Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 1/5/2013, 1 maggio 2013
LA PARABOLA TRISTE DI TEBOW CACCIATO IL PREDICATORE DELLA NFL
Per salutare i suoi fans (via twitter) ha scelto un passo della Bibbia: «Abbi fiducia nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a Lui ed Egli appianerà i tuoi sentieri» (Proverbi, 3, 5-6).
Non poteva che chiudersi con una citazione religiosa la carriera di Tim Tebow nella Nfl, l’Olimpo del football professionistico americano, in cui tre anni fa era diventato un protagonista assoluto. Per la sua tecnica, la sua corsa e soprattutto per quel suo pregare, inginocchiato in mezzo al campo, che lo aveva reso l’idolo della destra cristiana. A quei tempi Tim giocava per i Broncos di Denver. In Colorado avevano scelto questo possente quarteback (1,91 di altezza per 111 chili) dopo che tra i “dilettanti” dei colleges — giocava per i Gators, gli ‘alligatori’ della University of Florida — si era fatto la fama di vincitore nato, conquistando due campionati e il prestigioso Heisman Trophy, assegnato al miglior giocatore assoluto.
Appena acquistato dai Broncos la sua maglia numero 15 (lo stesso di quando giocava all’università) aveva battuto ogni record di vendita per un “rookie”, un esordiente nella National Football League, ma la sua crescente popolarità (tra tifosi e media) era dovuta molto al suo essere religioso. Non poteva essere altrimenti, dove lo trovate un giocatore che si dipinge sul viso un versetto di Giovanni o una lettera agli Efesini? Che Tim fosse toccato dalla “grazie divina” i fans dei Broncos e mezza America ne ebbero assoluta certezza quando l’8 gennaio 2012 trascinò alla vittoria la sua squadra contro i favoritissimi Steelers di Pittsburgh durante i play-off. Il “Tebowing”, quel suo modo di ringraziare il suo Dio — «inginocchiarsi e iniziare a pregare, anche se quelli che sono intorno a te stanno facendo tutt’altro», secondo le sue stesse parole — fece ben presto proseliti: da Dwight Howard, una delle star della Nba a Mark Teixeira, stella degli Yankees fino alla sciatrice pluridecorata Lindsay Vonn. In quei giorni ci sono le primarie, i repubblicani puntano ancora su Newt Gingrich (poi clamorosamente sconfitto), i soldati Usa iniziano a ritirarsi dall’Iraq, uno strano movimento che si chiama OccupyWallStreet scende in piazza, ma sulle prime pagine dei media (vecchi e nuovi) il suo nome è a caratteri cubitali.
Nessuno immaginava che il suo futuro potesse essere lontano da Denver, ma nel marzo di quello stesso anno, in una clamorosa operazione di footballmercato, Tim Tebow passò ai Jets di New York, la seconda squadra della Grande Mela. I tifosi della grande metropoli, poco avvezzi a mischiare sport e religione, lo interpretarono anche loro come un segno divino. Sia pure con una buona dose di ironia, la convinzione di poter vincere finalmente il Super Bowl si fece strada anche tra i più agnostici.
Le cose sono andate diversamente. Dopo una cocente sconfitta contro San Francisco (34 a 0) e altre prove piuttosto scadenti, la stella di Tim iniziò a declinare rovinosamente. Fino a quando, nella mattinata di lunedì, i Jets lo hanno malamente cacciato: «Abbiamo un grande rispetto per Tim Tebow, sfortunatamente le cose non sono andate come speravamo. Gli auguriamo il migliore futuro».
Sarà un futuro lontano dalla Nfl, perchè in questi mesi il mondo del football professionistico americano ha scoperto che Tim forse non ha le capacità per essere il quarterback di una grande squadra. Nonostante i tentativi di venderlo nessuno si è fatto avanti, a parte una squadra della lega canadese e un paio di club minori. La “grazia divina” sembra finita. E anche un giornale come il New York Post, che un anno fa aveva celebrato l’arrivo di Tebow magnificandone le doti, tecniche, umane e religiose e definendolo il “quarterback di Dio”, sembra essersene accorto. Tanto che ieri in prima pagina sbatteva la notizia del licenziamento con un ironico titolo: “Exodus”.
@alfloresd