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 2013  maggio 01 Mercoledì calendario

NON MI SERVE MA LO TENGO ECCO LE RELIQUIE DEGLI ITALIANI

Se potesse sbirciare nei no­stri cassetti, anche il no­stro bisnonno redivivo as­sumerebbe un’aria perplessa. «E con questo, cosa pensi di far­ci? Perché non ti decidi a butta­re via un po’ di roba?».Il «cime­lio» varia da persona a persona, da famiglia a famiglia, ma ognu­no di noi ne ha almeno uno. An­zi, secondo una recente indagi­ne, in Italia ne abbiamo in me­dia ottantacinque. Antiestetici posacenere, telefoni (fissi e mo­bili) che non funzionerebbero neanche agli ordini di uno sciamano; bambole impolverate che,dall’alto degli scaffali, paio­no più anonime mummie che pregiati souvenir dell’Est Euro­pa. E le lavastoviglie degli anni Settanta, i tubi catodici (chia­mati «televisori» per non offen­dere i loro possessori), le borse d’acqua calda forate che, a ricomprarne una nuova, non si spenderebbero 5 euro. Lampa­de in attesa di un genio che le renda guardabili. Addirittura i primi modem: quelli che, a comporre il numero per colle­garsi a internet, intonavano gor­gheggi rochi e sabbiosi e, solo al quarantesimo tentativo, «final­mente siamo online: la Rete è il futuro!».
Borse e fumetti in testa alla ri­cerca TNS per la piattaforma eBay: sono questi gli oggetti, per un totale di 85 articoli, più conservati dagli italiani. Ma an­che libri, dispositivi high-tech già passati di moda, abbigliamento e accessori per la prima infanzia, fotocamere e compu­ter non proprio modello Neanderthal ma nemmeno all’ulti­mo grido. Mobili e vestiti. Vesti­ti, vestiti, vestiti. Perché «prima o poi torna di moda. Non mi en­tra più? In primavera mi metto a dieta».
L’armadio è il custode preferi­to di queste 85 ­reliquie che dor­mono in casa nostra da molti an­ni. Il telefonino si accende sì e no una volta al mese, ma dentro ci sono messaggi che ho bisogno di ri­leggere. Per tutta la vita. La po­chette di mia nonna sem­bra demo­dè, ma devo aspet­tare saldi per per­metterme­ne una ugua­le. E quella bambola bulga­ra dai capelli infel­triti? Il ricordo di un viaggio.
Insomma siamo dei con­servatori. Viviamo circondati da pezzi d’epoca, perché il con­sumismo riduce un’epoca a una manciata di mesi, e noi ab­biamo in casa cianfrusaglie di secoli fa. Eppure, non è così faci­le sbarazzarsene. Come in una strana Antologia di Spoon Ri­ver, anche l’oggetto senza vita parla di sé, di cosa e chi aveva in­torno quando fu acquistato. Delle mani di chi ce l’ha regala­to, magari mai più toccate né vi­ste. Il mercato dell’usato si fa sempre più potente (oggi c’è pu­re un’Applicazione Mobile, sca­ricata 120 milioni di volte in tut­to il mondo, secondo i dati eBay) per rendere rapido lo smaltimento, la conversione in moneta, o in acquisto nuovo, del nostro capitale nascosto. 4mila euro (cioè il più alto in Eu­ropa), il valore medio di quello che abbiamo in casa, se decidessimo di riciclarlo. Eppure, se ce l’abbiamo, è evidente che ci piace tenercelo stretto. E non c’è bisogno di essere «disposo­fobici», cioè affetti da una pa­tologia (che interessa il 2% della popolazione mondiale), per avere que­sto istinto alla conser­vazione ed essere, in ciò, i campioni Il carillon, la chitarra scordata, il primo flauto di pla­stica, la col­lezione di conchiglie (che 15 an­ni fa ci era­vamo ri­promessi di mettere in un vaso di cristal­lo). E il va­so fatto di quella pa­sta maleodo­rante che sembra ges­so, l’avevamo scolpito alle scuole medie, lezioni di «applica­zione tecnica»: ora ci sono dentro fiori finti,anche perché l’acqua di quelli veri combi­nerebbe un disastro. Memoria e polvere hanno avvol­to tutto. Senza quella colonia di acari che li avvolge, questi og­getti non avrebbero lo stesso fa­scino. Non ci ispirerebbero amore. E quando il capitale è il nostro passato, farsi sedurre dall’app diventa più difficile.