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 2013  maggio 01 Mercoledì calendario

IL QUIRINALE RIDUCE GLI STIPENDI. DA FINE MESE TOCCA AI DEPUTATI

Presa in sè, la sforbiciata agli stipendi del Quirinale varata a sorpresa ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non sembra clamorosa. Euro più, euro meno (la Ragioneria del Colle fornirà i dati al centesimo fra qualche giorno) si tratta di un risparmio di un milione di euro sui 228 che il Tesoro ha accantonato per la Presidenza della Repubblica. E invece il taglio del 15% per lo stipendio del segretario generale, del 12% per i consiglieri del presidente e del 5% per il personale distaccato (che assorbe 12 milioni) è significativo per varie ragioni.

LA DIREZIONE
Ne viene colpito innanzitutto il segretario generale della presidenza, Donato Marra, la cui indennità scende di botto da 352 mila euro lordi a circa 300 mila. Il Quirinale così è la prima istituzione costituzionale (le altre sono Camera dei deputati, Senato, Corte Costituzionale e Cnel) che di fatto si adegua al tetto degli stipendi dei superburocrati che il governo Monti fece scattare nella scorsa estate. Tetto molto discusso. Ma che ha portato alla decurtazione e in alcuni casi al dimezzamento delle retribuzioni di tutti gli alti papaveri dello Stato a partire da quelle del capo della Polizia, del capo di Stato Maggiore della Difesa e del direttore dell’Agenzia delle Entrate. Il Colle, poi, sembra rilanciare la palla alle Camere che nelle scorse settimane avevano varato tagli complessivi per una dozzina di milioni (8 i deputati e 4 i senatori). Che Camera e Senato abbiano molto lavoro da svolgere su questo fronte non è un segreto.

I SUPERBUROCRATI
Al segretario generale della Camera, ad esempio, è tutt’ora riservata una indennità di 483 mila euro mentre i due vicesegretari viaggiano sui 13 mila euro netti al mese. I dipendenti delle Camere, anche se molto diminuiti grazie al blocco delle assunzioni, continuano a mantenere un sistema di scatti particolare e retribuzioni distribuite su 15 mensilità che partono da livelli medi per ingigantirsi con il passare del tempo. Risultato: un commesso parte da 37 mila euro lordi per arrivare anche a 133 mila euro a fine carriera.
Il problema è già all’esame dei presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso, che stanno esercitando un pressing discreto anche per sforbiciare le indennità dei parlamentari. Entro fine maggio Grasso e Boldrini dovrebbero ricevere un primo rapporto su come intervenire concretamente.
L’idea che sta emergendo in questi giorni è di ridurre i rimborsi di cui godono i deputati fornendo loro però più servizi. Oggi un deputato riceve circa 14 mila euro mensili, 5.500 sotto forma di stipendio netto e il resto come pagamenti per le spese di soggiorno a Roma e per quelle destinate a mantenere i rapporti con gli elettori. Queste ultime due voci dovrebbero essere scremate spostandone parte del peso, però, sugli uffici della Camera. Il nuovo sistema eliminerebbe il malcostume che consente ai deputati di intascare rimborsi per spese non effettuate.

RIFORME INCISIVE
Ma la risposta più forte all’esigenza di ridurre i costi della politica non può che venire da scelte politiche di ampia portata. In campo c’è il rapporto dei 10 saggi nominati da Napolitano che hanno indicato soluzioni incisive come la fine del bicameralismo perfetto; la riduzione dei deputati a quota 480 dagli attuali 630 e dei senatori a 120 da 315; la riforma profonda del finanziamento pubblico ai partiti. Quest’ultima partita vale circa 91 milioni di euro annui, cifra fissata l’anno scorso pari alla metà dello stanziamento precedente. L’intero pacchetto dovrebbe finire nel pentolone della Convenzione per le Riforme, la commissione bicamerale che dovrebbe definirne la portata entro 18 mesi.
E la Convenzione che dovrebbe occuparsi anche del tema delle Province, riforma che somiglia sempre più ad una ciambella senza buco. Le cose ad oggi stanno così: non si può più votare per i consigli provinciali; già 18 amministrazioni ”scadute” (su 107) sono commissariate; le province rimanenti si sono viste sottrarre alcuni funzioni, come quelle sull’occupazione, ma non il relativo personale; si parlava di accorpamenti ora si parla di abolizione. Insomma: l’ultimo spenga la luce.