Barbara Gallavotti, La Stampa 1/5/2013, 1 maggio 2013
SE LA MATERIA CADE L’ ANTIMATERIA CADRA’ ALL’ INSU’?
Negli ultimi giorni due esperimenti al Cern di Ginevra hanno contribuito a chiarire la natura dell’antimateria. In realtà la sovversiva signora si tiene ancora stretto il più grande dei misteri, cioè il perché sia così rara nell’Universo. Ma non è più l’esotica creatura ipotizzata da Paul Dirac nel 1930. Fra l’altro, ormai da decenni è stata addomesticata e a lei dobbiamo l’esistenza della Pet, il sistema diagnostico che funziona appunto grazie agli antielettroni.
L’antimateria è formata da particelle identiche a quelle che costituiscono la materia, solo dotate di cariche opposte. L’elettrone, per esempio, ha come controparte l’antielettrone, detto anche positrone (con carica elettrica positiva anziché negativa), mentre il protone si specchia nell’antiprotone (con carica elettrica negativa) e così via. Le antiparticelle si formano spontaneamente in molti fenomeni cosmici, ma in genere hanno vita brevissima. Basta che si incontrino con le comuni e corrispondenti particelle di materia perché si annichilino, trasformandosi in un lampo di energia. Al Cern, però, i fisici dell’esperimento «Alpha» sono riusciti da tempo nell’impresa di creare e mantenere in vita per qualche istante degli atomi di anti-idrogeno. E in un articolo pubblicato oggi su «Nature Communications» hanno annunciato di aver messo a punto una procedura per capire come l’antimateria reagisce alla gravità.
In effetti, come si sarebbe comportata la mela di Newton se fosse stata di antimateria? Sarebbe caduta sulla testa dello scienziato o avrebbe fatto la bastian contraria, schizzando verso l’alto? La gravità è una forza fondamentale ed è cruciale capire come rispondono le antiparticelle. Per farlo, però, occorre affrontare difficoltà tecniche enormi. Nel test «Alpha» gli atomi di anti-idrogeno sopravvivono brevemente perché sono racchiusi in una sorta di gabbia formata da campi elettromagnetici. Per capire come reagiscono alla gravità occorre «spegnere» la gabbia e osservare cosa avviene prima che l’antimateria si dissolva. Con un’accortezza: al momento del «via» gli antiatomi devono essere sostanzialmente fermi, perché altrimenti la loro energia cinetica li spingerebbe a movimenti casuali in tutte le direzioni dello spazio e sarebbe impossibile distinguere l’effetto della forza di gravità. Per fermare un atomo c’è un solo modo: raffreddarlo, avvicinandosi allo zero assoluto, pari a-273°. Stando alle prime indicazioni ottenute, l’antimateria reagirebbe alla gravità esattamente come la materia, e non in modo opposto. Il che in fondo è quello che i fisici ritenevano più probabile. Ma per avere una conferma occorrerà ripetere il test.
Dicevamo che il maggiore mistero riguardo l’antimateria sta nella sua rarità. Secondo le ipotesi più accreditate, subito dopo il Big Bang materia e antimateria si sarebbero formate in uguale misura, per poi iniziare ad annientarsi reciprocamente. In teoria il processo avrebbe dovuto portare all’annichilazione completa di entrambe, tuttavia si sono verificate delle asimmetrie e grazie ad esse è sopravvissuta un po’ di materia (quella che forma le stelle, i pianeti, i nostri corpi e ciò che conosciamo). I fisici sanno da tempo che in parte, ma solo in parte, queste asimmetrie sono dovute a piccole differenze tra il comportamento delle particelle e quello delle antiparticelle. Nei giorni scorsi l’esperimento «LHCb», sempre al Cern, in uno studio su «Physical Review Letters» ha confermato di avere osservato la minuscola ma cruciale differenza nel caso di particelle chiamate «mesoni Bs», per le quali era stata solo ipotizzata: è un risultato importante, che però non risolve la questione. La quantità di materia nel cosmo, infatti, è superiore a quella che dovrebbe esserci tenendo conto delle asimmetrie tra materia e antimateria. Insomma, l’antimateria è una vicina di casa della cui vita conosciamo sempre di più, ma qualcosa sul suo passato ci sfugge.