Alberto Alesina, Corriere della Sera 4/5/2013, 4 maggio 2013
DUE SCELTE CREDIBILI
È finalmente chiaro a tutti che l’imposizione fiscale in Italia deve scendere. Rimangono però due questioni alle quali rispondere. Primo: quali imposte ridurre? Secondo: come finanziare la perdita di gettito? È più facile rispondere alla prima domanda. E da questa iniziamo. Lo scopo degli sgravi deve essere quello di ridare più potere d’acquisto ai cittadini, di incentivare la domanda e l’offerta di lavoro. Quindi le imposte da ridurre sono quelle sui redditi medio bassi e quelle che, a causa del cuneo fiscale, rendono costoso assumere. Non è chiaro perché invece tanto del dibattito verta intorno all’Imu. Eliminando quest’ultima, si dà un po’ più di reddito ma non si creano incentivi a creare posti di lavoro. Tanto che la battaglia contro l’Imu sembra aver assunto più toni simbolici e populisti che poco hanno a che vedere con la razionalità economica.
La risposta alla seconda domanda è meno facile. Una riduzione delle imposte di dimensioni adeguate a far ripartire un’economia disastrata come la nostra deve essere notevole: attorno al 4 per cento di Prodotto interno lordo (Pil) in un orizzonte di due-tre anni.
Tali tagli farebbero però aumentare il deficit. Se non si facesse altro, ci ritroveremmo pressati dai mercati e da Bruxelles. E se, come spesso è accaduto in passato e come ha fatto il governo Monti, fossimo costretti ad alzare di nuovo le imposte saremmo di nuovo al punto di prima. Queste politiche affannose di stop and go non servono a nulla, anzi peggiorano la situazione confondendo cittadini, investitori e mercati. L’alternativa è una sola. Cominciare immediatamente con un piano aggressivo di riduzione delle aliquote e di dismissioni del patrimonio pubblico e annunciare tagli di spesa da far partire tra un anno, dopo che, sperabilmente, la riduzione delle imposte abbia contribuito a far riprendere l’economia. Su cosa tagliare, Francesco Giavazzi ha già avanzato suggerimenti su queste colonne il 29 aprile scorso.
È probabile che un piano di questo tipo faccia aumentare il deficit per un anno o due. Di quanto, dipenderà da come l’economia risponderà ai tagli di aliquote e dalle altre misure da avviare comunque per la crescita. L’esperienza recente dimostra che l’effetto espansivo di riduzione delle tasse compensa la diminuzione della domanda dovuta ai tagli alla spesa. Ma ci possiamo permettere i deficit temporanei che si manifestassero nel periodo intercorso tra i tagli di imposte (subito) ed i tagli di spesa (un po’ ritardati)? La riposta è sì, a patto che le riduzioni delle spese siano credibili. In questo caso mercati, Banca centrale europea e Bruxelles ci darebbero il respiro necessario; anche loro sono preoccupati della mancanza di crescita in Italia.
I ministri del governo sono personalità di valore. Teoricamente la grande coalizione che sostiene l’esecutivo potrebbe dare la credibilità necessaria a un programma pluriennale di questo tipo. Ma se, dietro le quinte, i partiti saranno impegnati solo a trovare il momento piu appropriato per far cadere l’esecutivo e andare a nuove elezioni, allora la credibilità del piano non esiste. E senza di essa muore la speranza di far ripartire l’economia.