Anais Ginori, la Repubblica 30/4/2013, 30 aprile 2013
MOSCHEE, LUSSO E IBRA L’OPA DELL’EMIRO SU PARIGI
DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI Tra la chioma platinata di David Beckham, le suite del Royal Monceau, i biscotti macarons Ladurée o i grandi magazzini Printemps, ultimo acquisto, è difficile trovare un filo conduttore. L’unica bussola sono i soldi. Tanti soldi. Il Qatar si sta comprando Parigi, o comunque alcuni dei simboli della capitale. La valanga di petrodollari che da Doha sono stati stanziati per rilanciare il Paris Saint-Germain rappresenta solo un piccolo, anche se spettacolare, esempio della relazione molto speciale che c’è tra la Francia e il piccolo emirato del Golfo. Con qualche preoccupazione. Il Qatar è ormai uno dei primi finanziatori delle moschee del paese, tiene una posizione ambigua sull’estremismo islamico. Ufficialmente finanzia associazioni che dovrebbero favorire il dialogo religioso, ma poi sottobanco — ha rivelato un’inchiesta di Libération qualche giorno fa — si adopera per proteggere e far venire i predicatori più integralisti.
Sulla direttrice Doha-Parigi viaggiano insomma affari politici ed economici. Dopo la fine della dominazione britannica, nel 1971, l’emirato stretto tra Iran e Arabia Saudita ha guardato verso Parigi per costruire nuove relazioni diplomatiche. Negli ultimi tempi, però, c’è stato un cambio di passo. Il Qatar ha applicato la lezione del “soft power” in modo radicale: la geopolitica si fa soprattutto con il denaro. E così è presente in molti dei grandi gruppi francesi, da Lagardère a Eads, da Total a Veolia Environnement. Impossibile quantificare gli investimenti qatarini nell’economia nazionale: spesso transitano per società e fondi stranieri, si nascondono anche in partecipazioni immobiliari. L’emirato ha da poco annunciato altri 10 miliardi di euro da investire. L’Opa sul lusso francese è già a buon punto. Dopo l’hotel Royal Monceau, il Martinez, ora il Qatar comprerà probabilmente anche il mitico Crillon di place Vendome.
Lo sport è stato il volano più efficace per conquistare, oltre che i portafogli, anche i cuori. Nonostante l’atavico sciovinismo, molti parigini sono costretti a gioire per le vittorie del nuovo Psg di Leonardo e Ibrahimovic, indossando al Parc des Princes le maglie con la compagnia di bandiera dell’emirato come sponsor. Il Qatar si è comprato gran parte dei diritti televisivi della Ligue 1, lanciando Al Jazeera Sport France. Merito anche di Nicolas Sarkozy che, quando era all’Eliseo, ha pilotato il salvataggio del club capitolino, del quale è tifoso. In cambio, l’ex presidente ha appoggiato la candidatura del Qatar per i Mondiali del 2022.
Gli stretti rapporti durante la scorsa presidenza avevano alimentato anche pettegolezzi. Si è detto che Ali Ben Fetais Al Marri, tra gli uomini più potenti dell’emirato, fosse il padre della figlia dell’allora ministro Rachida Dati. Voci smentite, ma il patto di ferro con Sarkozy è rimasto. All’ex presidente è stato proposto di guidare un ricco fondo di investimento dell’emirato. I rapporti con il nuovo governo socialista sono più tiepidi, non freddi. L’emirato ha offerto a Ségolène Royal di presiedere una sorta di nuovo centro culturale, mentre altri esponenti della gauche sono stati invitati privatamente in Qatar. L’emirato si muove anche nel mondo della cultura, finanziando lauti premi per gli intellettuali. Uno dei pochi a rifiutare è stato Stéphane Hessel, l’autore di “Indignatevi!”. Ma sembra difficile resistere. Il “soft power” del Qatar ha solidi argomenti.