Michele Brambilla, La Stampa 30/4/2013, 30 aprile 2013
“NOI DEPUTATI NEL MIRINO OGGI ABBIAMO PAURA A DIRE CHI SIAMO"
Ah, i bei tempi del lei non sa chi sono io. Cirino Pomicino, venuto qui in Transatlantico a godersi il giorno della grande rivincita della Dc, mi racconta un aneddoto restando però fedele, da buon cattolico, al principio secondo il quale si dice il peccato ma non il peccatore. «Era la seconda metà degli anni Settanta e un mio amico parlamentare napoletano di prima nomina, naturalmente democristiano, venne fermato dalla Stradale per eccesso di velocità. Gli chiesero la patente e lui fece finta di imbrogliarsi con le mani: oltre alla patente, tirò fuori anche il tesserino da deputato. Il poliziotto si mise sull’attenti, salutò deferente e lo lasciò proseguire».
Oggi altro che «onorevole»: essere parlamentari è quasi un marchio di infamia. Meglio non farlo sapere in giro. E nel caso qualcuno avanzi un sospetto («Ma lei non l’ho vista in televisione?») meglio negare: «Guardi che sta sbagliando persona». «Oggi a quel mio amico», continua Pomicino, «avrebbero ritirato la patente».
L’Italia è diventata forse l’unica democrazia in cui i parlamentari hanno seri problemi di sicurezza a circolare. «Politico» è ormai praticamente sinonimo di «corrotto»; e aumenta sempre più il vecchio accostamento piove-governo ladro. «Questo sentimento di cosiddetta anti-politica va avanti almeno da due anni», mi dice un parlamentare napoletano di prima nomina di oggi, Enzo Amendola del Pd. «Il crollo delle istituzioni ha fatto perdere le staffe a un popolo che ha le ossa rotte per la crisi», aggiunge mentre sta per rientrare in aula dopo il discorso di Letta. Dunque è anche colpa vostra, gli chiedo. «È colpa soprattutto nostra. Abbiamo vent’anni di ritardo nelle riforme di cui ha bisogno il Paese. Ma veniamo guardati con sospetto anche perché c’è stata pure una virulenza fuori dal comune da parte del circuito mediatico». La sera della rielezione di Napolitano, Amendola ha vissuto un’imprevisto battesimo da parlamentare: «All’uscita da Montecitorio ci hanno presi a sputi e insulti senza neppure sapere chi eravamo». Non ha nostalgia degli anni d’oro raccontati dal concittadino Pomicino: «Il politico che entra al ristorante e dice sono l’onorevole Tal dei Tali per avere subito un tavolo era inciviltà pura».
Fuori dalla buvette incrocio un’altra esordiente, anche lei del Pd: è Cristina Bargero di Casale Monferrato e alle primarie ha preso duemila voti in provincia di Alessandria. «Secondo me, dove ti conoscono non hai problemi ad andare in giro. Il rapporto personale con gli elettori non cambia. La diffidenza, e a volte l’odio, li vedo sulla rete: su Facebook e Twitter mi trovo insulti spesso non riferibili. Ma debbo dire che anche sui giornali vedo certi articoli che sembrano un’incitazione contro tutti i politici». Ammette di aver avuto paura, in questi suoi primi giorni a Roma: «La sera della rielezione di Napolitano e dopo l’assemblea al Capranica ero spaventata. Capisco che si contestino leggi e riforme, ma la contestazione contro le persone no, quella non la capisco». E comunque che i tempi siano cambiati lo dimostra anche il fatto che non ci si esibisce più: «Io evito di dire in giro che sono una parlamentare. Ma questo non per paura: è che non ne vedo il motivo. Siamo persone come gli altri. E stia tranquillo che continuerò a prendere il mio treno regionale Torino-Alessandria come ho sempre fatto».
Proprio su un treno regionale, il Milano-Tirano, ha avuto una piccola sgradevole esperienza Benedetto Della Vedova, ora senatore di Scelta Civica. È una faccia che si vede, in tv. «Una signora mi ha riconosciuto e con piglio grillino mi ha detto “Ma lei è un politico!”. Ho risposto di sì e lei mi ha chiesto: “Ma viaggia in seconda classe?”. Sì, ho risposto ancora, a volte in prima e a volte in seconda. E lei, con soddisfazione: “Si vede che i tempi sono cambiati!”».
Niente, comunque, rispetto a quello che mi racconta sempre qui in Transatlantico la neo deputata del Pdl Renata Polverini, che ha da pochi mesi lasciato la guida della Regione Lazio tra mille polemiche: «Io l’odio dell’antipolitica l’ho vissuto sulla mia pelle. Si è voluto confondere tutto, non si è voluto spiegare che un conto era la giunta regionale e un altro conto era il Consiglio, nel quale alcune persone - solo due, poi! - avevano problemi con la giustizia. Ho passato uno dei momenti più brutti della mia vita». Le chiedo se ricorda momenti di tensione: «Tanti. In strada inveivano contro di me e sulla rete poi, non parliamone. La rete è micidiale, su Facebook e Twitter ho ricevuto e continuo a ricevere minacce di morte». Com’è la vita da politico al tramonto della seconda Repubblica? «Brutta. Soprattutto per la famiglia. Mia madre l’ho dovuta mandare via da Roma per qualche giorno. Mia zia, che sta in Umbria, oggi mi ha telefonato e mi ha detto “Renata mi raccomando, fatti accompagnare se vai a Montecitorio”. Dal 2008, cioè da quando come sindacalista della Ugl siglò l’accordo per l’Alitalia, Renata Polverini ha la scorta. Sorride: «La gente crede che sia un privilegio, ma è una grande limitazione della libertà».
«Io sono parlamentare da sette anni dopo aver fatto il consigliere regionale per dieci anni e non ho mai avuto scorta, autista o portavoce», mi dice Daniele Marantelli, deputato varesino del Pd. «La gente delle mie parti mi conosce e mi rispetta perché sa come vivo. Se mi chiedono quanto costa il biglietto dell’autobus io lo so: 1,30 a Varese e 1,50 a Roma. Non tutti i miei colleghi lo sanno». Dipende anche dai politici, insomma. Non solo, ma anche.