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 2013  aprile 30 Martedì calendario

BATTAGLIA LEGALE SULL’EMPIRE UN PEZZO DI STORIA DA CINQUE MILIARDI

DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK È sempre complicato vendere (o acquistare) un pezzo di storia, insomma non proprio come comprare il Colosseo, ma quasi. Se ne stanno accorgendo Peter e Anthony Malkin proprietari dell’Empire State Building, appunto il pezzo di storia che loro vorrebbero in qualche modo cedere. L’idea di padre e figlio è semplice e complicata allo stesso tempo: creare una società nuova chiamata Empire State Realty Trust, con il grattacielo come punta di diamante insieme ad un’altra ventina di palazzi sparsi tra Manhattan e il New Jersey, e poi procedere alla quotazione in Borsa. L’offerta iniziale di collocamento punta a raccogliere circa un miliardo di dollari, tanto da diventare con tutta probabilità la più grande operazione immobiliare di sempre per un valore attorno ai 5 miliardi. Ma i sogni hanno il difetto di scontrarsi con la realtà e i due da oltre un anno devono affrontare una battaglia legale, arrivata ieri in un tribunale di New York, dove il giudice si è preso almeno 24 ore per decidere, anche se sembrerebbe propenso a dare loro ragione.
Sull’altra parte della barricata un uomo d’affari californiano, Richard Edelman e un trader newyorchese Andrew S. Penson, che guidano il fronte del no e che ancora sperano di riuscire a mandare tutto all’aria: «Certo è un affare molto vantaggioso per loro e non ho dubbi che ci guadagnerebbero un mare di dollari, ma non siamo così sicuri che lo sia anche per gli altri azionisti. Loro vogliono passare da essere milionari a miliardari a nostre spese: è l’occasione della loro vita, non della nostra». La sfida è diventata subito una faida pubblica di inaspettata violenza anche per un grattacielo abituato da sempre ai veleni: «Mai visto niente di simile», dice un esperto di questioni immobiliari sentito dal New York Times.
Solo qualche tempo fa, Anthony Malkin ostentava ottimismo al Financial Times: «Sento che c’è grande sostegno attorno alla quotazione dell’edificio. Sono molto incoraggiato da questo». E poi ancora: «È un’occasione imperdibile, con il nostro progetto aumenterà il valore dell’edificio e così sarà un bene per tutti». Ma evidentemente il fiuto per gli affari non aiuta a capire gli altri, visto quel che è accaduto dopo. Alle origini della contesa la strana struttura proprietaria del grattacielo che viene divisa nel 1961 tra circa 2800 acquirenti, con uno statuto che prevede ci debba essere l’80% dei consensi per arrivare a cambiare qualcosa. I Malkin hanno bussato porta a porta, parlato per ore con tutti per arrivare ad un passo dal traguardo: il 75% dei sì. Ma gli avversari non si sono arresi: citazione in giudizio per fermare l’affare, creazione di un sito Internet che pubblicizza le loro ragioni e ridicolizza i rivali e teleconferenze pubbliche per arringare i piccoli azionisti e informarli dei pericoli a cui vanno incontro. «Sono dei manipo-latori, dicono solo bugie alla gente e stanno portando tutti in un vicolo cieco: cercano solo di farsi pubblicità. Noi vogliamo rendere moderno l’Empire che ora è una struttura arcaica dove tutto è complicato».
I due sono appassionati e soprattutto hanno parecchia fretta perché hanno un disperato bisogno di dollari, che il palazzo mangia a getto continuo. I lavori di ristrutturazione della lobby Art Decò e degli appartamenti con un ambizioso progetto di renderlo più “verde” stanno sforando tutti i budget. Ma la velocità degli affari mal si concilia con la lentezza delle tradizioni. Quando nel 1961 vengono messe in vendita le azioni nasce quasi una mistica dell’Empire State Building, che diventa il simbolo vivente del successo raggiunto dalla classe media in grado, dopo anni di sacrifici, di toccare il cielo con un dito. Avere anche solo una piccola partecipazione è come andare ad un ballo di gala del Waldford Astoria: Martini ghiacciati e abiti da sera in stile Med Man.
Come racconta al New York Times il figlio di uno dei primi proprietari: «Mio padre aggiustava orologi e mi ricordo ancora oggi cosa provò quando acquistò per 5.000 dollari, quasi tutti i soldi che aveva, mezza quota. Gli tremavano le mani, temeva che sino all’ultimo qualcosa potesse andare storto. Ecco perché siamo così attaccati a questo palazzo». Un’altra erede però sembra dare qualche speranza ai Malkin: «Mio papà era un povero ragazzo dalla East Side che ha avuto fortuna. Anche io mi preoccupo del passato, l’ho tramandata con orgoglio ai miei figli. Ma non capisco come possa essere messo in pericolo da questo affare: potremmo sempre indicare il mattone e dire: quel mattone è mio».
E l’Huffington Post qualche giorno fa titolava: “Compratevi un pezzo di Empire State Building”. Anche oggi, come quando fu inaugurato, il primo maggio del 1931, l’America lotta per uscire da una crisi economica. Le sue mille luci sono pronte ad illuminare un nuovo sogno americano. Ovviamente quotato a Wall Street.