Dwight Garner, il Fatto Quotidiano 1/5/2013, 1 maggio 2013
LE CARRE’: “OGGI ANCHE LE SPIE SI SONO GLOBALIZZATE”
Incontro John Le Carré in un pub di St. Buryan, in Cornovaglia, nelle prime ore del mattino quando intorno a noi dozzine di persone stanno partendo per la caccia alla volpe. L’ottantunenne scrittore – alto, distinto, austero, i capelli bianchi accuratamente tagliati – non è un cacciatore, ma quando alcuni amici gli chiesero di firmare una petizione per vietare la caccia alla volpe, si rifiutò e difese, pur con poca convinzione, quell’antica tradizione. Mentre i cacciatori si allontanano a cavallo, Le Carré sorseggia le ultime gocce del suo punch e commenta: “per lo meno non stanno cacciando la povera volpe con i droni”.
Non è difficile capire le ragioni del buon umore che Le Carré non riesce a dissimulare. Ha superato gli 80 e la sua popolarità non accenna a diminuire. A Hollywood, Philip Seymour Hoffman e Rachel McAdams hanno appena terminato le riprese di Yssa il buono, mentre Ewan McGregor sarà il principale interprete de Il nostro traditore tipo. In Gran Bretagna è appena uscito il suo ultimo romanzo, A delicate truth, che parla di una operazione di antiterrorismo condotta a Gibilterra e finita malissimo. Le Carré si conferma non solo un maestro del genere, ma anche un grande scrittore capace di abbozzare in due righe un personaggio e di fornire una chiave di lettura della storia.
PER MOLTI VERSI il gergo in uso nel mondo delle spie è stato inventato da Le Carré. Persino il copyright della parola “talpa”, nel senso di agente infiltrato, gli è stato attribuito dall’Oxford English Dictionary. Ma la più grande invenzione di Le Carré è lo stesso Le Carré. Nato nel 1931 a Poole, nel Dorset, era figlio di un truffatore. Suo padre, Ronnie Cornwell, era amico dei famigerati e fotogenici banditi londinesi, i gemelli Kray. Scontò una condanna in carcere per una frode nei confronti di una compagnia di assicurazione e, per dirla con le parole di Le Carré, “non faceva che progettare ed escogitare sistemi illegali per guadagnarsi di vivere”.
“All’apice della sua carriera di malfattore possedeva un ippodromo a Maisons-Lafitte, fuori Parigi, e lo si poteva incontrare a Monte Carlo all’Hotel de Paris in compagnia del sindaco di Londra”, ricorda. “Ebbe una vita molto avventurosa. Certo quando le cose andavano male la polizia veniva a cercarlo a casa e noi nascondevamo le auto dietro la casa e spegnevamo tutte le luci”.
La vita del giovane Le Carré era piena di imprevisti: “mio fratello e io dovevamo spesso cambiare casa in tutta fretta. Capitava sovente di rimanere senza denaro. Le poche volte che nostro padre era a casa pretendeva di essere il centro dell’attenzione. Chiunque si azzardasse a leggere un libro veniva immediatamente rimproverato”.
Quando aveva cinque anni sua madre se ne andò e John fu spedito in collegio dove rimase fino a 16 anni. Di sua madre ha pochissimi ricordi: “se qualche volta, come capita a tutti, sono stato crudele o cattivo forse la causa va cercata nel fatto che da piccolo mi è mancato l’amore di una madre”.
Prima di entrare a Oxford, nel 1952, aveva studiato lingue e aveva lavorato in Austria per l’intelligence militare come interprete dal tedesco durante gli interrogatori di disertori che passavano dal blocco comunista in Occidente. A Oxford si laureò in lingue con il massimo dei voti e cominciò a lavorare per l’MI5. Poco dopo iniziò a scrivere il suo primo romanzo: Chiamata per il morto. Adorava il Security Service MI5: “Era come lavorare per un grande giornale. gente divertentissima. Erano tutti molto anticonformisti, aperti, intelligenti e con strani interessi”.
Nel 1960 fu trasferito all’MI6 e inviato a Bonn e Amburgo dove si occupò di intercettazioni, interrogatori e formazione di agenti sul campo. I servizi non gli consentirono di pubblicare il suo primo romanzo con il suo vero nome, David Cornwell, così chiese all’editore di consigliargli uno pseudonimo. “Mi consigliò due monosillabi dal suono anglosassone, del tipo Chunk Smith o Hank Brown”, dice Le Carré. “Io scelsi Le Carré. Dio solo sa perché o come mi era venuto in mente”.
Quando l’insperato, ma clamoroso successo del suo terzo libro, La spia che venne dal freddo, lo costrinse a dare le dimissioni dai servizi, dovette pagare lo scotto della notorietà. “Il mio primo matrimonio fu un disastro… per colpa mia”. La sua prima moglie, Ann, gli ha dato tre figli. “Era difficile vivere con me”. La fama gli rese anche difficile farsi degli amici nel suo nuovo campo, quello della letteratura. “Ero una anomalia. La maggior parte degli scrittori debbono lavorare duro per arrivare al successo. Per me era stato facilissimo. Non potevo mescolarmi agli altri scrittori e comportarmi come se niente fosse perché la maggior parte di loro sudavano sette camicie per guadagnare un paio di migliaia di sterline l’anno”.
Dalla seconda moglie, Valerie Jane Eustace, editor della Hodder & Straughton, ha avuto un figlio, Nicholas, romanziere con il nome d’arte di Nick Harkaway.
HA ESITATO prima di autorizzare una seconda versione cinematografica de La talpa, dopo quella con Alec Guinness. “Non ero certo che se ne sentisse il bisogno e poi mi sembrava di tradire Alec consentendo ad un altro attore di interpretare Smiley”. A Le Carré piace farsi vedere sul set e osservare gli attori che danno vita ai suoi personaggi. Nel 1990 ricorda di non aver voluto che Jeremy Irons interpretasse il ruolo principale in Casa Russia. Il ruolo andò poi a Sean Connery. “Si trattò di una faccenda personale. Un giorno in un parco di Londra i suoi enormi cani avevano aggredito i miei che erano molto più piccoli. Jeremy Irons non si fermò nemmeno per scusarsi. Non gliel’ho perdonato”.
ANCOR PRIMA della caduta del muro di Berlino, il suo interesse per la guerra fredda era già scemato tanto che nel 1983 aveva già scritto La tamburina ambientato in Medio Oriente. “Dopo La talpa mi dissi che dovevo mettermi alla prova con qualcosa di diverso. Niente di eroico, intendiamoci. Solo un cambio di prospettiva. Oggi il mondo dello spionaggio è diverso, multietnico: facce bianche, nere, gialle e totale interclassismo”. D’altro canto Le Carré trova assurda e ridicola l’ossessione dei suoi concittadini per le classi sociali.
Quanto agli avvenimenti degli ultimi anni non riesce a nascondere la sua contrarietà per la politica di Stati Uniti e Gran Bretagna dopo gli attentati dell’11/9. “Sono stato critico in tempi non sospetti”, ricorda. Quando nel gennaio 2003 quasi tutti i giornalisti e gli scrittori del mondo approvavano la decisione di rovesciare Saddam Hussein, scrisse sul Times un pezzo dal titolo “Gli Stati Uniti sono impazziti”. “Bush e la sua cricca sono riusciti a deviare su Saddam la rabbia della gente nei confronti di Osama bin Laden. È stato un autentico imbroglio. Per questo sono sceso in piazza insieme alla mia famiglia”. È ancora talmente arrabbiato che in bagno, dinanzi al water, ha appeso una foto di Bush per poterla guardare ogni volta che urina.