Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 26 Venerdì calendario

IL CREMLINO DELL’INCIUCIO DOVE E ’ NATO L’ACCORDONE

Testaccio, core de Roma. Testaccio, cuore dell’inciucio. Via Giovanni Branca, all’altezza della chiesa di Santa Maria Liberatrice, nella tarda serata di martedì scorso: Enrico Letta passeggia con la moglie, di ritorno da una trattoria. Sono le ventitré e trenta, l’ora fatidica in cui gli amici di “Enrico” già confidano: “Domani mattina Napolitano dà l’incarico a lui, non ad Amato”. Nelle redazioni, invece, il Dottor Sottile, rinnegato craxiano, è ancora il favorito.
Nel frattempo Letta e consorte percorrono tutta via Branca, svoltano a sinistra in via Marmorata e infine arrivano a casa. Piazza dell’Emporio numero 16, in quello che è considerato il quartiere più rosso (e romanista) della Capitale. Rosso comunista. Il 16 non è il civico di un palazzo qualsiasi. L’edificio giallo ocra, con le guglie umbertine e finestre e balconi che sono macchie verdi, ha due nomignoli: “Er Palazzaccio de Testaccio” e “Il Cremlino del Testaccio”. A contare è soprattutto quest’ultimo, di soprannome. Un tempo qui abitavano politici e funzionari del Pci. Di proprietà dell’Ina, poi del gruppo Pirelli, sono 95 appartamenti e una quindicina di negozi, costruiti tra il 1901 e il 1925, che si affacciano sul Tevere e guardano l’Aventino.
ANCORA OGGI, Testaccio, è un quartiere popolare, molto trendy per giornalisti e attori, ma al “Cremlino” i prezzi sono stratosferici. Da poco e nonostante la crisi, novanta metri quadri con terrazzo sono stati messi in vendita a più di un milione di euro. Qualche anno fa, un attico di 200 metri quadrati, abitato da un diplomatico, costava 2 milioni e mezzo di euro. Gli inquilini, compreso Letta, sono tutti vip. Il più noto è Giuliano Ferrara: come ha documentato Marco Lillo sull’Espresso nel settembre 2007, in un’inchiesta su Svendopoli, il direttore del Foglio acquistò nel 2003 dal gruppo Pirelli (ex Ina) sette vani e mezzo più terrazzo a 889mila euro, quasi la metà sui prezzi di mercato calcolando i 200 metri quadrati dell’appartamento. L’altro giorno, Ferrara, ha manifestato così, su Twitter, il suo entusiamo per la ritrovata centralità di piazza dell’Emporio in chiave di inciucio tra Pd e Pdl: “Se foste vicini di casa di E. Letta e vi fosse capitato di vedere con che dolcezza accompagna le sue creature all’asilo, votereste la fiducia”.
Il destino, al “Cremlino”, si è divertito a combinare occasioni mancate e incontri segreti. Nella casa di Ferrara avrebbe dovuto abitare Luciano Violante, probabile Guardasigilli dell’inciucio. Tutto accadde quando una nipote di Giorgio Amendola, il leader della destra comunista che allevò politicamente Napolitano, passò dalla scala A del palazzo alla C. Il suo appartamento doveva andare a Violante, che però lo trovò troppo grande e lo lasciò a Ferrara. L’ex pm finì comunque in una casa ex Ina, tra il Quirinale i Fori.
La leggenda delle riunioni misteriose inizia nell’estate del 1997. Una sera di luglio, davanti al portone verde del “Cremlino”, si fermano due Fiat Croma, una dopo l’altra. La prima è bianca, uno sportello si apre e scende Massimo D’Alema. La seconda è di colore rosso e ha un altro passeggero d’eccezione: Antonio Di Pietro. È il colloquio decisivo per la candidatura al Senato nel successivo autunno dell’ex pm di Mani Pulite, alle suppletive del Mugello in Toscana. Per i berlusconiani, contro Di Pietro, correrà proprio un residente del “Cremlino”, Ferrara. Il faccia a faccia tra D’Alema e Di Pietro è organizzato da Nicola Latorre, altro inquilino del civico 16 e allora sconosciuto assistente del sottosegretario brindisino Antonio Bargone. La cena si chiude con l’accordo. È l’incipit di un tormentone che terrà banco per tre lustri: il rapporto tra il centrosinistra e Di Pietro, accusato di giustizialismo dai riformisti.
L’ULTIMO vertice segreto, di tutt’altra natura, risale a una settimana fa. Alla sera di mercoledì 17 aprile, vigilia della seduta dei Grandi Elettori per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Al “Cremlino”, stavolta, una Subaru porta Silvio Berlusconi. A casa di Enrico Letta, ovviamente. Lì, ad aspettarlo, ci sono il padrone di casa, Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini, Maurizio Migliavacca e Vasco Errani, secondo il racconto di Francesco Bei su Repubblica. È il momento clou del patto tra Pd e Pdl sul nome di Franco Marini per il Quirinale. Poi, in aula, le cose vanno diversamente, a causa dei franchi tiratori del centrosinistra. Ma l’inciucio, di fatto, è già scritto. Laddove, fino agli anni ‘50, al primo piano del “Cremlino” c’era la più grande sezione romana del Pci, oltre settecento iscritti.