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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

ENRICO, L’UOMO BIPARTISAN VINCE SENZA CANDIDARSI

Pochi conoscono davvero le idee di Enrico Letta, tutti hanno chiaro il suo metodo: mediare, allargare, integrare. Mai una polemica, mai uno scontro. La trasversalità come valore supremo che si declina in una rete di relazioni su più livelli. Il raduno estivo di VeDrò (si svolge vicino a Trento, a Dro) è il network più pop, un drink-tank: politici, attori, giornalisti, imprenditori, qualche studente, una quota d’iscrizione e tre giorni sul lago di Garda per discutere di politica ed economia, “un’offerta di contenuti utilizzabili da una generazione secondo la logica del supermarket, anche fuori dalla quotidianità professionale”, come riassume uno dei fondatori.
TRA UN MOJITO e un monologo di Antonello Piroso, al termine dei working group ispirati a quelli dello studio Ambrosetti (si parla liberamente con l’impegno a non divulgare all’esterno i contenuti), nell’estate 2012 molti pensavano che il momento di Letta fosse passato: l’eterno giovane appassionato di calcetto e subbuteo, che canta sul palco di VeDrò abbracciato agli Stadio, sembrava destinato a rimanere un numero due, più consigliere che leader. E in tanti “vedroidi” si stavano già riposizionando su Matteo Renzi. Letta pareva destinato a scontare anche un appoggio troppo entusiastico a Mario Monti, con lo storico bigliettino paparazzato in aula “dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno [...] Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!”.
Invece ora tocca a Enrico. E le sue relazioni, costruite con pazienza e determinazione, a Palazzo Chigi gli serviranno molto più di un curriculum ormai un po’ impolverato. Nel 1998 era il più giovane ministro della storia, nel governo D’Alema, alle politiche comunitarie. Nel 1999 passa all’Industria, sostituendo Pier Luigi Bersani. Nel 2006 – ereditando la carica dallo zio Gianni – è sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Romano Prodi.
LE SUE RELAZIONI si declinano invece tutte al presente: allievo di Beniamino Andreatta, ha tenuto viva quella cultura cattolica di governo che è stata impersonata politicamente nel prodismo. Letta è il segretario generale del centro studi Arel, piccolo ma snodo utile tra politica ed economia: il vicepresidente è il politologo Filippo Andreatta, figlio di Beniamino, che durante l’ultimo governo Prodi passò per il cda di Finmeccanica. L’Arel ha prodotto anche Marianna Madia e lì si appoggiano molti degli storici collaboratori lettiani, come la portavoce Mariantonietta Colimberti, o amici influenti, tipo il giurista Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato.
Letta ha sempre coltivato rapporti stretti anche con l’altro promotore del progetto dell’Ulivo, il presidente di Intesa San-paolo Giovanni Bazoli. Con Prodi il legame resiste ma, spiega uno che li conosce bene, “il Professore non ha mai davvero scelto Enrico come delfino, troppo aperto al dialogo e avverso al rischio, sempre restio a candidarsi a qualcosa” (fece un tentativo con le primarie del Pd, nel 2007). La propensione di Letta al dialogo invece che allo scontro si misura a livello condominiale (a Roma abita nello stesso palazzo di Giuliano Ferrara, quartiere Testaccio) ma soprattutto a VeDrò – tra i dirigenti ci sono Nunzia De Girolamo, Pdl, e Giulia Bongiorno, ora montiana – e anche all’Aspen Institute, di cui è vicepresidente. Il numero uno è Giulio Tremonti con il quale c’è qualche differenza di visione, certo, ma sempre pacata e superabile. In sintesi: a VeDrò si incontra la base del lettismo, all’Arel gli intellettuali, dietro le porte dell’Aspen il lettismo trova la sua declinazione internazionale, nel mondo dell’alta finanza e delle imprese strategiche.
CON LA FINANZA i rapporti sono discreti, più con Corrado Passera che con Alessandro Profumo. Ma Letta è soprattutto un uomo da economia reale: con Bersani firmò nel 2004 un saggio sui distretti industriali, “Viaggio nell’economia italiana” (Donzelli), utile pretesto per un roadshow tra gli imprenditori – con un’attenzione particolare a quelli ciellini – negli anni più oscuri per il centrosinistra, quelli in cui la promessa della “rivoluzione liberale” di Silvio Berlusconi affascinava ancora. E nell’economia reale Letta ha sempre preferito l’energia e i servizi, i business regolati, quelli in cui le decisioni le prende la politica più che il mercato. I rapporti con Eni ed Enel sono solidi, i numeri uno Paolo Scaroni e Fulvio Conti sono stati celebrati da VeDrò (che sponsorizzano), il consigliere di Letta sull’energia, Alberto Bianciardi è appena arrivato all’Autorità di settore. A lui è attribuita la battuta migliore su Enrico Letta, che in realtà è una citazione di una vecchia intervista ad Al Bano Carrisi: “É colpa degli occhiali, tutti credono che io sia un intellettuale. Invece sono solo miope”.
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TRA PISA E PALAZZO CHIGI, ALL’OMBRA DELLO ZIO -
Enrico Letta è disponibile, sorridente, equilibrato e prudente. Non ha più i capelli ma le sue idee sono sempre ben pettinate, e ogni relazione è al posto giusto. Era chiaro che un giorno divenisse premier. Si chiama destino, è il suo destino. Enrico non ha infatti bisogno di sgomitare, fascinare o tramare. Deve restare immobile al centro dell’universo e attendere la convocazione. É interprete del potere equivicino: vicino a me e a te, un po’ di qua e un po’ di là.
ENRICO È INDISTINGUIBILE da Gianni, suo zio. Insieme più che una famiglia compongono un consiglio di Stato, un sistema di potere penetrante e confortevole. Benchè milanista, il giovane Enrico si distingue dal suo presidente per stile di vita, amicizie e letture. Non possiede macchinoni, non ha villone, né yacht e nemmeno si è arricchito con la politica. É onesto, visti i tempi non è cosa da poco. É anche collaborativo in famiglia. Sposato in seconde nozze con Gianna Fregonara, giornalista del Corriere della Sera, non fugge quando deve condurre i bimbi a scuola (ne ha tre), o portarli in palestra. Anche questo conta nel ritratto di una personalità che porta la cravatta da quando andava all’asilo, era ministro che i suoi amici ancora incollavano manifesti. Fu Romano Prodi a volerlo nell’esecutivo. Era stato raccomandato da Nino Andreatta, al quale il Nostro è stato discepolo devoto e innamorato. E l’Arel, il centro studi voluto dal professore bolognese, è il luogo ereditato dell’allievo prediletto il cui ufficio confina, ed anche qui c’è il bel segno della carriera concludente, con quello di suo zio Gianni.
Enrico è divenuto plenipotenziario e capocorrente, di carattere mite, è sportivo, ama il calcio, pratica il tennis, ha la vespa, odia la scorta e lo sfarzo. Non è vanitoso ma non è fesso. Sa sempre dove è il posto giusto a tavola, dove andare e dove negarsi. È un democristiano perfetto. Riformista in formato mini, è persuaso che il potere sia prevalentemente marcio e che ci sia poco da fare. Dio perdonerà tutti. Ha fatto buoni studi di Scienze politiche a Pisa, poi un dottorato in diritto europeo al Sant’Anna. Suo padre insegnava matematica all’ateneo cittadino. Quando il figlio era già ministro dell’Industria (anno 2000) si trovò a congratularsi col genitore di un amico di Enrico, appena approdato al Corriere: “Tuo figlio ha un lavoro serio, il mio l’ha precario”. Certo che c’è snobismo, ma anche la consapevolezza di conservare una qualche distanza di sicurezza dalle poltrone. Enrico Letta ha però vissuto dentro le braccia calde di un potere con lui dolcissimo. Ed è un fatto che sia riuscito, anche per proprio merito, a farsi aprire porte che ad ad altri non è concesso neanche solo immaginarle.
DICI ENRICO E PENSI a Gianni, chiami il giovane e noti la resistenza del vecchio. Se c’è un centro del centro è qui, sono loro: i due Letta. Che infatti raddoppiano e divengono Lettaletta, come per significare che rendono alti servigi e assolvono alla necessità dell’ossequio perenne con realismo e ragionevolezza .Oggi Bersani forse è a Bettola e guarda alla tele la scena che avrebbe dovuto interpretare lui come protagonista. Enrico era il suo vice, dunque anche vice-disastro. Eppure Pier Luigi scompare dai radar, lui no. Bisogna andare a scuola di galleggiamento per piacere così tanto e così a tutti. È il destino, e l’abbiamo detto. Non sarà mai un leader, ma pure questa medietà è un segno di vicinanza al Paradiso. Infatti Napolitano, divenuto re Giorgio, ha voluto a palazzo Chigi un premier giovane eppure un po’ anziano, del Pd ma fondamentalmente democristiano, vicino alla sinistra e stimato dalla destra. Letta è perfetto e non ha l’ambizione di dettare regole e programma. Avrà cura di interpretare questo mondo con un sorriso nuovo, una disponibilità antica, una fede immortale. Nulla nasce a caso, e iniziate a stupirvi: Enrico sarà come un chewing-gum. Masticatelo quanto volete, è indistruttibile. All’occorrenza cambia forma, diviene zio Gianni, ma non si consuma. C’è una ragione perchè alla fine sia stato il Pdl a proporlo, o no?
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“LETTA? PER DE MITA ERA ER DANNOSO” -
Il soprannome di Enrico Letta era “er dannoso”. Lo racconta la direttrice di Youdem, Chiara Geloni, allora ufficio stampa del Partito popolare italiano, oggi bersaniana di ferro, in un articolo amarcord sull’Huffington Post. A coniare il nomignolo fu Ciriaco De Mita che definiva i due vicepresidenti del Ppi uno inutile (Franceschini ) e l’altro dannoso (Letta).
Geloni, ci rivela perché lo chiamava così?
Non ricordo l’occasione. Letta era il vicepresidente della corrente di minoranza, quella di Pierluigi Castagnetti. De Mita contestava l’inconsistenza del primo e le continue discussioni con il secondo.
Lo sarà anche al governo?
Ma no, a questo punto bisognava fare così e lui se la caverà.
Convinta che formerà un esecutivo?
Ci proverà, naturalmente non sarà facile.
Il numero due di Bersani che prende il suo posto e fa l’unico governo che il segretario (legittimato dalle primarie) non voleva. Non è grave?
Ma non lo fa contro di lui, il punto è che sono cambiate le circostanze politiche. Ci abbiamo provato, non ci siamo riusciti e ora la priorità è dare un governo al Paese. La scelta l’ha fatta Napolitano e Bersani è più contento che sia stato nominato Letta invece di Renzi.
A proposito, di che umore è Bersani?
É arrabbiato. Ma non per sé, piuttosto per la brutta figura che ha fatto il Pd.
Con chi ce l’ha?
Con chi ha mandato a monte un progetto politico dopo averlo condiviso.
Sembra che i “traditori” fossero adirati per la mancata autocritica di Bersani.
Veramente non l’ho sentita chiedere da nessuno tranne da chi contestava lealmente la sua linea.
Volevano l’inciucio con Berlusconi?
Non posso pensare che nel Pd ci sia chi agisce per questo motivo. Credo che qualche politico non abbia calcolato le conseguenze delle sue scelte.
Che problema ha il Pd?
Un problema culturale di individualismo. Gente che non sa dosare la forza quando gioca in collettivo.
Preferiva un’alleanza con Grillo?
Sì, avremmo risposto alle richieste del Paese.
Se fosse in aula voterebbe la fiducia?
Sì, però avrei votato anche per Marini.
Facile, è il suo padre politico. Invece battute sullo zio Gianni ne avete mai fatte con Letta?Come no, quando andavamo a cena da lui gli dicevamo sempre che portavamo la crostata.
I rapporti tra i due sono buoni?
Credo di sì.
Lei che farà?
Se i reggenti del partito me lo permetteranno guiderò Youdem fino al congresso. Poi vedremo, ancora non ne ho idea.