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 2013  maggio 03 Venerdì calendario

LETTERATURA DELL’ANNO 1900


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Il melagrano «da’ bei vermigli» che Carducci canta con la «o» («il verde melograno» di Pianto antico) - è simbolo di abbondanza, di gioia, di regalità. Il nostro Novecento letterario si apre (beneauguralmente?) su questo simbolo: Gabriele D’Annunzio progetta un ciclo narrativo dal titolo Romanzi del melagrano. Nel 1900, appunto, questo sopra titolo accompagna il nuovo romanzo dell’immaginifico, Il fuoco. Stelio Effrena, il protagonista, è figura autobiograficamente esaltata dall’autore; la Foscarina (da lui chiamata Perdita!), che lo adora è chiara rappresentazione della grande Eleonora Duse. Forse per la prima volta da noi un’opera letteraria esibisce ostentatamente una vicenda privata, propria dell’autore stesso dell’opera. Il racconto degli amori Stelio - Foscarina (= Gabriele - Eleonora) si accende in scene tra lo scabroso e il morboso: «la donna gli pesava sopra con tutto il suo peso, lo teneva allacciato e coperto, premeva la fronte contro l’omero di lui, nascosta il volto, soffocatamente, con una stretta che non si allentava mai, indissolubile come quella del cadavere quando le sue braccia si irrigidiscono intorno al vivente». Non si capisce bene se si tratti di allusioni a vaghezze necrofiliache o di fissazione di posture e immagini scultoree. L’importante è, comunque, stupire. Né ci si attenderebbe di meno in un’opera il cui protagonista «era giunto a compiere in se stesso l’intimo connubio dell’arte con la vita e a ritrovare così nel fondo della sua sostanza una sorgente perenne di armonie. Egli era giunto a perpetuare nel suo spirito, senza intervalli, la condizione misteriosa da cui nasce l’opera di bellezza per trasformare così d’un tratto in specie ideali tutte le figure passeggere della sua esistenza volubile». Il romanzo viene concluso «li XIII febbraio MDCCC» (i numeri romani sono dannunziani; e sono d’obbligo). Solo due mesi prima D’Annunzio aveva ancora in mente un’opera in due volumi, di almeno 800 pagine. Rimane il progetto del ciclo narrativo (a fine romanzo si indicano anche i titoli dei successivi - La vittoria dell’uomo, Trionfo della vita - , mai scritti), pur esso destinato a non essere compiuto. Non è un gran danno. Il fuoco non è un gran romanzo, e non è gran male che non abbia avuto seguiti. Così, rimane, curiosamente, una sorta di summa dannunziana: documento di vita, repertorio di immagini, di lessico, di stile, in cui quel «documento» si ingigantisce, si trasforma. Lo strepitoso kitsch del poeta - del tutto involontario? - può ben essere un punto d’inizio per un secolo inondato di kitsch volontario o meno: «volse ancora gli occhi all’aperto; vide nereggiare gli orti, le case illuminarsi, una stella sgorgare dalla doglia del cielo, in fondo alla lacuna rilucere una lunga spada pallida, i colli confondersi con i lembi della notte, le lontananze distendersi verso contrade ricche di beni ignoti. C’erano azioni da compiere per il mondo, conquiste da proseguire, sogni da esaltare, destini da sforzare, enigmi da tentare, lauri da cogliere. V’erano cammini laggiù, misteriosi di imprevedibili incontri».
Intanto, l’anno stesso di tanto "fuoco", Giuseppe Giacosa ottiene un successo trionfale al teatro Manzoni di Milano, il 31 gennaio, col debutto di Come le foglie. I buoni borghesi vanno volentieri a teatro; la tipica "commedia borghese", oscillante fra tematica vagamente sociale e vaga introspezione psicologica, ben costruita, sapientemente organizzata sulla scena, funziona - e non può non avere successo. Si esaltano i valori realmente concreti della borghesia, in una lingua di conversazione la cui media età sta al polo opposto rispetto all’accesa ricerca dannunziana. L’estetismo - concettuale più ancora che linguistico - di Tommy (27 anni, attento ai vuoti valori formali della borghesia) è sicuramente perdente. Una sua battuta potrebbe, in tono minore, fare da pendant al D’Annunzio-Effrena superomistico del Fuoco: «i nostri sentimenti hanno l’elevazione delle cose inutili. Noi rappresentiamo una umanità superiore». Ma è, appunto, un atteggiamento perdente. La borghesia d’inizio secolo mostra e propone cantori, stili, valenze assai diverse - così come la sua letteratura di successo.