Marco Neirotti, La Stampa 1/5/2013, 1 maggio 2013
“A QUIRICO BASTA UNA FACCIA PER RICOSTRUIRE UN’ INTERA STORIA"
Conflitti, sparatorie, bombe. Lì in mezzo, lì dentro, Domenico cerca il cuore delle persone, i loro volti e le loro vite, poi da lì si allarga e apre lo squarcio sulla guerra, sulle sue origini e spiegazioni». È l’istantanea sulla profondità del lavoro di Domenico Quirico che scatta Fabio Bucciarelli, 32 anni, fotografo delle tragedia d’Africa e Medio Oriente, premio Robert Capa per il suo lavoro in Siria. Con l’inviato de «La Stampa» ha affrontato in gennaio i giorni sanguinosi del Mali e dell’intervento francese. Giornalista e fotografo si erano conosciuti a Tripoli, avevano trovato affiatamento: «Insieme siamo partiti per Bamako. C’erano due fronti, uno a Nord e uno a Ovest. Scegliemmo il secondo. Volevamo entrare a Diabaly, ma da parte francese c’era una sorta di black out, impossibile spostarsi. Restammo bloccati a Niono per qualche giorno». È la cronaca di una frustrazione, una sofferenza per la curiosità incatenata, il lavoro ostacolato. «Dobbiamo arrivare là comunque», ripeteva Domenico.
E quando l’amarezza è superata dal via libera, quando molti inviati di tutto il mondo sono entusiasti della partenza, in Quirico scatta un’altra delusione. Bucciarelli: «C’eravamo tutti, dalla Bbc all’Associated Press. Quando aprirono il check point prese a muoversi una carovana con trenta, quaranta Land Rover. È la Parigi-Dakar? chiedeva lui stizzito. C’erano una sessantina di chilometri da percorrere, alla fine dei quali trovammo gli autoctoni con i cartelli che inneggiavano alla Francia, davano il benvenuto ai soldati. Per Domenico era il contrario di ciò che è abituato a cercare: ci hanno fatto aspettare che fosse pronto un grande set cinematografico, ciascuno al suo posto. Io non sono venuto a raccontare messe in scena, realtà costruite. Qui non ci voglio stare. Tornò a Bamako, deciso a cercare il Mali vero, quello spontaneo e sofferente».
Il fotografo ha esigenze precise, immediate, irrinunciabili, fatte di un istante, spesso non coincidenti con chi nel fluire delle parole può raccogliere momenti diversi, esperienze, incontri. In Quirico, nella sua stessa potenza narrativa, Bucciarelli ha però trovato la stessa esigenza di partenza: «Il cuore di una situazione, di una vita, di una paura o una speranza che ti balzano davanti e ti svelano passato e attese». Da qui un «modus operandi tutto suo, il più possibile solitario». Racconta ancora: «Lui arriva pensando a missioni veloci e intense. Vuole arrivare prima degli altri e andarsene quando la scena si riempie di colleghi. Perché non cerca la grande scenografia, il fragore che fa effetto. Annusa e insegue storie fresche, nuove, che diventano rappresentative man mano che le approfondisci».
«Entrare dentro la persona», è la sintesi: «Da un volto capisce che lì stanno le emozioni, la sofferenza, il racconto di una guerra. Come dicevo, parte dal cuore, fosse anche di un solo individuo, per poi allargarsi e trasmettere tutto ciò che è possibile sull’immensità di un conflitto. Conosce e valuta i rischi, ma concepisce la realtà in cui si cala come si concepisce la vita, non la sua rappresentazione».