promesse e le attese di una vita sempre più lunga e la realtà di vite che non sono state recuperate, di malattie incurabili, di dolori che non si è riusciti a mitigare. Il dibattito sull’efficacia di rimedi come quelli propagandati da «Stamina», e di cui il «Corriere Salute» ha dato recentemente ampia documentazione, in fondo nasce su questo stesso terreno. Perché, e a che titolo, i sacerdoti e gli addetti alla purezza della scienza «ufficiale» dovrebbero scagliarsi contro chi sembra abbia escogitato un metodo più efficace per combattere malattie rare e nei confronti delle quali la medicina razionale, «occidentale», sottoposta alla rigida trafila dei «protocolli», non è capace di dire nulla?
Non bisognerebbe essere perentori, al limite dell’insofferenza, verso chi non ha molte strade davanti a sé. Non bisognerebbe alimentare credenze assurde, ma nemmeno vittimizzare chi sembra in grado di dare risposte nuove, anche se non ci sono prove documentalmente sufficienti a garantirne l’affidabilità.
È come se stesse venendo meno un pilastro che ha retto quasi per secoli l’ottimismo progressista di una medicina che ha sconfitto malattie terribili, ha permesso salute e benessere a un numero incalcolabile di persone, ha escogitato rimedi per ogni genere di sofferenza. Questa fiducia si è come dissolta. Fino a poco tempo fa a nessuno sarebbe venuto in mente di mettere in discussione i vaccini che hanno salvato la vita e la salute di milioni di bambini e di non considerare come benefattore dell’umanità chi li ha inventati e diffusi. Oggi una nube di risentimento «populista» sta bersagliando persino i vaccini, indicati come la causa di mali oscuri. Molte famiglie sono frastornate, giovani genitori affrontano la vaccinazione dei loro bambini con apprensione sempre crescente, anziché con la fiduciosa gratitudine verso sostanze che mettono i figli al riparo da malattie che un tempo ci si era rassegnati a considerare incurabili e realizzazione di un destino crudele, ma inarginabile.
Questo risentimento, quando sfiora tentazioni neo-oscurantiste e regressive, deve essere contrastato con le armi migliori che la cultura occidentale ha forgiato nel tempo. Però bisogna comprendere che il rancore per le promesse non mantenute acutizza la delusione per chi si era presentato con il volto rassicurante della cura per ogni morbo. Se il messaggio trasmesso in passato era quello di confidare nell’inesauribile inventiva della tecnoscienza, nella possibilità di trovare un rimedio per ogni male, una medicina per ogni afflizione, è naturale che cresca il carico di frustrazione, se quel messaggio non viene onorato in presenza di tante malattie ancora non curabili con i metodi fissati nei «protocolli».
Bisognerebbe realisticamente prenderne atto ed evitare ogni atteggiamento che suoni come arbitrariamente presuntuoso e supponente. Altrimenti saremo sommersi dai messaggi ammiccanti delle nuove superstizioni, lasciando spazi sterminati ai disinvolti venditori di nuovi miracoli.
Pierluigi Battista