Gianni Mura, la Repubblica 5/5/2013, 5 maggio 2013
Menù del giorno in ordine sparso: Agnelli & Twitter, premi & preti, nomi leciti e vietati nei battesimi, paronomasia nei titoli, equivoci sui colori
Menù del giorno in ordine sparso: Agnelli & Twitter, premi & preti, nomi leciti e vietati nei battesimi, paronomasia nei titoli, equivoci sui colori. Partiamo da qui. Impagabile la pagina 13 di Libero, ieri. Sotto l’occhiello “I guai della sinistra” (fossero tutti qui: ndr) il titolo: “Chiamatemi nera. Lezione della Kyenge ai rossi”. Il sommario completa il concetto: “Il ministro dell’Integrazione abbatte il muro del politicamente corretto dei salotti radical chic. È un buon inizio...”. Il mio 0,5 (ci sono anche i tre puntini come aggravante) è una discreta prosecuzione. In realtà, Cécile Kienge aveva detto una cosa molto sensata: “Io non sono di colore, io sono nera”. Non frequento salotti radical chic, ma i peggiori bar di Milano e dintorni. Quelli, per intenderci, che non mettono la rucola anche nei panini con la mortadella, anzi la ignorano proprio. Anche lì sanno che Borghezio potrebbe essere definito uomo di colore da un senegalese, perché anche il bianco è un colore, come il giallo, il rosso, il nero e sfumature intermedie. Ed è giusto che Cécile Kyenge ribadisca il suo diritto a essere definita nera. Mentre è spregiativo e razzista, non solo politicamente scorretto, il termine negra (nègre, nigger). Aproposito di neri: un ghanese residente a Modena ha chiamato il figlio Silvio Berlusconi, ma a scuola la maestra vuole che sia chiamato semplicemente Silvio. Fonte: la Stampa. Commento suggerito: maestrina dalla penna rossa censura Berlusconi. Idee suggerite: un’intervista al padre. Una pagina, ieri, è dedicata a un’iniziativa del governo neozelandese: vietare nomi che in futuro possano rappresentare un problema per i bambini. Proibiti King, Prince, Duke, Justice, mentre è ancora permesso Violence. In Italia esiste dal 2000 un decreto che vieta come nome un cognome o il nome di stretti congiunti ancora in vita, e poi ancora i nomi “ridicoli o vergognosi” come Venerdì o Varenne. Passerebbe Nearco, che è stato cavallo ma anche uomo? In Svezia è vietato Ikea ma alcuni si chiamano Volvo. A Chiavari l’anagrafe ha respinto Bottom. Meno male. Nel New Jersey due fratelli, Adolf Hitler e JoyceLynn Aryan Nation, sono stati affidati a un giudice ma potrebbero tornare a casa “perché i nomi non rappresentano un valido motivo per togliere l’affidamento”. I nomi, mai. Sul resto si potrebbe discutere, ma il New Jersey è lontano e sentir parlare in Italia di politicamente corretto mi fa ridere. È fumo sul politicamente sorretto che evolve nel politicamente corrotto. Politicamente molto alto quel che ha detto ieri don Ciotti al monastero di San Pietro in Lamosa, sul lago d’Iseo. Ha ricevuto il primo premio in memoria di Francesco Arrigoni, giornalista di enogastronomia, fondatore del Seminario Veronelli e poi firma del Gambero rosso e del Corsera. Bravo collega e bella persona, morto di colpo a 51 anni. Il premio era destinato a chi, nel campo d’intervento di Francesco, abbia progettato o realizzato un’azione dal forte contenuto etico. Don Ciotti ha ritirato il premio in nome di Libera Terra: mille ettari, specialmente al sud (“lì stanno le radici, ma i frutti si raccolgono al nord”), che producono vino, olio, pasta, mille ettari che appartenevano alle varie mafie. Mille ettari che significano paure vinte, posto di lavoro, impegno, dignità. Ha parlato dell’ultimo male sociale, la ludopatia. E ha detto: “Attenzione, qui ci rubano le parole. Legalità è sulla bocca di tutti, anche di quelli che la legalità vogliono mettersela sotto ai piedi. Etica è una parola quasi inflazionata: più se ne parla meno se ne vede in giro. E anche solidarietà. Io vorrei meno solidarietà e più giustizia”. ADogliani, al festival dei nuovi media (a me, chiamatemi solo a quello dei vecchi, grazie), Andrea Agnelli ha espresso un bel concetto: “Quando si gestisce una società sportiva si gestiscono i sogni della gente”. Buona la prima, ma la seconda suona un po’ male. Si possono gestire i sogni della gente? Se ne può avere consapevolezza, o responsabilità, ma la gestione no, per favore. Più in là ha toccato il tasto Twitter. “Se i giocatori vogliono parlare della loro vita privata sui social network sono liberi di farlo.”. Se invece si parla di Juve, in qualche modo, zitti e buoni. “Per evitare strumentalizzazioni, bisogna stare attenti in modo chirurgico a cosa si comunica”. Disciplinare l’attività sul web mi sembra cosa opportuna. E non entro nel dibattito, sempre più ampio, suscitato dalla denuncia di Laura Boldrini. Dico solo che ha ragione lei e passo alla paronomasia. Accade quando si accostano due parole molto simili nella grafia e nel suono. Esempio: carta canta, fischi per fiaschi, Roma per toma. E anche: il troppo stroppia, su cui m’interrogo da decenni perché non esiste un verbo stroppiare. Che fosse storpiare? Il troppo storpia? Il Giornale di ieri apre una terza via. A proposito dei tanti argentini presenti già all’Inter o in arrivo, ecco il titolo: “Ormai è Argentinos Inter e il troppo scrocchia”. Geniale.