Tommaso Piffer, la Lettura (Corriere della Sera) 28/04/2013, 28 aprile 2013
MAO E LA FAME CHE DIVORO’ LA CINA - «I
n una famiglia di quattro persone, il figlio morì lasciando madre, moglie e una figlia. Poi morì anche la bambina, e la giovane madre ne vegliò il corpo in silenzio in cortile, troppo debole e stordita per piangere. La nonna si trascinò fuori di casa e trasportò il corpo scheletrico della bambina sul retro. Dopo un po’ la madre tornò e scoprì che la nonna aveva fatto a pezzi il corpo e lo aveva cotto. La nonna morì comunque, forse sopraffatta dalla gravità di quello che aveva fatto». Il libro di Yang Jisheng sulla carestia cinese del 1958-1962, Tombstone. The Great Chinese Famine, è un’autentica galleria degli orrori. La «peggior carestia nella storia dell’umanità» non fu provocata né da conflitti né da cause naturali ma dalla politica di Mao Zedong, che nel maggio del 1958 lanciava il «grande balzo in avanti» per l’industrializzazione del Paese.
Le campagne furono collettivizzate e i contadini costretti a consegnare allo Stato quantitativi di prodotti stabiliti senza alcun collegamento con la produzione reale. Per rafforzare il controllo e disgregare le strutture familiari (retaggio di una «cultura borghese») i contadini furono costretti a smantellare le loro cucine e consegnare tutti gli utensili alle autorità, che organizzarono «cucine collettive». Alla fine del 1958, ne erano in funzione quasi tre milioni e mezzo, che avrebbero dovuto servire il 90 per cento della popolazione rurale, ma si rivelarono un’enorme fonte di spreco e corruzione.
La produzione agricola crollò, e quanto rimaneva ai contadini non era sufficiente per sopravvivere. Presto la fame colpì le campagne e la gente iniziò a morire per strada. Non tardò molto prima che venissero riportati i primi casi di cannibalismo. La struttura politica comunista, dove «ogni funzionario era uno schiavo di chi stava sopra di lui e un dittatore di chi stava sotto», peggiorò la situazione: sotto pressione del centro, le provincie riportavano previsioni esagerate sui raccolti, in base alle quali venivano stabilite le quote delle requisizioni. Quando i contadini non consegnavano quanto loro richiesto, venivano accusati di nascondere il cibo e puniti duramente. Le voci critiche furono accusate di «deviazionismo di destra» e censurate. Yang calcola che tra il 1958 e il 1962 oltre 36 milioni di persone morirono per la fame e le repressioni attuate dal regime.
L’autore è stato a lungo un sostenitore entusiasta del Partito e il titolo («pietra tombale») è un omaggio al patrigno, che Yang vide morire di fame nel 1959 senza che questo mettesse in discussione la sua fede. Il ripensamento iniziò con la Rivoluzione culturale (1966-76) e si compì con piazza Tienanmen (1989). Da allora Yang ha dedicato un enorme lavoro di ricerca a mostrare come la tragedia che aveva colpito la sua famiglia fosse quella di tutto un popolo. Il libro, pubblicato in cinese ad Hong Kong in un’edizione lunga circa il doppio di quella inglese, è tuttora bandito in Cina, dove le autorità continuano a far riferimento ai morti del 1958-62 come a vittime di «mancanza di cibo» e «disastri naturali».
Tommaso Piffer