Federico Geremicca, La Stampa 4/5/2013, 4 maggio 2013
CUPERLO, L’ALLIEVO MIGLIORE CHE SCIOLSE LA FGCI QUANDO IL MURO CADDE
Le testimonianze, almeno su un punto, stavolta sono totalmente coincidenti: Gianni Cuperlo - a parte il resto - è un uomo spiritoso, ha un grande senso dell’ironia e perfino dell’autoironia. Uno, naturalmente, potrebbe dire: e che diavolo c’entra col fatto che vogliono eleggerlo segretario di un partito? E invece c’entra, se quel partito si chiama Pd: un collettivo di uomini e donne disorientati, dove molti predicano il famoso «meglio prenderla a ridere, che altrimenti c’è da piangere» e luogo nel quale - dunque esser dotati di buono spirito è indispensabile per decidere di sobbarcarsi tale rognosissima responsabilità.
Che poi non è nemmeno detto che accada, visto che nonostante lo stato in cui versa il Pd e la velocità con la quale cambiano le cose in politica c’è perfino chi pensa che il Partito democratico possa fare a meno di avere un vero segretario: e che basti un reggente, un «uomo di paglia», uno - insomma - che dovrebbe accettare di farsi eleggere a qualcosa in cambio della promessa che non farà il segretario... Una tale posizione, evidentemente, denota il perdurare di uno stato di confusione mentale: e su quello, evidentemente, anche l’ironia e la leggerezza di Gianni Cuperlo non ci potrebbero granchè.
Ci potrebbe, invece, la politica: arte che «il migliore degli allievi di D’Alema» ha appreso fin da ragazzo (toccò a lui, segretario della Fgci, gestire lo scioglimento dell’organizzazione comunista dopo la caduta del Muro di Berlino). La capacità politica, dunque: che sommata al coraggio, potrebbero davvero fare di lui un leader. Molti, per esempio, rimasero colpiti dall’attacco che Cuperlo mosse a Renzi in una delle ultime riunioni della Direzione Pd: «Buona parte del confronto tra di noi ruota attorno al sindaco di Firenze, che è qui ma non prende la parola. Questo è oppure no - chiese - un nodo che investe la nostra democrazia e riguarda cos’è un partito, come discute e come decide? Ognuno fa ciò che crede, e va dove crede sia giusto collocare la sua autorevolezza... ma le logiche di percorsi paralleli nella dimensione della politica possono risultare letali».
Ed è per questo che sarebbe un errore considerare Cuperlo alla stregua di un «debole», di un accomodante, di uno - insomma - che, con la scusa dell’ironia e della buona educazione, alla fine sceglie sempre il quieto vivere. «Ha grandi qualità umane dice di lui Fabrizio Rondolino, amico e antico compagno di fede dalemiana -. Sa ascoltare, e non è arrogante. Però attenzione: è cocciuto come un mulo, e se è convinto di esser nel giusto, ascolta tutti ma poi decide lui». E Claudio Velardi - un altro degli uomini di punta della potente task force dell’ex presidente del Consiglio - aggiunge: «Già allora era il migliore e il più civile della nostra compagnia. Che sia civile ed educato non inganni, però: non è uno sprovveduto, ed il suo cursus lo dimostra».
C’è un che di tenero (e non si sorrida per l’aggettivo, anche se riferito alle «teste di cuoio» dalemiane) nel modo nel quale gli antichi compagni di cordata difendono e addirittura tutelano il vecchio amico: «Io di lui non voglio parlare - confessa Velardi perché un mio endorsement lo ucciderebbe. Ieri mattina l’ho chiamato e gliel’ho detto: “Gianni, spero che tu ce la faccia: ma non lo dico perchè ti rovinerei”». E ugual cura usa Rondolino nel tracciarne un profilo che ha caratteristiche che potrebbero non piacere a tutti: «Politicamente è antico, se vogliamo dire la verità, quasi fermo al berlinguerismo anni ’70, con qualche venatura ingraiana - azzarda -. Non sono necessariamente dei limiti, ma è chiaro che una sua segreteria avrebbe il senso di dire ai compagni di tante lotte “rimettiamoci un po’ assieme tra noi e proviamo a ripartire”».
Non sono necessariamente dei limiti, ma potrebbero diventarlo, al tempo della politica in 140 battute... Lui, certo, non deve considerare un problema l’esser colto e l’affrontare cose serie in maniera seria. L’altra mattina, alla Camera, rispondeva così al cronista che gli chiedeva se fosse favorevole ad abolire le primarie per l’elezione del segretario Pd: «È una scelta che richiama alla forma-partito che si intende evocare e poi realizzare. Ne dibatterono già Dossetti e De Gasperi, lei certo lo ricorderà...». Il cronista non lo ricordava. Cosi come non conosceva il significato di «catoblepismo», parola diventata simbolo del documento-candidatura di Fabrizio Barca. Dal bunga bunga al catoblepismo ed ai dibattiti tra De Gasperi e Dossetti, il salto è triplo. E forse mortale. Ma magari torna il tempo in cui essere ignorante (anche in politica) non è più una qualità...