Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 24/4/2013, 24 aprile 2013
IL PRECEDENTE MACCANICO
Che impressione sentire le parole di Romano Prodi: “Mi accorgo che le reciproche paure e le comuni convenienze di D’Alema e Berlusconi hanno fermato una grande e necessaria evoluzione del Paese e mi accorgo che il desiderio di legittimazione del vertice di un partito è prevalso sul disegno storico di creare una coalizione comune per cambiare davvero l’Italia”. Il tempo dunque si è fermato per tutti e non solo per Antonio Maccanico, morto ieri a 88 anni. Oggi il ricordo di un personaggio di indubbio rilievo nel Dopoguerra italiano si intreccia inevitabilmente alle prove generali di mega inciucio che all’inizio del ‘96 furono mandate per aria dalla determinazione di Prodi.
LE ANALOGIE con i fatti di questi giorni sono rilevanti. Caduto il governo Berlusconi a fine ‘94, il “ribaltone” promosso dalla pittoresca alleanza D’Alema-Buttiglione-Bossi aveva fatto nascere il governo tecnico guidato da Lamberto Dini, considerato allora una sorta di loggia massonica a cielo aperto. Caduto Dini, e mentre Prodi era già sul suo pullman in giro per l’Italia a preparare la campagna elettorale, ci fu il colpo d’ala del partito dell’inciucio con ampia benedizione massonica. Con la mediazione di Gianni Letta, ha poi raccontato Bruno Vespa in uno dei suoi libri, Berlusconi e D’Alema si erano messi segretamente d’accordo per un governissimo che avrebbe gestito la riforma della Costituzione in senso semipresidenzialista. E avevano messo al lavoro i loro costituzionalisti di riferimento, Domenico Fisichella e Giuliano Urbani da una parte, Franco Bassanini e Cesare Salvi dall’altra. Michele Santoro, ancora a Raitre, salutò la nuova iniziativa con una puntata del suo Tempo reale così intitolata: “Eroi della nuova frontiera politica o abili professionisti dell’inciucio? Chi sono davvero Berlusconi e D’Alema?”.
Tutto vero, non è un romanzo di fantapolitica. Prodi disse una cosa che nel ‘96 aveva ancora un senso, adesso non più, chiedendo ai due inciucisti che avevano fatto il bell’accordo di spiegare “come sarà governato il Paese nei prossimi due anni e quali siano i contenuti precisi della proposta di riforma istituzionale ora indicata solo in termini generici”.
Questo bel momento di storia patria è passato alla storia come “tentativo Maccanico” perché della voglia d’inciucio “Tonino” era l’interprete, il profeta, in certi momenti il poeta addirittura. Dicevano di lui che sarebbe stato in grado di mettere d’accordo anche due sedie vuote. E quando c’erano da tenere insieme gli opposti, inconciliabili se non per “comuni convenienze”, si chiamava lui. Avellinese di origine, ma formato a Pisa alla Scuola S. Anna (come Giuliano Amato ed Enrico Letta), che allora si chiamava Collegio Mussolini, Maccanico ha fatto per trent’anni il funzionario della Camera dei deputati, arrivando al vertice come segretario generale. Sandro Pertini, che è stato presidente della Camera, quando fu eletto presidente della Repubblica nel 1978 si portò Maccanico al Quirinale, dove Francesco Cossiga lo confermò segretario generale nel 1985. Ma nell’87 Maccanico volò verso la sua seconda vocazione, quella di grande mediatore anche nei salotti della grande finanza, diventando presidente di Mediobanca, al posto di Enrico Cuccia (solo formalmente pensionato): in quella carica Maccanico era stato preceduto molti anni prima dallo zio e maestro Adolfo Tino.
SILURATO IL GOVERNO dell’inciucio e degli ottimati, a Maccanico venne affidata l’ultima missione delicata, ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi, incaricato di scrivere le riforma delle tv senza fare troppo male a Berlusconi. La legge Maccanico nacque nel 1997 dalla sua magistrale capacità di mediazione dei conflitti che c’erano dentro il suo ministero. C’era da una parte il capo di gabinetto Antonio Catricalà (oggi a Palazzo Chigi con Mario Monti), celebre inventore di supercazzole legislative atte a rinviare verso l’eternità il passaggio di Rete 4 sul satellite. C’era dall’altra il pacchetto di mischia dei riformatori diessini (Vincenzo Vita, Nicola D’Angelo, Giuseppe Rao). C’era in Parlamento, a vigilare e a preoccuparsi degli interessi di Telepiù, la lobby television-veltroniana, che aveva nell’allora vicepresidente del Consiglio e nella giovane deputata Giovanna Melandri le sue colonne. Vinse Maccanico, come sempre.