Gabriele Beccaria, La Stampa 1/5/2013, 1 maggio 2013
E’ SCRITTA NEL DNA L’ INVASIONE CHE MUTO’ LA STORIA D’ EUROPA
Trentanove scheletri possono bastare per riscrivere la storia degli europei? Wolfgang Haak, genetista della University of Adelaide, in Australia, è convinto di sì. Sequenziando il Dna di questo gruppo di progenitori, ha scoperto che le nostre origini sono molto più recenti di quanto pensassero gli archeologi della
scuola classica, non ancora in simbiosi con le provette. Gli europei - sostiene - sono figli di un popolo relativamente giovane, oltre che sofisticato e aggressivo, anche se molti misteri rimangono.
Il Vecchio Continente - ripete la vulgata - è da sempre una terra di lente migrazioni e invasioni repentine. Fin dal passato più ancestrale. Si sa che una prima ondata decisiva si verificò tra 40 e 35 mila anni fa, quando dall’Africa si materializzarono tante tribù di cacciatori-raccoglitori. La calma apparente della storia che non conosceva ancora testimonianze scritte sarebbe stata rotta solo da un altro tsunami, quello scatenato dai primi agricoltori. Settemila anni fa, provenienti dal Medio Oriente, scalzarono dalla scena i vecchi padroni e introdussero i primi regni centralizzati, approfittando della loro conoscenza della natura e di inedite competenze tecnologiche e militari. Finora molti studiosi pensavano che il «Grande gioco» dei popoli rivali si riassumesse così. E invece Haak - racconta su «Nature Communications» - ha introdotto un ulteriore colpo di scena.
Dai suoi scheletri - veri e propri archivi biologici, rinvenuti nella Germania orientale e appartenenti a un’epocachiave che va dal Neolitico antico all’Età del Ferro - è arrivato alla conclusione che nel periodo tra 6 mila e 4 mila anni fa si verifica un cambiamento genetico improvviso: bastano alcuni secoli (un soffio in base ai tempi dilatati del Genoma) e una serie di geni che erano «standard» negli organismi degli europei tendono a estinguersi e lasciano spazio ad altri. Concentrandosi sul Dna mitocondriale - le informazioni che fanno funzionare le batterie delle cellule e che si trasmettono, inalterate, per linea materna - Haak ha annunciato che si tratta del cosiddetto aplogruppo H.
Detta così, può sembrare una notizia da super-specialisti, ma fa impressione anche a chi non ha familiarità con i laboratori che quel pacchetto di mutazioni, rimasto relativamente raro per millenni, di colpo, diventi predominante. E non molla più la presa nel Genoma. Tanto che nel XXI secolo è ancora presente in quasi il 45% degli abitanti del Continente. Il che significa - ragiona il gruppo guidato da Haak - che milioni e milioni di individui discendono da un ristretto clan genetico che avrebbe preso il sopravvento intorno a 4500 mila anni fa, all’incirca quando in Egitto prendeva forma la piramide di Cheope. E non è un caso che l’epopea della grande invasione che il Dna custodisce nella sua doppia elica si incastri con numerose evidenze archeologiche. La prevalenza dell’aplogruppo H è infatti contemporanea con la fine della civiltà degli agricoltori - nota tra gli addetti ai lavori come «Cultura della ceramica lineare» - e con l’affermazione di quella che gli anglosassoni definiscono «Beaker culture», la «Cultura del vaso campaniforme».
In poche centinaia di anni i signori dei vasi si espandono dagli altipiani della Penisola Iberica e dilagano nelle foreste della Germania. Tanto che l’archeologo Vere Gordon Childe, già negli Anni 50 del secolo scorso, li aveva definiti «una popolazione di invasori dediti alla guerra, dalle abitudini autoritarie e con una predilezione per le armi di metallo e gli ornamenti». Oggi gli studiosi australiani ammettono che c’è ancora molto da capire. Quella popolazione che, probabilmente, cancellò la prima civiltà paneuropea, è in realtà un concentrato di enigmi, i cui successi si intrecciarono con veloci metamorfosi sia nella cultura materiale sia in quella immateriale, dagli utensili al linguaggio. E anche con una presunta serie di catastrofi, indotte sia da mutazioni climatiche sia da pandemie. Il collega di Haak, Alan Cooper, sogna di riportare alla luce altre firme genetiche e chiosa così: «La caccia a ciò che accadde veramente resta aperta».