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 2013  maggio 01 Mercoledì calendario

IL GOVERNO RILANCERÀ L’AFFITTO


Enrico Letta ha fatto fare un balzo sulla sedia a Confedilizia, l’associazione delle proprietà immobiliare. Parlando alla camera, nel discorso di presentazione del suo programma di governo, il presidente del consiglio ha infatti parlato della sua volontà di incentivare l’affitto. «Erano 20 anni che un premier non ne parlava», gioisce al telefono Corrado Sforza Fogliani, classe 1938, piacentino, avvocato e leader storico della organizzazione che ha nel suo seno sì i grandi player del mercato immobiliare, come fondi pensione e fondi di investimento, ma associa anche molte decine di migliaia di piccoli proprietari, quella proprietà diffusa, fatta di italiani che hanno messo i loro risparmi nel mattone, pensando magari di trarci la loro pensione affittando. Senonché, nel frattempo, la locazione è stata gravata di tali e tanti balzelli da rendere l’operazione per niente profittevole.
Domanda. Presidente, dunque ci sono voluti 20 anni?
Risposta: Esatto, l’ultimo a fare un’affermazione simile in un discorso programmatico era stato Giuliano Amato. In seguito, della locazione ci si è ricordati solo per andare a tassare.
D. Che segnale è quello di Letta?
R. Che c’è l’intenzione di combattere l’emergenza sociale perché la proprietà diffusa, negli anni scorsi, firmando accordi territoriali con le organizzazioni degli inquilini, aveva messo in pista i canoni concordati che avevano dato una casa a tanti italiani non abbienti. Nel frattempo però Imu e fiscalità hanno reso questa disponibilità un capestro. E gli accordi saltano e non si fanno più. Stiamo parlando di 218.891 affitti, quasi il 6% del totale. Qualcosa che riguarda probabilmente oltre un milioni di italiani.
D. In cosa si potrebbe tradurre l’apertura di Letta?
R. Lui ha parlato di incentivi per l’affitto. Potrebbero essere di carattere fiscale e altri di carattere normativo ma comunque incidendo sui canoni. Si potrebbe usare la leva fiscale abbattendo l’Imu per le abitazioni locate con gli affitti conconcordati, al di sotto livelli mercato. Come si ricorderà, nella primissima versione, l’Imu doveva essere al 4 per mille. Poi, nella versione cosiddetta sperimentale adottata, ai comuni è stata dato mano libera e siamo arrivati al 7-8 per mille. Con questa prima misura per vincere lo sfitto involontario che vediamo in tutte le città. Altrettanto si potrebbe incentivare l’affitto portando a una percentuale ragionevole del canone esente da tassazione, a fronte delle spese che chi affitta una casa deve sostenere. A livello catastale è del 30% la parte esente. Sa quant’è a livello fiscale?
D. No, mi dica_
R. Era del 25%, poi del 15. Col governo Monti la mazzata: siamo arrivati al 5%. Lei si immagini, con tutte le spese cui la gestione immobiliare va incontro, specialmente a ogni cambio di inquilino: rotture, imbiancature, senza contare i costi per morosità, le spese legali conseguente. Senza dimenticare gli sfitti, ché a volte le case restano vuote. Tutto questo starebbe nel 5%? Certo che no, così chi affitta un’abitazione paga abbondantemente le tasse sulle spese che sostiene_
D. A quanto potrebbero ammontare gli incentivi cui Letta dovrebbe mettere mano, secondo i vostri calcoli?
R. Fra canoni concordati potrebbe trattarsi di circa 70 milioni. Un intervento non drammatico ma in grado di rilanciare l’affitto che, non dimentichiamolo, è anche un volano della mobilità del lavoro e dello studio. Se i canoni sono inaccessibili, si penalizza anche il lavoro, laddove resiste e dove c’è bisogno di attirare maestranze e trovar loro un’abitazione a prezzi accessibili.
D. E l’ampliamento della quota di canone esente?
R. Riportarla al 15% potrebbe valere almeno 365 milion di euro.
D. Potrebbe, una misura del genere aiutare anche il mercato immobiliare con i suoi invenduti?
R. Siamo di fronte a un problema più generale ma comunque è chiaro che oggi, con la crisi, chi guarda più all’acquisto per investimento, con una tassazione del genere sugli affitti? Diminuire la tassazione aiuterebbe, certo.
D.Però l’Imu è il dibattito di queste ore: Silvio Berlusconi vuole abolirla o minaccia di andarsene.
R. Che cosa abbiano concordato, non lo so. Prendo atto che il presidente Letta ha detto che è stata sospesa la rata di giugno ma per studiare provvedimenti alternativi, per prendere una decisione. Non per abolirla come qualcuno ha detto precipitosamente.
D. In pratica, presidente, con la tassazione oggi si ricrea la situazione degli anni 70 con l’equo canone che bloccò tutto. Allora non si affittava per i canoni miserrimi e l’incertezza, per i proprietari, della disponibilità del bene. Oggi invece?
R. Oggi perché non c’è più reddito ovviamente. La legge sull’Equo canone obbligò gli italiani a diventare proprietari di casa. Fu un fatto dirigistico. Con gli affitti concordati si era data una risposta sociale: non dimentichiamo che l’edilizia pubblica è stata un fallimento, negli ultimi anni. E che la gestione è onerosissima: un terzo degli inquilini sono morosi.
D: Nelle nostre città spuntano come funghi cartelli affittasi o vendesi anche i fondi commerciali o i box_
R. Sono i cosiddetti usi diversi. Qui lo sfitto involontario dilaga. Basterebbe uscire da una visione romano-centrica che forse la nostra politica ha, per rendersene conto. E vedere appunto quei cartelli che spesso riportano, assieme, la disponibilità a vendere o a mettere in locazione: pur di liberarsi del fondo.
D. E in quel caso cosa si potrebbe fare?
R. In parte è una situazione figlia della situazione della crisi economica, che colpisce artigiani, commercianti, ma anche la norma ci mette del suo: anche se il canone qui è libero i contratti hanno durate assurde. Si parla di 12 anni o 18 per gli immobili destinati a scopi particolari, come le strutture alberghiere. Con questa crisi si dovrebbero poter fare contratti di 2-3-5 anni, sotto l’egida delle associazioni della proprietà e degli inquilini o delle categorie, a prezzi equi, in modo da consentire a chi inizia un’attività di provare senza farsi spaventare dalle durate eccessive.
D. Questo è poi un paese dove la proprietà edilizia viene spesso associata tout court alla rendita. Scontate un bel pregiudizio culturale_
R. È vero. Certi politici guardano alla stabilità dell’investimento e ne ricavano l’idea che sia sperequativo. Come se un immobile rimanesse lì, immutato, per 50 anni, e non ci fossero, di mezzo, manutenzioni, assicurazioni, spese legali. È una ricchezza sì, ma tutt’altro che statica. Un pregiudizio duro a morire, quando invece, come ricordava un sindaco di Parigi di fine ’800, Martin Nadaud, «quando l’edilizia va, tutto va». Sa quanto potrebbe valere il mercato delle ristrutturazioni che, appunto, una nuova politica fiscale sulla casa potrebbe aiutare?
D. Avete fatto una stima?
R. Le nostre 200 sedi territoriali stimano che ci siano 700-800mila unità immobiliari da riattare, con manutenzioni ordinarie e straordinarie che non vengono eseguite perché appunto non c’è redditività. Se solo 500mila di queste fossero ristrutturate, con lavori fra 10-20mila euro per immobile, avremmo 7,5 miliardi. Pensi a quanto lavoro per i nostri artigiani e e per le nostre imprese edili. E pensi al gettito fiscale conseguente.
D. Insomma, ci vogliono delle politiche abitative..
R. Giusto ma sa che fino ad oggi quella delega era sepolta nel superminstero delle Infrastrutture?
D: In che senso sepolta?
R. Che anche il ministro Corrado Passera non sapeva neppure di averla. Tanto che, quando è stato in audizione in parlamento, recentemente, quando ha dovuto riferire sul punto, ha chiesto un rinvio come fanno certi avvocati. Poi è arrivata la fine di legislatura.
D. Ora avete Maurizio Lupi. Lo conosce?
R. Certo, uno competente. A Milano cominciò proprio come assessore all’Edilizia privata in Comune. Uno che oggi sa di avere quella delega. Speriamo che la usi.