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 2013  aprile 28 Domenica calendario

L’ALTRO LIGABUE SCENDE IN CAMPO: «USO IL MIO NOME DOPO 20 ANNI»

Gli assomiglia pure. Quel sorriso malandrino e le sopracciglia marcate sono quelle del fratello maggiore. Oltre al cognome, Marco Ligabue ha anche la faccia di famiglia. E ha scelto di fare la stessa professione del fratello maggiore. «Ho deciso di fare una piccola pazzia», racconta citando il titolo del suo debutto. «È stata una scelta naturale. Sono state le canzoni che mi hanno portato lì. Raccontavano dove sono in questo momento, sono canzoni mie — spiega —. "Ogni piccola pazzia" racconta della storia d’amore a distanza fra me e la mia compagna divisi fra Sardegna e Correggio. Una pazzia ma anche la scintilla che dà qualcosa in più al nostro rapporto».
Marco, classe 1970, non è al debutto. Dieci anni di gavetta con i Little Taver & His Crazy Alligators e il salto da professionista come chitarrista e co-autore nei Rio per altri dieci. L’anno scorso la decisione di mollare il progetto che aveva fondato con Fabio Mora: «Per la prima volta a 40 anni circa ho sentito la voglia di cantare le canzoni che mi sono arrivate». C’era da scegliere l’etichetta. «Non volevo nascondere niente. Volevo uscire come sono, come Marco Ligabue. Sono orgogliosissimo di questo cognome e so che porta con sé cose positive e negative — dice —. Mi presento con le mie canzoni, con la mia voce, con la mia faccia che assomiglia a quella Luciano, ma sono così. Se trovo dei compagni di viaggio che condivideranno con me le mie canzoni e i miei concerti sarà perché mi sono presentato in modo autentico».
È in arrivo un album, prodotto da Corrado Rustici, che uscirà con l’estate. Intanto le canzoni sono già in tour assieme a una serie di brani dei Rio, perché il passato non si scorda, e qualche cover come «Generale» di De Gregori e «Mio fratello è figlio unico» di Rino Gaetano. Liga jr. ne racconta un paio. «La differenza»: «Riprende un concetto di Cassius Clay: non importa quanto cadi ma quanto ti rialzi». «Casomai» è dedicata a Piermario Morosini, calciatore del Livorno morto durante una partita. «L’ho scritta sperando che tenga uniti tutti quelli che sono stati suoi amici».
Il rock l’ha respirato in casa, ma la scintilla è arrivata da fuori. Il concerto degli U2 a Modena dell’87: «Avevo 17 anni. Era periodo di "The Joshua Tree", per me "il" disco di sempre. Vederli sul palco con quella potenza e con quelle canzoni mi ha fatto capire che la musica non ha confini. È stato il mio Big Bang musicale».
Marco è un tecno-entusiasta. È stato per anni l’anima e il cervello delle attività online del fratello. «Ho sempre vissuto la tecnologia come un mezzo per far arrivare la verità delle cose. Ligachannel era un modo per dare agli utenti un contenuto direttamente come arriva da Luciano. Oggi vedo i social network come un diario, un mezzo per superare la mia timidezza, raccontarmi e condividere cose semplici, comporre il puzzle mia vita e metterlo in libro aperto a disposizione di tutti».
Torniamo al fratello. Che gli ruberebbe e cosa pensa che Luciano gli prenderebbe? «A lui ruberei la potenza comunicativa che sprigiona quando canta, parla, fa un film o scrive un libro... Vedo che lui è colpito dalla mia leggerezza e dalla mia spensieratezza». Ottimista, solare, godereccio a tavola ma attento alla forma fisica, ragiona sul momento di crisi dell’Italia. «Siamo un Paese conservatore e poco incline al cambiamento. Il cambiamento spaventa, nella politica, nel mondo del lavoro e nella musica. Ma non faccio parte di quelli che si lamentano. Siamo in un periodo difficile, ma mi piace raccontare la bellezza della vita. Quindi mettiamoci assieme noi 40enni e raccontiamo quanto è bella la vita e quanto siamo bravi a fare certe cose».
Andrea Laffranchi