Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 29 Lunedì calendario

RENZI E QUELLA STOFFA DA SEDUTTORE MEDIATICO

Nei giorni drammatici della resa dei conti all’interno del Partito democratico e in quelli più fiduciosi delle trattative per la formazione del nuovo governo, a Matteo Renzi bisogna riconoscere il merito di aver sbagliato poche mosse, almeno da un punto di vista comunicativo.
Che il sindaco di Firenze avesse la stoffa del seduttore mediatico, dell’abile animale televisivo, si era già capito: transitare con la stessa confidenza dallo studio ormonale di «Amici» a quello di un’insolitamente pungente Daria Bignardi, passando per l’understatement di Lilli Gruber e il fuorionda «rubato» con Enrico Mentana, non è certo cosa da tutti. Cambia il look (dalla giacca di pelle alla camicia bianca, fino al completo scuro elegante), ma il concept rimane lo stesso, e funziona ovunque.
L’impressione è che nell’ultimo periodo si sia allentata la rigida gabbia del «format» costruita intorno al sindaco sin dalla campagna per le primarie, e che il suo stile di comunicazione ne abbia senz’altro giovato.
Sabato sera Renzi era ospite a «Che tempo che fa», giusto in tempo per commentare quasi in diretta nel salotto di Fabio Fazio l’annuncio della lista dei ministri del nuovo governo di Enrico Letta. L’intervista di Fazio è stata l’occasione per spiegarsi, per toccare attraverso le domande giuste i temi più caldi del momento, dalla segreteria del partito («Nelle vesti del pompiere non mi ci vedo») al «patto generazionale» siglato per rinnovare il Paese. Il grande rottamatore sta facendo le prove da leader, e a differenza di molta parte della politica italiana, il suo problema comunicativo non è tanto quello di farsi capire dagli elettori, ma quello di convincere chi ancora lo indica con sospetto come un «piccolo Berlusconi» che la seduzione della sua oratoria ha altre radici. Ci riuscirà?