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 2013  maggio 05 Domenica calendario

DISPERSO IN VIETNAM DA 44 ANNI, RIAPPARE IN UN FILM. MA E’ UN IMPOSTORE —

Quella del sergente John Robertson è una storia che affascina, riporta in vita vecchi fantasmi, illude e poi ti lascia con nulla in mano. È la storia di un soldato americano dato per disperso in Vietnam nel lontano 1968 e che all’improvviso riappare. Roba da film. E infatti Michael Jorgenson lo ha girato. «Unclaimed», presentato pochi giorni fa al Festival di Toronto. Peccato che per il Pentagono il regista sia stato fregato da Dang Tan Ngoc, uno che da anni prova a vendersi come il sergente perduto oltre la «cortina di bambù».
Il vero John Robertson scompare il 20 maggio 1968 quando il suo elicottero, dopo essere stato colpito dai vietcong, precipita in una zona impervia. Impossibile andarlo a cercare. La moglie e le due figlie sperano. Per dieci anni. Poi la resa: nel 1978 è dichiarata in modo ufficiale la sua morte.
La saga del sergente non si conclude però con il nome sulla tomba vuota. Un veterano, Tom Faunce, contatta il regista e gli svela un caso incredibile. «Ho ricevuto una segnalazione della presenza nella giunga di un fratello d’armi. Tutti lo davano per morto e invece è vivo. Si chiama Robertson», è il gancio. Faunce, uomo dal passato problematico, aggiunge di aver indagato e di essere poi riuscito a trovare il «disperso». Il presunto sergente, 76 anni, racconta di essere stato torturato e chiuso in un campo di prigionia. Dopo quattro anni di sevizie riesce a fuggire. Lo salva una donna di un villaggio che lo cura con amore. I due si sposano e l’americano prende il nome dell’ex marito della sua compagna: Dang Tan Ngoc, vietnamita-francese. La cosa strana è che il «sergente» a causa di quello che ha sofferto ha dimenticato completamente l’inglese. Il regista reagisce con scetticismo, però cambia idea dopo un viaggio in Vietnam e l’incontro con l’uomo. Il progetto del film va avanti, nasce «Unclaimed», incentrato sull’impegno di Faunce e il dramma del militare.
Ma sono soltanto loro a crederci. Il Pentagono è a conoscenza della vicenda del finto Robertson dall’82, l’ha dichiarata una truffa dopo la comparazione delle impronte digitali. Il regista, pur sulla difensiva, ribatte: lui non ha chiesto nulla in cambio, i parenti del sergente non sono stati mai sottoposti al test del Dna, un suo commilitone e la sorella lo hanno riconosciuto con certezza. Le autorità militari cercherebbero solo di coprire i fatti.
Quanto sostenuto da Jorgenson non suona strano a chi, ancora oggi, negli Usa sospetta un complotto del governo per nascondere la verità su alcuni dei 1649 dispersi del Vietnam. Anni fa, un ex ufficiale, Bo Gritz era riuscito a spillare del denaro a Clint Eastwood per finanziare un’operazione di mercenari mirata a recuperare dei militari statunitensi. Film come «Rambo» e «Fratelli nella notte» hanno cavalcato il tema aggrappandosi a qualche segnalazione che ogni tanto arrivava da Oriente. In passato sono circolate foto satellitari che mostravano «scritte» con tronchi o altro in Laos e Vietnam che potevano essere dei messaggi di militari americani. Indizi e non prove, ma sufficienti per chi non è convinto della versione ufficiale che «laggiù ci sono ancora dei nostri ragazzi».
Guido Olimpio