Alessandro Penati, la Repubblica 4/5/2013, 4 maggio 2013
L’ITALIA VA AVANTI MA STABILITÀ LONTANA
VALUTARE la stabilità finanziaria è come analizzare un film a partire da un fotogramma. Quello isolato dalla Banca d’Italia all’inizio di aprile nel Rapporto sulla stabilità finanziaria, mostra che oggi la stabilità è migliorata rispetto al 2012; ma se è indiscutibile che oggi l’Italia sia più in salute di ieri, tutte le fonti di instabilità sono ancora presenti. Una fragilità finanziaria che ci espone a possibili repentini cambiamenti e al riacutizzarsi della crisi.
1. Lo spread sui titoli di stato è sceso a 260 punti, un livello che poco tempo fa era giudicato di sicurezza. Ma l’andamento dello spread delle banche italiane (misurato dai Cds) è andato invece divaricandosi, riportandosi intorno ai 450 punti, media degli ultimi 2 anni. Quindi, la discesa dei tassi sul debito pubblico è frutto della liquidità creata dalle banche centrali alla ricerca opportunistica di rendimenti, del reiterato “put” della Bce, e delle prossime elezioni tedesche (nessuna crisi dell’euro è accettabile prima di allora), più che da una riduzione del “rischio Paese”.
2. Dal luglio 2011, circa 250 miliardi di capitali esteri sono usciti dall’Italia, per metà dai titoli di Stato, e per metà riducendo l’esposizione verso le nostre banche. L’emorragia si è arrestata da diversi mesi, ma non ci sono segnali di inversione di tendenza: fino a quando l’estero non tornerà spontaneamente e stabilmente a investire nel nostro debito pubblico e nelle nostre banche, però, la stabilità finanziaria è a rischio.
3. Le rinnovate fortune dei titoli di stato, oltre che da fattori temporanei e opportunistici, è spiegabile anche da una domanda artificialmente sostenuta dalla moral suasion di Governo e banche centrali, dal loro intervento diretto e dalle istituzioni finanziarie indirettamente incentivate a investire. Così oltre l’11% del debito pubblico italiano è detenuto da Bce e Banca d’Italia e quasi il 32% da banche e assicurazioni italiane (495 miliardi). L’estero ne detiene ancora il 29%, quasi un punto in più dell’insieme di famiglie, fondi di investimento (inclusi estero vestiti), Casse e fondi pensioni italiani. Così, se la fiducia nel nostro debito non
ritorna stabilmente, e ricominciassero le vendite, chi comprerà i Btp oggi in mano straniera?
4. Le banche italiane riescono a compensare la riduzione dei finanziamenti dall’estero e delle emissioni obbligazionarie all’ingrosso con i depositi raccolti coi clienti italiani. Significa anche che non hanno ritrovato la fiducia dei mercati internazionali. Sarebbe questa la vera svolta. Inoltre, la crisi di liquidità rimane, perché le banche dipendono ancora dai finanziamenti della Bce. E, a differenza di altri paesi, non hanno neanche cominciato a rimborsare i circa 280 miliardi dei prestiti straordinari della Bce.
5. Le sofferenze in Italia sono elevate anche perché usiamo criteri più stringenti. Ma preoccupa la dinamica, non il livello: il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti è in forte crescita, e ha già toccato il picco del 1993.
Per Banca d’Italia, la patrimonializzazione delle banche è adeguata. Ma il vero problema non è il livello odierno del capitale, bensì l’incapacità delle banche di generare utili per accrescere il patrimonio nel tempo. Con le sofferenze che assorbono oltre 150 punti del margine di interesse, i costi di gestione elevati, la lentezza nelle ristrutturazioni, e l’incapacità di aumentare l’efficienza con aggregazioni e fusioni, non si intravede il ritorno a una redditività sufficiente, condizione necessaria per la stabilità finanziaria e la ripresa del credito.
6. Il crollo del 60% delle transazioni immobiliari è il segno del profondo disequilibrio che si è creato nel mercato, e anticipa un periodo prolungato di flessione dei prezzi. Non ci sarebbero pericoli perché la leva degli italiani è relativamente bassa e le garanzie elevate. Ma le banche sono esposte all’immobiliare (incluso i servizi e le costruzioni) per il 30% circa degli attivi: un livello inferiore a quello dei paesi dove è scoppiata la bolla, ma pur sempre preoccupante: se queste attività perdessero il 10% del valore, spazzerebbero oltre metà del capitale delle banche.
Messaggio per il governo: non basta un fotogramma tranquillizzante per essere certi del lieto fine del film.