Giacomo Fasola, Style 25/4/2013, 25 aprile 2013
ANDREA PIRLO [«VESTO BRITISH, GIOCO A GOLF, PARLO BRESCIANO»]
«Andrea Pirlo non gioca a calcio, lo domina. Quando un suo passaggio manca l’obiettivo, è solo perche era troppo sofisticato per essere capito. L’ulima persona che l’ha visto sbagliare una partita è un bugiardo». Basterebbe l’elogio del Guardian per capire cosa rappresenta il centrocampista della Juventus (Brescia, 1979) per gli appassionati di pallone. Poi però ci sono i trofei, perche Andrea a differenza, ad esempio, di Francesco Tolti è un campione che ha vinto tanto: tre scudetti, due Champions League, un Mondiale per club e la Coppa del mondo del 2006 solo per citare i titoli più importanti. Pirlo, dove va vince. Ne è la prova il passaggio dal Milan alla Juve nel 2010: i rossoneri lo «rottamarono», i bianco neri ancora ringraziano perche da allora hanno conquistato uno scudetto e si apprestano a fare il bis (il sogno della Champions League, invece, è sfumato dopo la doppia sconfitta contro il Bayern Monaco: e la ferita fa ancora male). Andrea, dove va è amato. La sua diversità, le invenzioni e i passaggi al di là dell’immaginazione, si comprendono meglio osservando l’uomo, un calciatore atipico che parla poco e appare meno, che pare musone ma in spogliatoio organizza perfide burle. Sposato con Deborah, due figli, Pirlo è differente soprattutto fuori dal campo. Nel tempo libero produce vini biologici e segue le aziende di famiglia, sparse nella bassa bresciana e attive nel settore siderurgico. Con buon profitto: la Elg Steel, capogruppo guidata da papa Luigi, ha chiuso il 2011 con un più 17,6 per cento.
Del Pirlo calciatore si sanno vita, morte e miracoli, di Andrea quasi niente. Come mai? Non amo apparire. Mi apro solo con le persone che conosco e mi conoscono.
Però ora ha deciso di pubblicare un libro con Mondadori: Penso quindi gioco. Perche? (Lungo silenzio). Era un po’ che me lo proponevano. Alla fine, a forza di insistere... Ma ripercorrere il mio passato non significa che mi senta appagato, anzi: voglio scrivere nuove pagine. E nel libro non parlo solo di calcio. C’è un po’ di tutto: io, la carriera, le mie cose.
Quali sono le sue passioni? Gioco a golf. E adoro la moda: ho uno stile particolare, un po’ diverso, non i soliti marchi che mettono tutti. Mi piace vestire british e sperimentare.
Lei è agli antipodi rispetto ai calciatori tutti gel e creme: «Non mi pettino ne asciugo i capelli» ha detto. E la barba che fa tanto Ben Affleck in Argo? L’ho lasciata crescere l’estate scorsa, quando eravamo in Cina per giocare la Supercoppa. Non mi andava di radermi.
Dal look agli affari: il vino e le aziende siderurgiche di famiglia. La vedremo dietro la scrivania, in futuro? Il vino è una passione, quando ero piccolo i nonni avevano un vigneto e facevamo la vendemmia. Le aziende, per ora, le seguono papa e mio fratello, ci sentiamo quando c’è da prendere qualche decisione. Al dopo non ci penso: giocherò finche avrò voglia, mi piacerebbe fare un’esperienza all’estero fra qualche anno.
Intanto però c’è un campionato da vincere, l’unico obiettivo rimasto dopo la sconfitta in Champions. Cosa manca alla Juve per raggiungere le grandi d’Europa?... Parliamo d’altro?
Domanda di riserva. A livello europeo si è confrontato con i più grandi centrocampisti del mondo: c’è qualcuno che ritiene superiore a lei? Posso dire che stimo molto i maestri del centrocampo del Barcellona: Xavi e Andrés Iniesta sono due fenomeni.
A metà giugno se li troverà di fronte nella Confederations Cup, dove si sfideranno le migliori nazionali. Una scocciatura, dopo una stagione intensa? No, anzi: sarà utile per capire a che punto siamo, e per assaggiare l’atmosfera che si respirerà al Mondiale brasiliano.
In maglia azzurra giocano dei «nuovi italiani»: da Mario Balotelli a Stephan El Shaarawy. Che ne pensa? L’immigrazione non è un fenomeno nuovo, lo scambio fra persone e culture ormai è la normalità. Anche nelle nostre aziende abbiamo tanti operai stranieri.
Nel Milan che ora è di Mario, con cui condivide l’accento bresciano ma non certo il carattere, per Pirlo non c’era spazio: due anni fa l’hanno venduta a costo zero. Cercavano altri giocatori e io avevo bisogno di nuove esperienze, forse è stato meglio così. Con la società sono rimasto in buoni rapporti, e i miei migliori amici sono ancora i vecchi compagni del Milan: Nesta e Ambrosini, Inzaghi e Gattuso.
Ora però è passato dall’altra parte della barricata. Veste la maglia della squadra più «antipatica», con l’allenatore più «antipatico». Ma no... Chi vince non è mai simpatico agli altri. Antonio Conte ha dei modi particolari di esultare e di esprimersi, che a qualcuno possono non piacere: è il suo carattere, va accettato così.
Gioco delle somiglianze. Cos’hanno in comune Conte e Carlo Ancelotti, il mister con cui vinse due Champions League? Sono due leader, bravi a creare un gruppo solido e a trasmettere la voglia di vincere. E fanno giocare bene le loro squadre.
Parlando di rivalità, invece. Una frase del suo compagno Claudio Marchisio pubblicata su Style («Quando mi trovo di fronte il Napoli scatta qualcosa») scatenò un putiferio. A me, per fortuna, nessuna maglia fa ribollire il sangue.
Ma per chi tifava da bambino? Per l’Inter.