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 2013  maggio 03 Venerdì calendario

DIETRO LE BOMBE DI BOSTON S’AVANZA L’ESTREMISMO FAI DA TE


NEW YORK. Dalle bombe su Boston alla crisi dell’eurozona, nazionalismi e razzismi rialzano la testa. Rischiano di disfare la convivenza tra comunità diverse. Ma hanno delle ragioni forti, dalla loro: ed è un motivo in più per prenderli sul serio. A Boston rallentato del 15 aprile alla maratona apre tragicamente la stessa settimana in cui parte al Senato americano l’iter della riforma sull’immigrazione. Un leader repubblicano è veloce a usare la tragedia di Boston, Charles Grassley, senatore della destra, tira in ballo proprio il disegno di legge voluto da Barack Obama per rendere l’America ancora più accogliente verso gli stranieri. Il senatore repubblicano fa riferimento ai due terroristi ceceni accolti in America come rifugiati, poi regolarizzati con permessi di soggiorno e cittadinanza. «Alla luce degli eventi» dice Grassley «è importante capire buchi e lacune del nostro sistema di immigrazione. Lo status di immigrazione di questi individui che hanno terrorizzato le comunità del Massachusetts contribuirà a far luce sulle fragilità del nostro sistema, Come possiamo rafforzare i controlli sulle persone che entrano negli Stati Uniti?».
Obama coglie il pericolo, intervenendo alla celebrazione religiosa in omaggio alle vittime di Boston, elogia la vocazione multietnica di quella città. Rievocando la sua storia personale (fu studente a Harvard), il presidente dice: «Boston, ogni anno tu accogli studenti da tutto il mondo, gli dai il benvenuto nei tuoi ospedali, nei laboratori, nelle tue sale di concerto, perché si scambino quelle idee che uniscono il mondo».
Ma le strumentalizzazioni della destra fanno leva su un problema reale. La storia dei due fratelli Tsarnaev, un incrocio tra terrorismo estero e domestico, ricrea l’incubo che gli esperti descrivono come il terrorista self-radicalized. Cioè quello che si auto-indottrina, adottando per propria scelta ideologie radicali e violente. Senza essere etero-diretto, né addestrato o manipolato da organizzazioni internazionali. È il terrorista più difficile da individuare, non c’è intelligence domestica o globale che possa intercettare un fenomeno che si svolge all’interno delle coscienze e nelle mura domestiche, che può germinare in questa o quella comunità etnica, trasportando via Internet nel cuore degli Stati Uniti conflitti lontanissimi. Sul Washington Post incalza Obama anche l’editorialista neoconservatore Charles Krauthammer: «Se si tratta di terrorismo islamico, Obama userà finalmente quella parola? La sua Amministrazione usa in modo ossessivo un linguaggio che estirpa ogni possibile nesso fra Islam e terrorismo». Anche a lui Obama risponde, indirettamente, nel discorso alla nazione che segue l’attentato alla maratona. «Non spezziamo i legami che ci uniscono. La nostra forza è l’unità nella diversità, più di qualsiasi altra nazione al mondo. Nessuno deve trarre conclusioni frettolose, che coinvolgono intere categorie di persone».
È il rifiuto di demonizzare le comunità di immigrati di religione musulmana, come i ceceni. Tuttavia gli attacchi da destra colgono un elemento reale. Non c’è dubbio che i cittadini americani di religione islamica, o gli immigrati musulmani, nella loro stragrande maggioranza sono contrari alla violenza. Però se in quelle comunità qualcuno improvvisamente ha delle frustrazioni da sfogare, se cerca un nemico contro cui vendicarsi di qualche torto vero o presunto, questo individuo ha a disposizione sul mercato globale delle ideologie una giustificazione bell’e pronta, gliela fornisce il fondamentalismo islamico. Il fenomeno del terrorista self-radicalized, cioè che vivendo negli Stati Uniti s’indottrina da solo, lo immaginiamo difficilmente per un immigrato italiano o cinese, messicano o vietnamita, perché queste comunità non hanno agganci esterni con culture e organizzazioni che teorizzano la «guerra santa».
Per questo la risposta alle accuse della destra sarà efficace se si mobilitano le comunità musulmane d’America, per combattere preventivamente i tentacoli delle culture estremiste (che non viaggiano solo su Internet ma anche in certe moschee e istituti culturali islamici). Certo, la destra xenofoba sarebbe più credibile se nella stessa settimana di Boston non facesse fallire l’approvazione di una nuova legge sul controllo delle armi. Per certi repubblicani si direbbe che le stragi sono una minaccia per la sicurezza solo se c’è un versante internazionale. I venti bambini uccisi nella sparatoria di Newtown, Connecticut, pesano meno dei quattro morti di Boston, nella logica perversa della National Rifle Association (la lobby delle armi).
In Europa le xenofobie recenti hanno un forte legame con la crisi economica e sociale. L’austerity ha dei costi enormi: sta lacerando vite individuali, crea una depressione psicologica di massa, sperpera talenti, distrugge capitale umano, fa avanzare la povertà. E infine minaccia un tessuto di relazioni internazionali che durava da 65 anni. Sotto la pressione dei tagli alla spesa pubblica e l’arretramento del tenore di vita, percepiti come un diktat esterno, a Cipro come in Grecia appaiono manifesti con Angela Merkel «truccata» da Adolf Hitler. Germania e svastica nazista fanno tutt’uno, in queste proteste, riportando in auge i rancori della Seconda guerra mondiale, e cancellando il ricordo di quel che è stata la democrazia federale tedesca dal 1945 in poi. I rapporti italo-tedeschi sono un fedele termometro di questo deterioramento.
Un episodio fra tanti, è quello accaduto a Pasqua quando la cancelliera Merkel si è presa una breve vacanza a Ischia. Il governatore della Campania, nel mandarle un messaggio di benvenuto, ha suggerito che la Merkel pensasse anche ai disoccupati napoletani per capire la gravità del dramma sociale. Apriti cielo. In Germania la stampa ha reagito duramente, con commenti di questo tenore: anziché darci lezioni di sensibilità sociale a noi tedeschi, i governanti della Campania dovrebbero smetterla di rubare, e ridurre i «costi della politica», i privilegi esorbitanti di cui godono. I baffetti che i greci dipingono alla Merkel, e le accuse che giungono dall’Italia, confermano in molti tedeschi un’opinione antica su noi mediterranei. Nella visione moralistica dell’economia, che ispira la stessa Merkel, i popoli mediterranei hanno un deficit di etica del lavoro; il parassitismo ha radici antiche sulle sponde del Mediterraneo. Anziché emendarci dei nostri difetti, anziché correggere il malcostume delle nostre classi dirigenti, secondo i tedeschi noi cerchiamo dei capri espiatori fuori dalle nostre frontiere.
È impossibile dargli del tutto torto. Ricordiamoci che mentre la Grecia chiedeva un intervento di salvataggio all’eurozona per scongiurare il default, i parlamentari di Atene mettevano i propri risparmi al sicuro nelle banche svizzere. Le abitudini della casta politica italiana - per esempio gli emolumenti che si autoconcedeva Roberto Formigoni, o le dimensioni della burocrazia della Regione Sicilia - sono ampiamente descritte sulla stampa tedesca. Ma è un piano inclinato molto pericoloso, quello in cui ciascuno si focalizza sui difetti del proprio vicino. Non era questo lo spirito che ha consentito di costruire l’Unione europea; non è questo lo spirito con cui migliaia di giovani vivono quotidianamente quell’esperienza meravigliosa che si chiama Erasmus. Per ogni nazione meridionale che vede spuntare nel suo seno nuovi partiti o movimenti politici anti-europei, c’è una Germania o una Finlandia dove pure avanzano le forze della xenofobia e dell’isolazionismo.