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 2013  maggio 03 Venerdì calendario

L’AUSTERITÀ TI FA MALE LO SO


Fermate "l’austericidio". I leader socialisti di Francia, Portogallo e Spagna hanno lanciato domenica 28 aprile da Lisbona, capitale di un paese ormai in mano alla troika, una nuova parola d’ordine: risvegliare il Vecchio Continente dalla linea del rigore. Prima che sia troppo tardi. Da Roma Enrico Letta si unisce all’appello, l’Europa rilassi la politica dei tagli, se non vuole «perdere tutta la sua credibilità». Da mantra insindacabile a nemico pubblico, l’austerità dopo tre anni vissuti sulla cresta dell’onda è finita sul banco degli imputati. Il vento cambia, almeno a parole, cresce il partito di chi chiede a un cambio di rotta, un allentamento del rigore, un partito che conquista consensi anche tra gli alleati della Merkel, nei mercati e nei palazzi del potere economico. I l premier olandese Mark Rutte, spalla della cancelliera e campione del rigore fino all’altro ieri, ha deciso di rimandare il piano di tagli da 4,3 miliardi previsto per riportare il deficit al 3% nel 2014 a tempi migliori, ossia quando i Paesi Bassi usciranno dalla recessione in cui navigano dal 2012.
Lo strappo più rumoroso lo consuma comunque José Manuel Barroso, presidente di quella Commissione che negli ultimi anni ha dispensato austerità in dosi da cavallo. «Anche se si tratta di una politica fondamentalmente corretta, credo che abbia raggiunto i suoi limiti», affermava il portoghese lo scorso 22 aprile. A ruota il liberale Olli Rehn, guardiano del Patto di stabilità: «Il rallentamento del consolidamento è possibile ora grazie agli sforzi fatti dai Paesi in difficoltà, dall’impegno Bce e dalle politiche di bilancio credibili». A seguire anche l’olandese Jeroen Dijsselbloem, messo sulla poltrona di Presidente dell’eurogruppo proprio dalla Merkel: «I paesi che stanno avendo più contrattempi nei loro programmi di recupero economico avranno più tempo» per rispettare gli obiettivi di bilancio. Primo effetto: a Spagna, Portogallo e Francia verranno concessi i supplementari per ridurre il deficit, uno o due anni in più. Altro effetto: meno enfasi sui tagli e più sulle riforme strutturali, anche se queste spesso si traducono proprio in austerità, quando impongono sforbiciate alle prestazioni sociali.
«Ci sono casi paradigmatici», spiega Elisa Ferreira, eurodeputata portoghese e coordinatrice a Strasburgo del gruppo dei socialisti e democratici su economia e finanza, «il Portogallo ha seguito alla lettera i dettami della troika, secondo i tecnici la disoccupazione sarebbe arrivata al massimo al 13,5 per cento. Siamo al 19. L’economia doveva crescere dal 2012 e siamo in recessione di oltre il 2 per cento da due anni e il debito è arrivato al 123,8 per cento. C’è un effetto amplificatore dell’austerità che supera tutte le previsioni: la crescita nella zona euro si è invertita».
«Grecia, Irlanda e Portogallo non contano», spiega un’altra fonte comunitaria, «il problema è che ora Rehn e Barroso iniziano a vedere che l’infezione è arrivata al cuore dell’Europa: i dati della Spagna sono più preoccupanti di quel che si pensava, Francia ed Italia stanno peggio del previsto ed anche in Germania la crescita sarà molto meno forte. C’è una revisione al ribasso dell’attività in Europa e se cresci meno l’impatto del taglio sul deficit è inferiore».
Suona l’allarme. I socialisti francesi, in un documento di 21 pagine che farà da base al congresso sull’Europa del 16 giugno, hanno chiesto ad Hollande di "frenare l’intransigenza ossessiva della Merkel". Pierre Moscovici, il pacato ministro delle Finanze d’oltralpe, rincara la dose: «Austerità è quando uccidi il paziente». «La Germania», insiste, «difende le sue posizioni più tradizionali, ma il clima dominante nella comunità internazionale è chiaramente orientato verso la crescita. Il rigore di bilancio non dev’essere abbandonato, ma l’austerità da sola non è la soluzione».
Il Fondo monetario internazionale non fa mistero delle sue preoccupazioni per un’Unione monetaria ferma e spaccata in due, tra Nord e Sud. «L’Europa deve evitare la fatica dell’austerità come unica strategia», è l’eco del Segretario al tesoro statunitense Jack Lew, che ha reclamato politiche di stimolo, almeno per i paesi conti in ordine: «Una domanda più robusta in Europa è cruciale per la crescita globale». Anche chi sguazza nei mercati, come Bill Gross co-fondatore di Pimco e gestore del più grande fondo comune del mondo, il Total Return Fund, lancia un appello ai naviganti: invertite la rotta. «Quasi tutti i paesi europei hanno sbagliato nel credere che l’austerità, il rigore fiscale nel breve periodo, sia la via per produrre una crescita reale. Non lo è: dovete spendere soldi».
Una bestemmia per Berlino. Wolfgang Schäuble, sempre più nelle vesti di sacerdote dell’ortodossia tedesca, reagisce con veemenza: «Austerità e recessione non hanno alcuna relazione tra loro». Più filosofica la Merkel: «Ciò che prima si chiamava risparmiare, ed era un virtù, ora si vilipende con la parola austerità», ha affermato la cancelliera il 23 aprile, in risposta a Barroso. «Tutti parlano di austerità, che suona come qualcosa di cattivo, ma io la chiamo equilibrare il bilancio». L’austerità come dovere morale, più che come soluzione tecnico-economica. Una modifica del linguaggio che molto deve allo scandalo che ha colpito uno dei pilastri scientifici del rigore, lo studio A Visual History of Financial Crises, 1800-2020 pubblicato nel 2010 da due economisti di Harvard, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Il loro studio, che fissava al 90 per cento del debito la soglia oltre cui un’economia non cresce, ha sedotto governi e giustificato politiche, ma non ha superato le attente verifiche di Thomas Herndon, un dottorando di 28 anni dell’Università del Massachusetts che a metà aprile scopriva che i dati erano stati mal calcolati.
«Il campo anti-austerità è molto eccitato da questa scoperta, ma dobbiamo ancora capire se saprà realmente farsi valere», racconta un diplomatico. Il problema è quello di fare massa critica. «Un effetto della crisi è stato dividere i paesi – spiega Ferreira – il Portogallo non voleva stare nella stessa fotografia della Grecia, la Spagna in quella del Portogallo, l’Italia in quella della Spagna, la Francia con l’Italia... per risolvere i problemi i paesi del Sud devono unirsi, trovare gli strumenti per fare politiche anticicliche quando la crisi scoppia».
Alla vigilia dell’ultimo vertice Ue Hollande, Monti e Rajoy hanno riempito i giornali con invocazioni alla crescita ma poi «quando si sono riuniti con la Merkel nessuno ha parlato di politiche di stimolo», racconta una fonte presente alla riunione.
Se il vento è cambiato lo scopriremo al vertice Ue di giugno. «Ci sarà un’austerità più dolce – vaticina Charles Wyplosz del Graduate Institute - ma solo quando la recessione toccherà i tedeschi ci sarà un vero cambiamento. La mia speranza è che la Germania abbia una grande recessione con un aumento della disoccupazione, allora tutto cambierà, ma purtroppo temo che ciò non avvenga».