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 2013  aprile 29 Lunedì calendario

LUGANO: “VOI EUROPEI CI RUBATE IL PANE”

Macchiette, il “poliziotto Huber” e il “signor Rezzonico” inventati da Aldo, Giovanni e Giacomo. Ovvero gli svizzeri visti dai loro vicini italiani. Irrisi, ma anche ammirati, per i loro paesi ordinati e puliti. Presi in giro, però invidiati, perché più ricchi e sicuri. La Svizzera è quello che l’Italia, o almeno la Lombardia, vorrebbe essere. Anzi no: perché alla fine, tra attrazione e repulsione reciproca, gli italiani vogliono essere il contrario di ciò che pensano siano gli svizzeri: amano mostrarsi imprecisi pasticcioni furbastri e creativi. Ma ormai non è solo folklore o scontro tra luoghi comuni. Non c’è soltanto l’ironia dello Svizzionario (rosso, esilarante volumetto che promette “Splendori miserie e segreti della lingua italiana in Svizzera”). Tra Italia e Confederazione è in corso da tempo una vera e propria guerra fredda. A bassa intensità, d’accordo, ma con conflitti veri.
DOPO IL 2008, la crisi economica ha varcato la frontiera. Finiti, anche in Svizzera, i tempi delle vacche grasse. E allora tutto diventa più difficile. I transfrontalieri italiani sono diventati quelli che “rubano il lavoro a noi svizzeri”. Intendiamoci, agli elvetici noi italiani non siamo mai piaciuti. Per i ticinesi, poi, siamo i vicini che parlano la stessa lingua, ma che fanno rumore e buttano le cartacce per terra. Quando arriva un temporale da sud, i vecchi ripetono: “Quand al ven su dall’Italia, al fa dann!”. Ciò che arriva dall’Italia fa danni e oggi, oltre ai temporali, arrivano uomini. Sono sempre arrivati, in verità, ma i nostri nonni emigranti facevano lavori come il muratore. Poi sono arrivati gli italiani nell’industria e nel commercio al dettaglio. Ora invece i transfrontalieri (circa 55 mila, 10 mila in più dell’anno scorso) varcano ogni giorno la frontiera per lavorare anche nel terziario, entrano negli uffici, s’impiegano nelle banche e nelle finanziarie. Il Canton Ticino è passato rapidamente da Heidi agli gnomi di Lugano, dall’agricoltura al terziario (finanza soprattutto, ma anche un forte settore pubblico federale), quasi saltando l’industria. Un tempo i permessi per gli stranieri erano contingentati: servono tot persone nel tal settore, ecco il permesso, prego s’accomodi. Dopo gli accordi bilaterali Svizzera-Unione europea, c’è la libera circolazione. Gli italiani trovano lavoro in ogni settore e gli svizzeri, che iniziano a sentire il peso della crisi, cominciano anche a perdere la pazienza.
LA LEGA DEI TICINESI ci marcia e vuole chiudere le frontiere. L’Udc (Pierferdi Casini non c’entra, è un partito della destra elvetica) cerca consenso piazzando in Canton Ticino manifesti con lo slogan “Siamo in mutande”. Immagine: un uomo ritratto due volte, la prima ben vestito e sorridente, giacca e cravatta e telefonino in mano (“Ieri”); la seconda torvo e sudato, trasandato e in cannottiera (“Oggi”). Proposta: basta con “gli oltre 8 mila lavoratori frontalieri impiegati nel terziario”. C’è sempre un nord più a nord del tuo nord. E così gli italiani (magari leghisti) che varcano ogni giorno la frontiera, a Chiasso o Brogeda, per andare a lavorare in terra elvetica, oggi si trovano segnati a dito da altri leghisti più leghisti di loro che li vorrebbero rimandati a casa. Che tremenda vendetta, e non solo linguistica: di qua della frontiera il pericolo è rappresentato dagli “extracomunitari”; di là, dai “comunitari”. Sì, sono i cittadini dell’Unione europea, italiani soprattutto , ma anche spagnoli e tedeschi, che “rubano il lavoro” agli svizzeri. E che lavoro! “Da voi, gli stranieri vengono a fare, in fondo, i mestieri che gli italiani non vogliono più. Da noi, voi venite invece a rubarci i nostri lavori, le nostre scrivanie”. Dunque “comunitario” in Svizzera è peggio di “extracomunitario” in Italia. Chissà che confusione, nella testa dei lombardi, trattati oltreconfine come alcuni di loro, al di qua del confine, trattano i “negher”.
DAL LAVORO alla sicurezza, si sa, il passo (politico) è breve. Ed ecco dunque gli xenofobi ticinesi all’attacco dell’accordo di Schengen, colpevole di aver “permesso la libera circolazione dei criminali” e di aver quindi portato nella Confederazione una situazione di insicurezza. Curioso che ad assumere gli italiani “comunitari” siano gli imprenditori svizzeri e lo stesso Giuliano Bignasca, il recentemente scomparso leader della Lega dei ticinesi, nella sua impresa edile aveva la maggior parte di lavoratori stranieri (fatti i conti, costano meno). Negli uffici delle banche e agli sportelli, assicurano le associazioni finanziarie, gli stranieri sono ancora pochi. Ma in tempi di crisi, a ogni latitudine, la paura è più forte della matematica e della ragione. La piazza di Lugano non è più un bastione inespugnabile, il futuro non offre più certezze granitiche di sviluppo neppure ai maghi del franco. La Svizzera lava più bianco, ma chi ha qualcosa da nascondere ora va in siti più impermeabili e più lontani, tanto ormai basta un clic.