Alessandro De Nicola, la Repubblica 30/4/2013, 30 aprile 2013
IL DISCORSO DI LETTA SENSATO, MA CHI PAGA?
Bravo il nuovo premier. Linguaggio chiaro, a volte ispirato e capace di strappare qualche applauso anche all’opposizione. Egli sembra per ora in grado di gestire la strana emergenza politica creatasi dopo le elezioni: sarà in grado di fare altrettanto rispetto a quella economica?
Se si esamina il suo discorso davanti alla Camera dei deputati si può dire che gli argomenti su quali Letta è stato esplicito e dettagliato contengono indicazioni positive; quando si è mantenuto sul piano dei princìpi generali ha espresso concetti complessivamente condivisibili. Su tutta la parte economica del discorso rimane però una domanda irrisolta.
Vediamo un po’. L’incipit era necessario: no al debito. In un periodo in cui c’è chi si balocca sulla strana teoria che ci si possa indebitare ad libitum, avere un presidente del Consiglio che fissa chiari paletti, ammonendo che troppo spesso «in passato sono stati fatti debiti poi scaricati sulle generazioni future» è cosa buona e giusta. Meglio ancora aver precisato che la riduzione delle imposte dovrà avvenire senza ulteriore indebitamento.
Sul fronte del fisco il premier è stato più specifico: diminuzione delle tasse sul lavoro stabile e per i neoassunti; incentivi fiscali per la casa (ad esempio le ristrutturazioni) anche in funzione antirecessiva; no all’aumento dell’Iva e sospensione della rata di pagamento di giugno dell’Imu in attesa di una sua riforma che ne alleggerisca il peso; istituzione di fondi di solidarietà e allentamento del patto di stabilità ed, infine, proseguimento della politica di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese. Tutto bene: ciascuna di queste misure è ragionevole, consistendo in un mix di abbassamento dei tributi che tenga conto anche della maggioranza che lo sostiene (non concedere qualcosa sull’Imu avrebbe voluto dire dare uno schiaffone al Pdl).
Pescando qui e là dalle altre proposte più specifiche, sensata è quella di sviluppare lo strumento dei project bond per gli investimenti in ricerca e sviluppo (anche se il diavolo qui sta nei particolari) e necessaria e dovuta è l’istituzione di un Commissario unico per l’Expo, un’occasione irripetibile per il paese che sembrava dimenticata dalle istituzioni.
Altre due misure annunciate sono il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e «il superamento del precariato» nella pubblica amministrazione. Quest’ultimo provvedimento ha in passato significato assunzioni in massa e non sempre dei più meritevoli: pure qui l’attuazione della promessa oltre a comportare ulteriore spesa pubblica (attenzione a questo punto) dovrà essere gestita con criteri severi.
Gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione e all’aggregazione tra loro delle Pmi, è in una categoria diciamo semi-vaga. Benché ogni diminuzione dei tributi sia benvenuta, in questo caso si scorgono echi di una politica industriale per la quale il governo «indirizza verso il loro bene» la gestione delle imprese: staremo a vedere.
Sulle politiche del lavoro e del welfare, buona l’idea di ridurre le restrizioni ai contratti a termine e la constatazione che per quelli a tempo indeterminato non bastano incentivi monetari (quindi, da come l’ho capita, bisogna rendere tale rapporto molto più flessibile).
L’estensione degli ammortizzatori sociali ai precari è una misura di eguaglianza mentre il reddito minimo per famiglie bisognose con figli sarebbe stato approvato anche da Friedrich Von Hayek, nella sua visione di una Great Society. Non é stato detto come reperire le risorse, ahimè.
Infine, l’abolizione sia degli stipendi di ministro a chi è parlamentare sia della legge sul finanziamento pubblico ai partiti sono ottime idee, reclamate dall’opinione pubblica che, in ogni caso, non tollererà nuove leggi che surrettiziamente reintroducano quanto è stato tolto alla politica.
I principi espressi da Letta sono in alcuni casi di generalissima condivisione (chi è contrario alla certezza del diritto, al miglioramento dell’intollerabile situazione delle carceri, alla lotta alla corruzione e all’evasione fiscale?). In altri casi la semplice enunciazione è importante, come quando il neo-premier ha affermato per ben due volte che bisogna ridurre il peso burocratico cui sono sottoposte le imprese e rivedere il sistema delle autorizzazioni. Anche parlando del turismo, l’accenno fatto alla «rimozione degli ostacoli» sembrava rivolto alle pastoie regolamentari.
Su ambiente ed energia, oltre alle solite ovvietà sull’efficienza energetica e le nuove tecnologie, interessante è stato l’accento all’integrazione delle reti con i paesi confinanti.
Parole sante sul fatto che la dispersione scolastica è troppo elevata in Italia e ciò costituisce un freno per l’economia. Divertente che, tra tanti investimenti possibili, il primo ministro abbia menzionato quello per le palestre scolastiche.
Mens sana in corpore sano, certo, se ci saranno i fondi però.
Insomma, nel discorso di Enrico Letta si trovano molte cose buone; tuttavia non ha lesinato una certa dose di vaghezza, ha rispolverato un po’ di politica industriale e ventilato progetti rischiosi (come le assunzioni della pubblica amministrazione).
La domanda finale? Semplice. Il presidente del Consiglio non ha fatto cenno ad alcuna disposizione concreta né di taglio della spesa né di alienazione del patrimonio pubblico, ma ha elencato un po’ di provvedimenti di spesa aggiuntivi e un meritorio pacchetto di decurtazione delle tasse. Ecco, magari risponda con comodo, ma... chi paga?