Paolo Berizzi, la Repubblica 3/5/2013, 3 maggio 2013
FIORI, PROFUMO DI RACKET UN AFFARE DA 12 MILIONI
TUTTO muove da qui ogni notte a mezzanotte, da queste interminabili file di bancali colorati e profumatissimi: migliaia e migliaia di piante fiorite pronte a viaggiare e a schiudersi nei mercati di Roma e di Rio De Janeiro, ad Amburgo, a Londra, al Cairo. A Buccinasco, hinterland di Milano.
PRIMA di appassire nello stagno della mafia dei fiori, la lunga filiera delle corolle ha la contagiosa frenesia olandese di centinaia di carrelli teleguidati da una sofisticata rete elettrica sotterranea, una specie di teleferica sprofondata nella pancia di capannoni lunghi più di un chilometro. Quando alle nove del mattino sulle spianate di cemento restano gli scarti, quando la babele di Aalsmeer mostra la sua pelle impregnata dal profumo di 22 milioni di piante e fiori, capisci che cosa diavolo ruota intorno al settore florovivaistico. Il peso, gli affari. Quelli puliti e quelli opachi. Che in Italia sono in forte ascesa. Ma qual è la sorgente del business milionario dei fiori abusivi? Come è possibile che a un certo punto la filiera legale delle importazioni venga distorta fino a produrre un danno all’intero settore?
L’ORIGINE DELLA FILIERA
La Borsa di Amsterdam — siamo a 20 chilometri dal centro della città — è il più grande mercato dei fiori del mondo. Un centro supertecnologico dove lavorano 10 mila persone e dove ogni minuto arrivano e partono 2 mila rose, giacinti, tulipani, gerani, crisantemi. È un dedalo di petali battuti all’asta, venduti e acquistati dai professionisti del settore. Sono i sensali di ultima generazione, gli emissari dei grandi grossisti d’Europa che sempre più spesso iniettano merce nel circuito dell’abusivismo, del racket, del riciclaggio criminoso. A vederli chini sulle loro postazioni, dalle sei alle nove del mattino, sembrano studenti sotto esame seduti ai banchi dell’università: concentratissimi, spingono un pulsante per selezionare il lotto da acquistare; lo bloccano mentre le immagini scorrono su un display e il rapido avanzare del tempo abbassa il prezzo. Come i broker. Infatti è una Borsa. Adesso spostiamoci in via Trionfale, a Roma. Esterno notte. Il mercato dei fiori della Capitale è tra i più trascurati e meno controllati d’Europa. Vecchia la struttura, vecchio il sistema di vendita. Quattromilacento metri quadrati che fanno perdere ogni anno al Comune 500 mila euro, 60 grossisti e 250 produttori di cui «solo 50 veri», accusa Federfiori Confcommercio. Insomma il perfetto contraltare di Amsterdam. Intorno al corpaccione di cemento del mercato si snodano le strade e le piazzole dell’altro mercato, come lo chiamano rassegnati i venditori delle associazioni di categoria, i cartelli che, per semplificare, chiamiamo «buoni». Qui si vendono fiori a prezzi dell’altro mondo, prezzi che neanche al mercato, cioè dentro il muro di cinta: se dentro le mura un mazzo di fiori costa (al negoziante) 8 euro, fuori le mura, nelle piazzole degli abusivi e in tutta Roma, agli angoli delle strade, agli incroci, ai banchetti e sulle “apette” (i furgoncini dei pronto- fiori aumm aumm) te lo tirano appresso anche a 5 euro. Se sei gerani al mercato li paghi 12 euro o 12,50, fuori li piazzano anche a 10 o a 9. Una pianta di orchidee? Sei euro. Incredibile se Ikea — dove trattano almeno 1 milione di pezzi l’anno — le vende a 8,99. Ma come funziona la rete parallela dei fioristi selvaggi? Chi muove gli ingranaggi della macchina dei tarocchi? E con quali sponde?
LA CONCORRENZA SLEALE
I bilici dei fiori low cost arrivano dall’Olanda: sì, dalla borsa di Amsterdam. Prima di infilarsi nell’area del mercato e scaricare la merce ufficiale fanno una sosta all’esterno (ma ormai anche dentro il mercato il confine tra lecito e illecito è sempre meno definito). Oliano gli ingranaggi della mafia dei fiori. Ogni notte si celebra la liturgia della processione delle “apette”. Per estensione le “apette” (che in origine furono le Ape-car) sono diventate a Roma tutti i mezzi che espongono e vendono fiori facendo concorrenza sleale ai negozi. La maggior parte delle “apette” è targata Napoli e Caserta. Solo a Roma si calcola che siano oltre 500, distribuite lungo strade e marciapiedi di ogni quartiere. La merce che esce dai tir sale sulle “apette”. Si deprezza. E le “apette”, dalle sette di mattina in poi, sono pronte ad aggredire il mercato. «È un giro criminoso che ci sta uccidendo — dice Salvatore Petracca, presidente di Federfiori per il Lazio — . L’abusivismo è diventato una rete capillare, un sistema comandato dai “signori dei fiori”. Un sistema che stravolge il mercato, che lo fa impazzire. I capi della filiera sono titolari di società olandesi con sede a Napoli. Fanno arrivare la merce e, anziché distribuirla al mercato ufficiale, la spalmano sulle bancarelle abusive che i cittadini sembrano non solo tollerare ma anche apprezzare. Alterano il mercato con prezzi assurdi. Adesso oltre che dall’Olanda hanno iniziato a importare fiori dalla Colombia, a prezzi ancora più bassi».
LA RETE DEGLI ABUSIVI
Nonostante lettere, minacce, atti vandalici, a Petracca non gli hanno ancora fatto passare la voglia di denunciare: da una serie di esposti di Ascofiori è partita un’inchiesta della Procura di Roma. Il pm Simona Maisto, titolare del fascicolo, sta provando a far luce nella matassa oscura di fiori, illegalità e, forse, gruppi legati alla criminalità organizzata. L’indagine è ancora nella fase istruttoria e per ora non ci sono nomi iscritti nel registro degli indagati. Ma lo scenario romano potrebbe svelare una prima cornice, un perimetro dentro il quale circoscrivere il fenomeno anche da un punto di vista giudiziario.
«La rete degli abusivi va da Napoli a Torino — spiega Carlo Sprocatti, presidente della federazione che riunisce i fioristi italiani — , si allarga a macchia di leopardo e mette i ginocchio il settore. Le vendite abusive sono differenti a seconda delle zone, ma iniziano esclusivamente dai mercati all’ingrosso, dove si vendono fiori a tutti senza che abbiano la partita Iva».
Le percentuali di vendite abusive nei giorni normali? Si aggirano intorno al 30 per cento. Durante le festività superano addirittura quelle regolari. Un colpo duro da sostenere per i 18 mila negozi di fiori sparsi in Italia: nel 2012, 2000 di questi hanno chiuso. Nel 2013 si prevede che ne chiuderanno altri 2.500. Solo a Roma — dati della Camera di Commercio — sotto le sportellate degli abusivi nel 2011 hanno chiuso bottega 250 punti vendita regolari (tra negozi e chioschi) dei 1200 che si contavano l’anno precedente. La crisi, certo. Metti che un 10 per cento delle chiusure sia fisiologico, nella Capitale la percentuale del “chiuso per danni” cresce di almeno due volte. Ma con la loro corsa al ribasso quanto guadagnano i “signori dei fiori”? Che peso ha la fetta di mercato che sottraggono ai commercianti regolari?
UN BUSINESS OPACO
Le associazioni di categoria stimano che ogni ape, ogni furgone — a Roma come a Milano — incassi in media 100 euro al giorno. Moltiplicati per 500 fanno 50mila euro ogni ventiquattro ore. Un milione 400 mila euro al mese. Scontrini? Tasse? Zero, quasi mai rilasciano una ricevuta fiscale.
Il vero valore dei fiori che acquistiamo per strada è, banalmente, che costano meno di quelli comprati in negozio. In media li paghiamo dal 10 al 30 per cento in meno rispetto a quelli proposti dai venditori regolari. Quanti sanno che i soldi che allunghiamo ingrossano una filiera abusiva, controllata con metodi opachi da un cartello di operatori — provenienti soprattutto dal mercato campano — che si stanno divorando petalo su petalo i mercati dei fiori? Nelle nove grandi città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Firenze, Bologna, Bari) il giro d’affari degli abusivi del settore florovivaistico è di circa 100 milioni l’anno. Esistono tre livelli di abusivismo collegati uno all’altro a cascata. Il primo strato è la catena di vendita illegale che si annida all’interno e all’esterno dei mercati. Il secondo sono i venditori ambulanti. Il terzo strato sono quelli che volgarmente chiamiamo gli “indianini”, gli ambulanti indiani e del Bangladesh che stazionano fuori dai ristoranti e vendono rose accontentandosi, a volte, di una mancia.
«I capi di questi poveri immigrati sfruttati sono gli stessi signori che influenzano i flussi delle merce che dall’Olanda arriva nei mercati — spiega ancora Petracca — . È gente senza scrupoli che minaccia sindacalisti, associati, persino i vigili urbani. Accade ogni giorno al mercato di via Trionfale. Denunciamo da tempo lo stato di abbandono di questo mercato. È un simbolo del marciume che sta infestando il nostro settore».
LE MANI DEI CLAN
Facciamo un salto indietro, a 15 anni fa. Corsico, periferia di Milano. Sono le 5.30 del mattino del 4 febbraio 1995. Pietro Sanua è sul suo furgone, accanto c’è il figlio Lorenzo, ventenne. Stanno raggiungendo come ogni mattina il mercato di via Di Vittorio. I Sanua hanno un banco di frutta e verdura. Pietro, noto come “il sindacalista dei fioristi”, era presidente dell’associazione di categoria e fondatore di Sos impresa. Lottava contro il racket degli ambulanti. Un impegno che lo portava a contatto con le logiche poco limpide dei mercati itineranti. Corsico, Quarto Oggiaro, Buccinasco. Zone delicate, periferie milanesi dove i padrini della ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana fanno sentire la loro voce. Anche sugli ortaggi. Anche sui fiori. Allora come oggi. «Quando c’era da affrontare un problema, mio padre era l’unico che si sbatteva per difendere la categoria », ricorda Lorenzo Sanua. «La mattina del 4 febbraio, vedemmo un’auto, una Fiat Punto marrone targata Genova. Rallentò, fece inversione a U a 500 metri da noi. Una manovra brusca. Mio padre disse: “Guarda quel tipo che manovra fa in una strada così”. Tutto pensava tranne che quell’uomo stesse per ucciderlo. Sentii uno sparo secco. Colpirono mio padre alla testa, con un colpo di lupara». Quindici anni dopo l’omicidio di Pietro Sanua — un’esecuzione in pieno stile mafioso — non ha ancora un colpevole. Buio pesto. È un’istantanea che rende l’idea di come si muovono le cosche dei mercati e della vendita abusiva. Il 3 febbraio scorso la memoria del “sindacalista dei fiori” è stata onorata con una fiaccolata dal Comune di Corsico con Libera. Chi ha ucciso l’uomo che aveva denunciato i venditori abusivi dei fiori? Perché, oggi, tra bancali e chioschetti, il clima è ancora pesante? «Mio padre — è convinto Lorenzo — doveva morire per far sì che dopo di lui nessuno prendesse il suo posto». E così è stato. Nessuno, dopo Pietro Sanua, ha più voluto occuparsi dei mercati di Buccinasco, Corsico e Quarto Oggiaro. Troppo pericoloso ficcare di nuovo il naso nelle assegnazioni delle postazioni nei mercati, sulle tangenti, sull’evasione, sui giri in nero. Questo aveva fatto Sanua. «Glielo avevano detto tante volte di farsi i fatti suoi. Fino al giorno dell’omicidio tutti cercavano mio padre per risolvere i loro problemi. Dopo, tutti si sono allontanati». Oggi accade la stessa cosa a Roma: chi denuncia viene isolato, vessato. Da quali fantasmi? Per lo Stato il fruttivendolo ucciso a colpi di lupara non è stato ammazzato dalla malavita organizzata. Ma il 20 marzo 2010 don Luigi Ciotti paragona Sanua a Tobagi, Moro, Dalla Chiesa. «Non voglio sapere chi sono gli esecutori — dice Lorenzo — . Voglio sapere chi è il o i mandanti. Sono ancora qui, liberi, a Milano».
Alla Borsa dei fiori di Amsterdam la giornata sta finendo. Gli affari sono fatti. Otto milioni di rose, 2,5 milioni di tulipani, 2 milioni di crisantemi hanno preso il via per il mondo. Nell’area aste in tre ore e mezza hanno “bruciato” 20 milioni di esemplari tra piante e fiori. Ognuna delle dieci ditte a ridosso dell’area ha confezionato 100mila bouquet. Ricarico medio della merce da qui ai negozi: dal 100 al 150 per cento. Amsterdam chiama, Roma e Corsico e Buccinasco rispondono. In mezzo, c’è il tappo imposto dai “signori dei fiori”. Prezzi di saldo tutto l’anno. Le “apette” scaldano i motori, poi aprono le verande sui marciapiedi. Ogni rosa ha i suoi petali e le sue spine.