Elisabetta Soglio, Sette 3/5/2013, 3 maggio 2013
700 GIORNI AL VIA. COSÌ DAL FANGO RISORGE LA SFIDA EXPO
Ritmi forzati. Il cantiere di Expo apre alle 6 del mattino e chiude alle 10 di sera: non ci sono sabati e domeniche, non ci sono 25 aprile e 2 giugno. Operai che sgobbano, camion che si muovono e poi scavatrici, gru, ruspe. Tutti al lavoro perché mancano 700 giorni all’apertura dell’esposizione milanese e, ancora prima, da fine anno bisogna cominciare a consegnare i padiglioni ai Paesi partecipanti.
Ritmi forzati perché «gli inverni disgraziati di Milano ci lasciano dai tredici ai diciassette giorni di lavoro al mese contro i venticinque di cui avremmo bisogno», spiega Romano Bignozzi, uno degli uomini chiave di questa grande impresa collettiva. L’ad di Expo, Giuseppe Sala, già a marzo aveva annunciato che «la pioggia ha rallentato i lavori e adesso dobbiamo correre». Già, perché questo è stato l’autunno più piovoso degli ultimi 50 anni e gli operai ogni mattina alzano gli occhi cercando di capire se oggi si potrà lavorare la terra o se sarà una giornata persa.
Scorticando il terreno. Eccolo, il cantiere di Expo che prende forma. Una distesa di un milione di metri quadrati di area divisa fra l’Autostrada dei Laghi e la Milano-Torino, tra l’ospedale Sacco e Cascina Triulza, a un passo dalla Fiera di Milano-Rho. La prima parte del lavoro era la rimozione delle interferenze: liberare il terreno, insomma, su cui dovrà prendere vita l’esposizione dedicata al tema Nutrire il Pianeta, Energia per la vita. E ci vogliono energia, bravi ingegneri e operai esperti, qui, per modificare il corso di quattro torrenti che oggi corrono dove domani dovranno camminare le persone, lungo il cardo e il decumano che saranno gli assi portanti del sito. Il torrente Guisa, per esempio, verrà fatto deviare lungo l’autostrada: l’alveo è già pronto, così come il sottopasso con il tubo che conterrà le acque. Più avanti, un piccolo escavatore sta iniziando a muovere la terra per la massicciata dove ci sarà la strada definitiva di questo asse. Siamo nella parte Est, davanti a una delle poche ditte della zona, la Ecoltecnica: altri operai stanno concludendo il collegamento che manca per la fognatura. Nel frattempo, dietro alla recinzione, stanno “scorticando” il terreno dove sorgerà il Lake Arena e più in fondo si intravedono le zone dove, mettendoci un po’ di immaginazione, si possono vedere il padiglione della Germania, quello di Israele…
La rimozione delle interferenze non è conclusa, sempre per la maledetta pioggia; perché quando devi movimentare la terra e alzi solo fango, poi devi rifare tutto. E non puoi buttare cemento e calcestruzzo quando diluvia e invece qui ci sono da costruire anche le strade, 200mila metri quadrati in tutto, che, qualcuno ha calcolato, sono come realizzare 7 chilometri di autostrada a tre corsie. Nel frattempo allora è partito il cantiere della piastra, dell’ossatura di Expo: i sottoservizi sono quasi ultimati e questo è un gran passo avanti.
Bignozzi, che da 56 anni affronta sfide di ogni genere, dalla diga del Vajont alla metropolitana di Caracas, e poi quelle di Toronto e Londra e poi ancora l’Alta Velocità, parla con i numeri: «Ogni metro di strada ha 7-8 metri di tubi che servono per portare luce, gas e servizi a tutti i padiglioni». Queste vie sotterranee che nessuno vedrà sono l’impianto senza il quale Expo non starebbe in piedi. Ingegneri, architetti e progettisti hanno dovuto inventarle pensando a tutto: calcolando che dal primo maggio al 31 ottobre 2015 Expo diventerà una città con ogni giorno centinaia di migliaia di visitatori, espositori, lavoratori, volontari. Calcolando che dovranno potersi muovere, devono mangiare, avere un bagno a disposizione, ci deve poter essere lo spazio per far correre un’autoambulanza se qualcuno ne avesse bisogno. Servono luce per gli spettacoli serali e aria condizionata per l’estate torrida. «Quando progetti un evento di questo genere devi pensare anche a quante bottigliette d’acqua serviranno ogni giorno», semplifica Sala.
Pensare a tutto. Pensare anche a operai, manovali, carpentieri: quando il cantiere sarà a pieno regime, ospiterà un migliaio di persone. Oggi per loro ci sono alcune casette nella zona di ingresso, di fronte all’ufficio delle Poste che è l’unico residuo della vecchia geografia della zona. Ma tra un po’ spunteranno gli alloggi, la mensa e spazi comuni. Poi si valuterà se qualcuno dei manufatti potrà restare per essere messo a disposizione, per esempio, dei volontari che daranno una mano nei sei mesi dell’evento.
Un’impresa ollettiva che messa così, guardando i mucchi di terra e il lavoro ancora da fare mentre l alendario scorre inesorabile, viene da chiedere: ma ce la farete? «Certo che sì», risponde sicuro Alessandro Molaioni, responsabile della realizzazione dei lavori che nella sua carriera ha visto anche di peggio. Molaioni è stato uno degli uomini dell’Alta Velocità Milano-Bologna, un cantiere con 4mila operai e tempi ancora più stretti: «Un’impresa diversamente problematica», dice sorridendo. E intanto mostra una delle future 14 aree service, dove vengono ricoverati gli impianti che distribuiscono energia elettrica e dati ai Paesi partecipanti. Sono stecche da 15 metri, lunghe 170 metri, tutte prefabbricate. Sotto il sole, che qui nessuno maledice tanto è atteso, gli operai mettono il ferro su cui verrà colato il cemento: ciascuno di questi uomini lavora ogni giorno una tonnellata di ferro e questi sono i ritmi che bisogna tenere quando vuoi dimostrare che l’impresa collettiva può riuscire.
Tra pochi giorni si affronterà un’altra tappa fondamentale: bucare il terreno per posare i sostegni dei tendoni dei padiglioni. Per questo è stata fatta arrivare una macchina apposta, gli operai la chiamano “la Ferrari delle trivelle”: un oggetto imponente e un po’ inquietante, roba da un milione e duecentomila euro di valore, per capirci. Una macchina che ogni giorno è in grado di piazzare 7-8 pali da 30 metri ciascuno e che più o meno funziona così: scende fino a 20 metri di profondità spostando terra, cala un tubo che resterà a fare da “gabbia” al palo, poi si getta calcestruzzo mentre la trivella risale. Ma che non sia un giochino si capisce dalle facce serie e concentrate dei manovratori che stanno facendo le prime prove.
Un altro giro e siamo alla prima parte già delimitata del decumano: qui non ci sono montagne di terra, la base è già spianata e pronta per l’intervento successivo. Di fianco ci sono quelli che chiamano “tracciamenti” dei primi padiglioni. Cosa si vedrà dentro, poi, dipende dai singoli Paesi.
L’entusiasmo di Letta. La presidente di Expo, Diana Bracco, è convinta che «saranno realizzati progetti meravigliosi, anche perché c’è molta attesa dopo la presentazione del suggestivo progetto per il nostro Padiglione Italia e nessuno vuole sfigurare». Ovvio, non ci dobbiamo aspettare le installazioni maestose viste a Shanghai, come ha appena ammonito il professor Romano Prodi che tanto aveva voluto assegnare la candidatura di Expo a Milano e che oggi ancora tifa per il capoluogo lombardo: «Sarà una esposizione comunque godibile e raffinata, che però punterà più sui contenuti e abbiamo tutte le carte in regola per fare bene».
A rasserenare gli animi, mentre in cantiere si lavora e si guarda con fiducia alla stagione estiva, è arrivata in extremis l’attesa legge speciale per Expo, che nomina un commissario unico cui vengono attribuiti poteri in deroga alla legislazione vigente e poteri sostitutivi per risolvere eventuali criticità. Anche e soprattutto nella gestione dei lavori, come ha ribadito il governatore Roberto Maroni, sponsor della richiesta concordata con il sindaco Giuliano Pisapia. Nello stesso giorno, il 24 aprile scorso, la scelta di affidare il governo a Enrico Letta ha regalato un’altra iniezione di fiducia: proprio Letta, quando era sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Prodi, ha coordinato il tavolo Expo e proprio Letta non ha mai smesso di essere in cima all’elenco degli Expo-favorevoli. Insomma: se il governo ci mette firma, testa e soldi, se le istituzioni locali non litigano e se smette di piovere, Expo è lì a un passo.
Elisabetta Soglio