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 2013  aprile 29 Lunedì calendario

ORA L’ITALIA HA TUTTE LE CARTE PER FAR CAMBIARE L’EUROPA

Si è forti in Europa, se è forte la nostra democrazia. Cioè se dopo le elezioni si formano go­verni forti, capaci di affrontare le crisi. Dopo 60 giorni il nostro Paese ce l’ha fatta. Adesso ab­biamo tutte le carte in regola per far valere, le nostre istanze di cambiamento della politica economica in Europa.
Già con il governo Berlusco­ni, l’Italia aveva approvato il «Six Pack» e la riforma dell’arti­colo 81 della Costituzione. Ed è questo che ha reso possibile, durante il governo Monti, l’ok alla relativa riforma costituzio­nale e al Fiscal compact. A di­cembre 2012 è stata approvata dal Parlamento anche la Legge rafforzata che qualifica i vincoli derivanti dall’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Pertanto, l’Italia si pone già oggi come il Paese più avan­zato in Europa dal punto di vi­sta del controllo dei bilanci.
La bussola del sistema conti­nua ad essere costituita dal ri­spetto dei due noti parametri del rapporto tra il disavanzo e il pil, che non deve superare il 3%, e del rapporto tra il debito pubblico e il pil, che non deve superare il 60%. Ma, come pre­visto dal Fiscal compact, le rego­le interne devono disciplinare meccanismi volti ad assicurare l’equilibrio di bilancio e la soste­nibilità del debito.
Ciò determina una fonda­mentale conseguenza: sono in primo luogo le istituzioni nazio­nali a dovere assicurare, e per di più in ottemperanza ad un obbligo costituzionale, la disci­plina di bilancio. A riguardo, è fondamentale ricordare come l’equilibrio di bilancio debba realizzarsi tenendo conto degli andamenti del ciclo economi­co (quindi senza riferirsi alle singole annualità) e del verifi­carsi di eventi eccezionali che rendono possibile il ricorso al­l’indebitamento.
Con l’ok alla Legge rafforzata è stato anche dato il via libera al­l’istituzione del Fiscal council, un organismo di raccordo tra istituzioni europee e nazionali in tema di politica economica. Il Fiscal council è indipenden­te, dovrà garantire la correttez­za dei­ conti pubblici italiani e in­terloquire con la Commissione Ue. Ma dovrà porsi il problema di un rapporto non subalterno. Finora le elaborazioni di Bruxel­les, per quanto riguarda gli andamenti del quadro macroeco­nomico su cui sono poi costrui­te le politiche europee, non so­no state oggetto di alcuna verifi­ca critica. Se quelle previsioni sono errate, come nell 2012, la conseguenza è quella di impor­re, com’è avvenuto, a ciascun Paese politiche eccessivamen­te deflazionistiche.
Senza alcuna analisi prelimi­nare seria e approfondita, la ri­cetta che si è scelta per far fron­te alla crisi è la colpevolizzazio­ne degli Stati con la teoria del «sangue, sudore e lacrime». Niente di più sbagliato. Ce lo insegnano gli esempi contrappo­sti di Bulgaria e Argentina. La prima, salvata dal Fondo mone­tario internazionale, dopo ol­tre 10 anni di austerità, è il Paese più povero d’Europa, con un reddito pro capite di 11mila eu­ro annui. Al contrario, l’Argenti­na, che nel 2001 era in pieno de­fault, ma che ha adottato politiche di risanamento opposte a quelle bulgare, oggi cresce in media del 7%-8% all’anno.
Da settembre-ottobre 2012 anche l’Fmi ha abbandonato il dogma dell’austerità, per abbracciare la teoria della cresci­ta, rilevando rischi di «avvita­mento» delle economie dell’Eu­rozona. Secondo le analisi del Fondo, alcuni errori di previsio­ne della crescita, effettuati ne­gli ultimi anni, indicano la pre­senza di una sistematica sotto­valutazione dell’impatto delle misure di rigore. Il commissa­rio per gli Affari economici dell’Ue, Olli Rehn, ha cominciato a fare (in ritardo) autocritica sul­le (errate) «ricette» e ha «aper­to» ai Paesi in difficoltà, conce­dendo un tempo maggiore per correggere il deficit eccessivo.
Agli «elementi di flessibilità» ha fatto immediato ricorso la Francia, che ha registrato nel 2012 un rapporto deficit/pil pa­ri a -4,8%. E venerdì 26 aprile la Spagna ha già ottenuto dall’Eu­ropa un allentamento del Patto di stabilità: deficit al 3% solo nel 2016, e non nel 2014. Al contra­rio, l’Italia,che ha registrato nel 2012 un rapporto deficit/pil pa­ri a- 3%, pienamente entro i pa­rametri di Maastricht, è ancora tenuta in sospeso circa la chiu­sura della procedura di extra­deficit del 2009 e, di conseguen­za, anche circa la concreta possibilità di pagare alle imprese i debiti scaduti della pa.
Sorda a tutto e a tutti la Ger­mania. In particolare, secondo il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaüble, «occorre tene­re fede a ciò che è stato già con­cordato in Europa in termini di austerità e risanamento». La Germania, con il suo potere economico, dovrebbe invece ga­rantire la crescita dell’Eurozo­na. Fino ad oggi è avvenuto l’esatto opposto. L’euro tede­sco, di fatto, sta demolendo l’Europa, creando squilibri cre­scenti nelle bilance dei paga­menti e nei tassi di interesse. È questa la malattia mortale che ci affligge. Perché gli squilibri nei rapporti tra esportazioni e importazioni e nei flussi di capi­tali si riflettono sul deficit e sul debito degli Stati. E quindi sul loro merito di credito. Negli an­ni della crisi i mercati hanno sanzionato tutto questo.
La soluzione è una sola: i Pae­si che registrano un surplus nel­la bilancia dei pagamenti (che include movimenti delle merci e flussi di capitali) hanno il dovere economico e morale non di prestare i soldi agli Stati sotto attacco speculativo, ma di «re­flazionare». Cioè aumentare la loro domanda interna, trainan­do le altre economie. Si riequili­brano così pure i conti pubblici e tornano ai livelli fisiologici i tassi sui debiti sovrani.
Il vero compito che l’Italia og­gi deve portare a termine, quin­di, è implementare un nuovo modello di governance econo­mica europea. Dobbiamo esse­re determinanti nella scelta se continuare nella politica falli­mentare e recessiva di stampo tedesco o cambiare rotta verso un’Europa solidale e florida.
Su questo punto l’Italia è l’unico Stato in cui centrodestra e centrosinistra la pensano allo stesso modo. Lo dimostra la risoluzione approvata all’unanimità dal Parlamento po­chi giorni prima del Consiglio Ue del 28-29 giugno 2012, con cui il governo si è impegnato a promuovere iniziative per lo sviluppo con l’obiettivo di crea­re in Europa l’unione bancaria, di bilancio e politica e di modifi­care i Trattati per attribuire alla Bce il ruolo di prestatore di ulti­ma istanza, al pari di tutte le al­tre banche centrali mondiali.
Sostenuto da una maggioran­za che ha una visione­ chiara sul­l’Europa e avendo le passate le­gislature fatto tutto il necessa­rio per porre basi solide, su que­sto punto il nuovo governo non può permettersi di fallire. Ades­so non ci sono più alibi.