Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 30/4/2013, 30 aprile 2013
ROSSI, IO SEGRETARIO? MACCHÉ!
Il segretario io? No, davvero non ci penso». Se Enrico Rossi, governatore toscano del Pd, sente il bisogno di precisare, con un’intervista ieri al dorso nazionale di Repubblica (la seconda in pochi giorni), è perché di lui si parla insistentemente quale candidato alla guida del partito, come ItaliaOggi ha scritto già qualche mese fa.
E, d’altra parte, lui insiste nel parlare: la settimana scorsa, Rossi, aveva fatto una rapida eco a Fabrizio Barca, l’ex-ministro montiano che s’è autocandidato alla leadership democrat con un denso documento politico vecchia maniera.
Il governatore aveva subito declinato una sua idea di partito in pratica rivitalizzando il vecchio modello Pci, di cui ha fatto parte essendo del 1958, con una sorta consultazione continua della base su alcuni temi.
Dunque anche ieri Rossi ha ribadito il suo no a ipotesi che lo vedano alla segreteria Pd e neppure alla reggenza, che si renderà necessaria, essendo Pier Luigi Bersani dimissionario ed Enrico Letta, suo vice, a Palazzo Chigi. «Ho un contratto coi cittadini della Toscana», ha detto Rossi, «sono il loro presidente e intendo onorare l’impegno».
Il ruolo di candidato segretario, d’altra parte, è incompatibile con quello di presidente regionale, come stabilisce l’articolo 21 dello statuto piddino, però Rossi ha spiegato che «come tanti altri che hanno a cuore il futuro del Pd anch’io voglio dire la mia e intervenire nella discussione nazionale. Se non lo facessi mi sentirei un pavido».
Ecco ufficialmente chiarita, dunque, la vivacità con cui, nell’ultimo periodo, ha chiosato le vicende piddine. Eccessiva per i suoi standard, secondo alcuni. Perché certo, è comprensibile il tormento del dirigente davanti alla crisi del suo partito, ma tante interviste (se ne aggiunte una terza alla cronaca fiorentina di Repubblica) sono un po’ troppe per uno abbastanza schivo e molto concentrato sul proprio (buon) governo, perché non ci sia dell’altro. Altro anche rispetto alla notoria simpatia dell’editore di quel giornale, l’ingegner Carlo De Benedetti, verso Rossi, tanto da indicarlo il successore giusto per Bersani, come fece lo scorso anno in tv da Lilli Gruber.
Qualcuno, a Palazzo Panciatichi, sede fiorentina del parlamentino regionale toscano, fa notare che l’uscita di Rossi coincide con quella di Barca al Corriere. E non un’intervista routinaria, ma una conversazione che contiene un passaggio centrale: e cioè che l’ex-ministro montiano si ritiene non antitetico ma addirittura complementare a Matteo Renzi, sindaco piddino di Firenze, col quale Rossi s’è trovato spesso in urto.
Un concetto non nuovo, che il governatore toscano non ha avuto bisogno di leggere sul giornale, ma che motiva la sua sostanziale discesa in campo.
Se Barca, cui un certo mondo ex-Ds guarda come all’uomo capace di timonare il Pd verso le posizioni neosocialdemocratiche, in grado di restaurare il progressismo che Bersani ha lasciato cadere con la disfatta di febbraio, se anche Barca, cioè, pensa di trattare col nemico Renzi, è il caso di fare qualcosa.
Rossi infatti vede un Pd aggregatore della sinistra e sul quel fronte, da un anno a questa parte, ha rinsaldato il suo posizionamento. Dapprima dichiarandosi pubblicamente convinto dell’alleanza con Sel e Idv, anche a costo di dover polemizzare con il segretario regionale del suo partito, Andrea Manciulli, più aperto, come Bersani in una certa fase, al dialogo con l’Udc.
Sparito (o quasi) il partito di Antonio Di Pietro, Rossi ha comunque varato una linea di serrato dialogo con tutta l’area dei comitati ambientalisti toscani, di posizioni spesso vendoliane se non ingroiane Nega di studiare da segretario, Rossi, però dice che occorre superare «la logica delle correnti e la visione leaderistica che ci ha portati fin qui, facciamo invece proposte e confrontiamoci apertamente». Picchiando, in un colpo solo, sia sul vecchio establishment, cui comunque deve smarcarsi, sia sul renzismo dilagante, al quale s’è comunque iscritto anche qualche colonnello ex-diessino o ex-margheritino..
Ieri poi Rossi ha anche reiterato la sua diffida politica a Renzi, già anticipata via Facebook ai militanti: «Credo», ha detto, «che uno dei punti chiave di svolta sia la separazione tra segretario di partito e candidato premier, perché la coincidenza dei due ruoli condiziona troppo la costruzione del Pd. È un errore, ce ne siamo accorti troppo tardi». Una precisazione che porta appunto il nome e il cognome del Rottamatore visto che, per quanto ribadisca di non voler fare il segretario «di questo Pd», Renzi, secondo molti osservatori, potrebbe trovare nella segreteria la via maestra alla nuova premiership. Vigendo l’attuale statuto, il segretario è infatti sic et simpliciter il candidato premier o alle primarie di coalizione, tanto che, per far correre proprio il sindaco di Firenze alle ultime consultazioni, era stata necessaria una deroga. Renzi, appunto, nega, ma Rossi ci mette un paletto.