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 2013  aprile 28 Domenica calendario

SE IL PANICO ATTACCA E DIVORA LA VITA

Quando qualcuno di­chiara di essere de­presso l’interlocuto­re di norma gli do­manda «perché?», mentre nessuno lo chiede se ti senti felice, anche perché hai pa­ura di sentirti dire cose che ti de­primono. È anche per questo che l’infelicità genera roman­zi interessanti, la felicità solo stronzate: è facile immaginare un genio depresso, difficile im­maginarne uno felice. Nella depressione oltretutto spesso il mondo appare senza veli, lo spiegava bene già Leopardi: la lucidità è impossibile da sostenere, abbiamo un costante bisogno di il­lusioni. Condizione confermata dalle odierne neuroscienze e dal­la biologia evolutiva: il nostro cervello produce continuamente finzioni, per proteggerci da una visione troppo oggettiva delle co­se.
Confesso che ero molto sospet­toso del nuovo romanzo di Chri­stian Frascella, dedicato agli attacchi di panico dell’omonimo protagonista, che lavora in fabbrica, a Torino, alla catena di mon­taggio della Fiat. Poiché ci sono due tipi di luoghi comuni sulle pa­tologie mentali: sono la malattia dei ricchi, oppure sono la malat­tia dei poveri, nei Paesi ricchi. Tra l’altro è un libro targato Einaudi, bellissima e storica casa editrice ma con inguaribili tendenze so­ciologiche per quanto riguarda la narrativa italiana, e temevo che Frascella la buttasse sul panico da crisi economica. E invece un cavolo: Frascella è il nuovo Giu­seppe Berto, e Il panico quotidia­no è il degno upgrading de Il male oscuro. Tra l’altro, probabilmen­te per coincidenza, come nel romanzo di Berto anche nel roman­zo di Frascella il padre del narrato­re è malato di cancro all’intesti­no. Ma il parallelismo a Berto è so­lo un richiamo obbligato: piutto­sto c’è un senso esistenzialmente kafkiano nell’insorgere improvvi­so della malattia. Co­me Gregor Samsa si risveglia scarafaggio, Frascella si ri­trova da un momento all’altro nell’essere in preda a una paura senza nome, incomprensibile, un mostro che lo divora dall’inter­no e che raccoglie scarsa solida­rietà: nessuno ti capisce. È sentir­si la morte addosso, dentro, ovun­que, un buio che ti inghiotte, ti to­glie il respiro. Inoltre il panico ge­nera panico: «La parte peggiore non erano tanto le crisi di panico, quanto l’attesa dell’eventualità che si verificassero. Il che genera­va una continua confusione, per­ché l’attesa del panico era già una forma di panico. Come il cane che si morde la coda, se non ti cu­ravi continuavi a girare su te stes­so: paura, paura della paura, pau­ra della paura della paura». Così Christian in breve tempo si tra­sforma in un’altra persona. Isola­to sul posto di lavoro, dipendente da psicotici e benzodiazepine, rinchiuso in casa, sarà lasciato so­lo anche dalla fidanzata: chi sof­fre di attacchi di pa­nico fa un po’ rab­bia, quasi fosse colpa sua. È come con la depressione: perché sei de­presso? Idem per l’attacco di pa­nico: di cosa hai paura?
È in fondo un’altra delle grandi illusioni della nostra coscienza: avere il pieno controllo delle pro­prio stato mentale, rifiutare la re­altà organica, materiale, meccanica, del nostro cervello. Che per la maggior parte lavora a no­stra insaputa, sotto i po­ch­i millimetri della neo­corteccia prefrontale. Talvolta, come racconta Frascella, scatta addirittu­ra la paura del contagio, e il malato viene trattato da ap­pestato: «Appena accennavo al mio “problema”, ecco che l’atteggiamento nei miei con­fronti cambiava radicalmente. Subentrava la diffidenza, aveva­no paura che il mio problema li in­taccasse, sporcasse, rovinasse ­che, frequentandomi, si espones­sero al rischio. Loro e chi gli stava vicino».Un terrore della contami­nazione sintomatico proprio di una mancanza di consapevolezza popolare sugli equilibri chimi­co­ fisici alla base dei nostri stati d’animo, quasi che la malattia mentale potesse insorgere per suggestione. Invece basterebbe pensare a cosa sarebbero perfino l’amore e il sesso senza l’attivazione dei neurotrasmettitori giusti; la depressione e gli attacchi di panico sono l’altra faccia di una meda­glia neurologica molto complica­ta. Io non soffro di attacchi di pani­co ma, dopo aver letto questo bel romanzo di Frascella così magi­stralmente in bilico tra la comme­dia e la tragedia, sono corso ai ripari e ho detto al mio medico: se non puoi darmi Selvaggia Lucarelli, dammi almeno un po’ di do­pamina.