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 2013  maggio 01 Mercoledì calendario

“IO, PADRE COSTITUENTE” L’ULTIMO TRAVESTIMENTO DEL CAVALIER BERLUSCONI


«SAREBBE bello», e già l’approccio suadente nasconde la più irresistibile voglia o necessità. «Sarebbe bello», e anche senza richiamare le virtù ammaliatrici del paroliere di Apicella, non si ha idea di quello che Berlusconi può inventarsi per convincere gli alleati e perfino gli italiani che nessuno meglio di lui può riscrivere la Costituzione della Repubblica.
Ora, tutto o quasi in politica è legittimo e nell’«arte di far credere» (Hannah Arendt) pochi davvero possono vantare i trofei che in vent’anni si è guadagnato il Cavaliere. Ma aspirando dichiaratamente a presiedere questa benedetta Convenzione, bisogna riconoscere che si è cacciato in un dilemma che non solo esalta e contraddice, ma in fondo trascende addirittura la sua stessa storia politica ed esistenziale: Padre della Patria o uomo sbagliato al posto sbagliato?
Vero è che esistono fondate ragioni per ritenere che anche stavolta il processo riformatore finirà per deludere le aspettative e intasare di inutili documenti qualche archivio storico del Parlamento. Ma nel frattempo la macchina dell’immaginazione produce i più inauditi scenari a proposito di una novissima Bicamerale fantasticamente guidata dal Cavaliere — casting dei membri, fiori e gioielli per le commissarie, aule come studi televisivi con statue romane posticce, doviziosi buffet per l’informazione — e magari anche di una Costituzione a misura di monarchia carismatica e aziendale.
Sennonché, a forza di scherzare, in Italia le cose si avverano e anzi superano qualsiasi leggiadra congettura. Con il che dispiace pure, ma è necessario qui riepilogare, e davvero molto parzialmente, l’essenza della cultura istituzionale di Berlusconi, e quindi il conflitto d’interessi, gli avvocati e le vallette in Parlamento, le miss al governo, le leggi ad personam, i processi, le condanne e dunque gli attacchi alle procure e le valutazioni sulla salute psichica dei magistrati, i riferimenti bonari a Mussolini e al fascismo, lo stalliere in casa, le barzellette sessiste, «l’Italia è un paese di merda», le gare di burlesque, una certa smania per le under 18 e una passione per i gasdotti orientali, i vertici ad Arcore, gli incontri internazionali a villa La Certosa...
Sono cose sapute e fin troppo risapute, ma nel preciso momento in cui, sia pure per la quinta o sesta volta, si pensa di riscrivere le regole, beh, veramente non è tanto curioso che Berlusconi si candidi, ma lo è molto di più che qualcuno lo prenda in considerazione facendo finta che tutti questi strappi, e altri ancora, non contino nulla.
Tutto ciò non significa demonizzare Berlusconi, che a differenza di tanti altri suoi avversari resta un grande capo politico. Quando comparve all’orizzonte nel 1994, e nello studio alla Vetrata del Quirinale si fece impiatricciare la faccia di cerone prima di mostrarsi ai giornalisti, egli recava una concezione manageriale e in qualche modo dilettantesca dei poteri e degli organi costituzionali. Luoghi inutili e svuotati dove si perdeva un sacco di tempo.
Una volta ad esempio, con il solito sorriso sulla bocca, disse che i parlamentari la tiravano per le lunghe per dimostrare alle mogli che non andavano a Roma «solo perché lì avevano l’amante». Un’altra volta — oh santa semplicità! — giunse a suggerire una specie di riforma per cui per approvare le leggi bastava far votare i capigruppo. E se pure tali grossolane valutazioni denotavano irrimediabilmente una concezione assai privatistica della cosa pubblica, il guaio è che Berlusconi, ex dilettante di talento, prese a rivendicarla strizzando l’occhietto all’antipolitica, come pure presentandosi a un certo pubblico che conosceva bene come un inconfessabile e selvaggio sovvertitore del sistema, per giunta dall’interno.
Il Contratto televisivo con gli italiani era il massimo della sacralità istituzionale cui era disposto a sottoporsi. Anche come presidente del Consiglio, la sua predisposizione d’ufficio, per così dire, era quella di essere «concavo» o «convesso» a seconda delle circostanze. Ma qui si fermava, restando pur sempre lui al centro, superiore a qualsiasi altro potere fissato da una carta che non perdeva occasione di definire «sovietica».
Ora è anche vero che l’Italia è la madre del trasformismo, per cui tutto è possibile, anche che il Cavaliere assuma di colpo pensose pose da statista, per cui di recente si è pure scandalizzato per i comportamenti dei grillini in Parlamento. Ma quando ritornò a Palazzo Chigi la terza volta, nel 2008 in tal modo espresse il proprio compiacimento a proposito del governo, il «suo» governo: «Per la prima volta ne ho uno che fila come un orologio: sembra un consiglio d’amministrazione».
E di nuovo viene un po’ da sorridere, ma certo non sorrise il presidente Napolitano scoprendo, se così si può dire, in quale modo e per quali fini il premier concepiva i decreti legge vuoi in tema di intercettazioni che di salvezza personale, per non dire su Eliana o salva-Mediaset. Nessuno meglio del presidente della Repubblica può stabilire la sincerità di Berlusconi nel mentre chiede o forse pretende di riscrivere la Costituzione della Repubblica italiana.