Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 01 Mercoledì calendario

QUIRICO NEL SILENZIO SIRIANO

Consigliano a chi vuole vedere la storia da vicino, a chi vuole partecipare agli avvenimenti in prima persona, di seguire i fotografi. Loro hanno bisogno di sentire la storia e la terra tremare sotto i loro piedi per scattare le immagini che diverranno testimonianza. Avere l’incoscienza dei fotogiornalisti non è un lavoro per tutti. Durante la mia breve carriera, il numero dei writers che sono venuti con me, che hanno deciso di lasciare il computer in albergo e armati di penna mi hanno accompagnato in prima linea, li conto sulle dita di una mano. Il taccuino rosso di Domenico c’è sempre. È fra i primi ad arrivare. I suoi racconti sono sinceri e pungenti, e come lui, si intrufolano nelle storie più dimenticate, quelle fuori dai circuiti main stream. Si traveste da Tuareg per affrontare il deserto africano e da tunisino per attraversare con gli ultimi il Mediterraneo. Domenico è un uomo curioso e sprezzante del pericolo come se non esistesse, pur essendo perfettamente conscio del rischio.
Il suo corpo minuto e fragile, sempre coperto da stirate camicie messe nei pantaloni, racchiude il cuore che contraddistingue i grandi giornalisti. I suoi occhi raccontano le storie che ha vissuto: occhi tristi incastonati in un viso quasi maghrebino. Ci siamo conosciuti a Tripoli, durante l’assedio delle forze non governative al compound di Gheddafi, Bab al-Aziziya. Fu un incontro fugace e sfortunato. Lui e altri tre giornalisti avevano preso la via errata durante l’entrata in città e furono sequestrati per circa 48 ore dall’esercito del Colonnello. Quando lo liberarono il suo sguardo era perso, spaventato e allo stesso tempo eccitato dalla libertà. Aveva visto la morte avvicinarsi e l’aveva schivata di un soffio. Il suo driver era stato ucciso sotto i suoi occhi e quelli dei suoi colleghi. Quasi con senso di colpa, è tornato in Italia e ha raccolto fondi per la famiglia dell’autista giustiziato.
DA ALLORA ci siamo sentiti più volte e sfiorati in Tunisia, Egitto e Siria ma senza avere la possibilità di lavorare insieme. A febbraio La Stampa ha deciso di mandarci insieme in Mali per coprire la “guerra” dei francesi per liberare le ex terre coloniali dai fondamentalisti islamici. Emozionato e allo stesso tempo fiero di accompagnare Domenico, scopro con lui una guerra invisibile. Frustrati passiamo circa due settimane in territorio maliano, con la vana speranza di potere vedere il conflitto. Gli scontri rimasero lontani, ma scoprimmo che le nostre idee erano sempre più vicine. Parlammo di guerra, di vita e morte. E di tanta Siria. Giusto in quei giorni era scomparso un buon amico, il brillante reporter Jim Foley lungo la strada che da Idlib porta ad Aleppo. Diversi colleghi ci hanno lasciato e altri sono stati sequestrati mentre cercavano di diffondere per il mondo le ingiustizie di questo conflitto. Ora anche Domenico manca all’appello; voglio pensare che presto, insieme a Jim, torni per raccontarci come meglio sa fare la storia degli uomini.