Costanza Rizzacasa d’Orsogna, ItaliaOggi 3/5/2013, 3 maggio 2013
CROZZA STAVOLTA HA FATTO CILECCA
«Letta era quello che, se lo trovavi a letto con tua moglie e lei ti diceva che stavano solo parlando, tu ci credevi». E ancora: «Letta ha il carisma di una lampadina a basso consumo». E poi: «Letta è stato bravissimo. Più crescita ma meno debito, più rigore ma meno tasse, più Europa ma meno vincoli, e poi ha chiuso con più latte ma meno cacao». Maurizio Crozza a Ballarò ha sempre scatenato ilarità, ma non martedì scorso, quando il pubblico è rimasto in silenzio a quasi tutte le battute, e più passavano i minuti più l’imbarazzo era evidente. Il motivo? Non faceva ridere. «Lo stato del Pd contagia Crozza: tristissimo», ha commentato su Twitter il vicedirettore di Europa Mario Lavia. E Anna Maria Angelone di Panorama: «Temo che con il “tutti insieme appassionatamente” i comici abbiano armi spuntate». Le uniche risate sono arrivate quando ha detto, «Il partito di Letta è il Pdl: Partito Di Letta», e, imitando Brunetta, «Se Letta realizza il nostro programma lo votiamo e gli diamo anche un croccantino». Non male, ok. Ma non il Crozza fuoriclasse cui siamo abituati.
Ecco, la satira è finita, parafrasando una vecchia canzone? E anche se fosse, sarà poi davvero colpa del neonato governo Letta e delle sue larghe intese? Vero, è molto più difficile prendere in giro un Mario Mauro o una Maria Chiara Carrozza. Non sono certo Bersani e Berlusconi. Ma la satira (in generale, non quella di Crozza, che resta comunque una spanna sopra gli altri e ci ha dato strepitose parodie, come quelle di Bersani e Napolitano) in realtà langue da un pezzo, e i motivi sono tanti.
Uno è certamente Twitter (#ècolpaditwitter, per dirla con un hashtag molto popolare nei giorni in cui dalle parti del Pd si accusava il social network di influenzare la politica). I social network hanno portato alla luce comici formidabili rigorosamente non pagati. Persone che di lavoro fanno l’idraulico o il notaio, ma sono in grado di sfornare battute su battute, esilaranti e in temporeale. I comici vengono battuti sul tempo, e i loro autori (alcuni, almeno) non aiutano, facendo la «spesa proletaria» su Twitter anziché cercare nuove idee. Eclatante fu il caso della Littizzetto a Che tempo che fa dopo l’elezione di Papa Francesco: in tutto il repertorio non c’era una battuta originale. Così al momento del comico in tv, arriva puntuale l’ironia di Antonio Polito: «Perché ho sempre l’impressione di averla già sentita?»
«Per chi fa satira politica è un periodo difficilissimo», dicono a ItaliaOggi Lillo & Greg, il duo comico che da anni conduce su Radio2 Rai il programma 610. «La satira politica», spiega Lillo, al secolo Pasquale Petrolo, «funziona quando rende il potere grottesco ed è provocatoria. Ma se il potere è già grottesco, se la realtà supera la fantasia, allora diventa difficile. Ci riesce giusto Corrado Guzzanti». Loro fanno satira sociale. Mettendo alla berlina, non i personaggi, ma la condizione. Dal Proletaire, versione parodistica del Billionaire, dove si beve la gazzosa e i ricchi non sono ammessi, alla purtroppo verosimile agenzia di lavoro interinale che richiedono sei lauree per svuotare i posaceneri, specchio del lavoro che oggi non c’è più. Gli fa eco Greg, al secolo Claudio Gregori: «Sono i costumi che vanno castigati. Inutile mirare al politico: quando cadrà, lo sostituirà un altro con gli stessi vizi. Troppe volte poi la comicità italiana è a senso unico, e accattiva il pubblico di una fazione sola. Se fai satira su uno di destra ti applaudono a sinistra, e viceversa». Certo, non è sempre così. Basti pensare proprio a Crozza, che con uguale “cattiveria” imita Bersani e Formigoni, Maroni e Montezemolo. Metti poi che non è certo tempo di risate. L’ha detto anche Carlo Verdone, in una recente intervista a Io Donna: «C’è poco da ridere. E se lo dico io...». E ancora: «È criminale: in trasmissioni in cui dovrebbero esserci dibattiti seri improvvisamente tutto si risolve con un’imitazione, una barzelletta, un numero. Stiamo abusando della satira. La satira va fatta poco e bene. Fatta così serve solo a buttare tutto in vacca. Serve a edulcorare. Me li vedo i dirigenti Rai o La7 che dicono: «Ma non saremo troppo seri? Poi il pubblico ci lascia. Non ci vogliamo mettere il comico che ci alza un po’ lo share?»
Della questione si è occupato anche Vauro, nel suo libro Critica della ragion satirica, appena uscito per Piemme. Qui i toni rasentano però quasi un’excusatio non petita. «Intendiamoci bene: la satira non è comicità», scrive Vauro. «Perché, come è facile osservare guardando per un attimo fuori dalla finestra, in questo paese ci sono troppi comici. (_) Come le lenticchie, la comicità sguazza, sguazza e si gonfia, e aumenta, e trabocca. Gli stessi politici, in una sorta di trasformazione kafkiana (non me ne vogliano gli scarafaggi), sono spesso migliori come comici, e i comici diventano politici, con risultati esilaranti. (_) La satira non deve per forza far ridere.La risata può essere un valore aggiunto per la vignetta. O un danno collaterale. (_)L’avete mai preso un pugno nello stomaco? Non sono obbligato a far ridere chi guarda una vignetta, specie se è così arrabbiato con il mondo come accade sempre più spesso». Insomma, vietato ridere.
@CostanzaRdO